Stratigrafia

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Categoria:Astronomia

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Testo

Il tempo geologico: cronologia assoluta e relativa
Le formazioni sedimentarie possono essere utilizzate per ricostruire ambienti e geografia del passato; tuttavia per avere una visione globale della storia della Terra è necessario datare le formazioni sedimentarie e gli eventi che ne hanno caratterizzato la formazione. Per ricostruire l’ordine temporale degli eventi geologici ci si può servire di due metodi differenti: la cronologia assoluta e la cronologia relativa. Il tempo assoluto corrisponde al tempo realmente trascorso da un evento geologico fino a oggi e permette di stabilire l’età in anni di un reperto, di una roccia o della stessa Terra. Il tempo relativo, invece, indica la successione degli avvenimenti, cioè l’ordine temporale in cui si sono succeduti, senza indicare né il momento preciso della storia della Terra in cui si sono verificati, né il tempo trascorso tra un evento e l’altro. La datazione assoluta si basa soprattutto sull’uso di metodi radiometrici, che sfruttano e misurano la radioattività naturale di alcune rocce. I metodi radiometrici non sono sempre applicabili e in molte situazioni presentano un margine d’errore significativo (per questo non hanno sostituito i metodi di datazione relativa, con i quali devono essere integrati continuamente). La datazione relativa viene effettuata basandoci sugli unici dati disponibili: le rocce sedimentarie e i fossili (resto di un organismo del passato).
I principi stratigrafici
È possibile quasi sempre stabilire l’ordine con cui si sono formate le rocce di un affioramento osservando le formazioni sedimentarie e utilizzando quattro principi, detti principi stratigrafici:
1. principio dell’orizzontalità originaria degli strati: i sedimenti solitamente si depositano in strati orizzontali o quasi. Se quindi si trova una sequenza di rocce sedimentarie inclinate o piegate significa che, dopo la loro formazione, sono state dislocate.
2. principio di sovrapposizione: in un complesso roccioso, costituito da una serie di strati sovrapposti, la cui giacitura non è stata modificata, ogni strato è più recente di quello su cui giace e più antico di quello che lo sovrasta. Ciò può essere vero anche per molte formazioni magmatiche, come colate di lava e strati di ceneri vulcaniche sovrapposti. Il principio non ha valore quando una qualsiasi sequenza è stata disturbata da avvenimenti tettonici.
3. principio di intersezione: un filone di rocce magmatiche che attraversa una formazione è sicuramente più recente della formazione stessa. Una massa plutonica è sempre più recente delle rocce in cui si intrude e nel caso di più filoni che si intersecano, i più antichi sono tagliati dai più recenti. Anche altri eventi come faglie o fenomeni metamorfici, che lasciano le loro tracce su una roccia già formata, possono essere datati in base a questo criterio: sono sempre più recenti dello strato che ne porta i segni e più antichi di quelli che non sono stati coinvolti.
4. principio dell’equivalenza cronologica: due strati sedimentari che, pur essendo situati in località ≠, contengono gli stessi fossili guida, si sono formati nel medesimo intervallo di tempo, sono cioè cronologicamente equivalenti.
L’applicazione di tali principi è piuttosto difficoltosa: non esiste sulla Terra un luogo in cui tutte le sequenze stratigrafiche siano prive di lacune e non disturbate da eventi tettonici. Per rendere più sicura la ricostruzione più sicura viene utilizzato lo studio dei fossili (che n.b. si trovano solo nelle rocce sedimentarie!).
I fossili
Il termine fossile viene utilizzato per indicare qualsiasi resto o qualunque traccia di attività biologica lasciata da organismi vissuti in epoche passate e conservata all’interno delle rocce. La scienza che studia i fossili si chiama paleontologia. Normalmente in un fossile si conservano le parti dure (i denti, le ossa, i gusci, gli esoscheletri chitinosi) poiché le parti molli, dopo la morte dell’organismo, vanno rapidamente incontro a processi di decomposizione. In alcuni casi, anziché le parti dure, rimane il modello, cioè l’impronta che l’organismo ha lasciato nel sedimento in cui è stato inglobato. I fossili, anche quando completi, hanno un aspetto molto ≠ da quello che hanno gli organismi dopo la morte. Ciò è dovuto al processo di fossilizzazione che in molti casi implica profonde trasformazioni chimiche e fisiche che modificano anche le parti dure dell’organismo. Non tutti gli organismi dopo la morte vengono trasformati in fossili; infatti, perché il processo di fossilizzazione abbia luogo, devono realizzarsi almeno due condizioni favorevoli:
• dopo la morte l’organismo non deve subire l’azione distruttrice degli organismi predatori e decompositori, e deve essere sottratto, il più rapidamente possibile, all’azione degli agenti esogeni;
• dopo la morte l’organismo deve essere incluso in uno strato di sedimenti costituiti da materiali fini, come argille, sabbie che ne permettono la conservazione.
Il processo di fossilizzazione è un evento casuale, imprevedibile e del tutto eccezionale che interessa un numero molto limitato di individui. In genere, la fossilizzazione avviene più facilmente negli ambienti marini, dove gli organismi morti cadono sul fondo e vengono sepolti lentamente senza alcuna azione di disturbo: sui fondali i processi di erosione e decomposizione sono molto limitati. Nelle aree continentali, i processi di fossilizzazione sono più rari, specialmente negli ambienti caldi e umidi e nei luoghi in cui prevale l’erosione. Infine non dobbiamo dimenticare che i resti fossili possono essere alterati o distrutti, dopo la loro formazione. Lo stesso ritrovamento è del tutto casuale. I fossili quindi ci forniscono importanti info sulla vita passata ma non ci danno un panorama completo delle forme animali e vegetali che hanno popolato la Terra.
Fossili e stratigrafia
Gli strati delle rocce sedimentari contengono fossili ≠, in relazione al periodo, all’ambiente, alle condizioni climatiche in cui si sono formati. Da questi fossili si possono ricavare interessanti info. Per esempio attraverso lo studio comparato dei fossili è possibile ricostruire a grandi linee le tappe dell’evoluzione. Molti fossili inoltre sono utili per lo studio della paleogeografia e dei paleoclimi, in particolare i fossili di organismi che vivono in condizioni ambientali e climatiche ben definite. I fossili di tali organismi vengono chiamati fossili di facies (per esempio i coralli: infatti sono indicatori di particolari condizioni ambientali poiché vivono solo in acque calde, limpide e ben ossigenate). Molti fossili, infine, possono essere utilizzati per ricostruire una sequenza temporale degli avvenimenti geologici sulla Terra. Infatti, studiando una sequenza verticale di strati, ciascuno dei quali corrisponde a un intervallo di tempo, si osserva che molte specie o generi sono caratteristici solo di una certa epoca della storia della Terra e si ritrovano esclusivamente nelle formazioni sedimentarie che si sono formate in quel particolare periodo. Si tratta di specie che sono comparse improvvisamente, sono vissute per un breve periodo di tempo e si sono estinte rapidamente. I fossili di tali organismi sono detti fossili guida. I migliori fossili guida hanno una distribuzione verticale limitata e appartengono a specie che hanno avuto una grande diffusione geografica, per cui sono inclusi nelle rocce sedimentarie di molte regioni del mondo. Molti fossili guida sono organismi marini, come le ammoniti (mesozoico), i trilobiti e i foraminiferi. Attraverso lo studio dei fossili guida è stato possibile ricostruire l’ordine cronologico della comparsa ed estinzione delle ≠ specie di esseri viventi, determinando anche l’ordine in cui si sono formati (cioè l’età relativa) gli strati che li contengono. Sullo studio dei fossili guida si basa il quarto principio della stratigrafia.
La scala cronostratigrafica (datazione relativa a cfr con quella assoluta)
Per ricostruire una successione completa degli eventi geologici che hanno caratterizzato la storia della Terra, è necessario collegare fra loro le info parziali ricavate nelle singole località, stabilendo delle correlazioni, trovando cioè la corrispondenza temporale fra successioni di strati situate in regioni ≠ dalla superficie terrestre. Le correlazioni più sicure si ottengono sfruttando i fossili guida e gli strati guida. Uno strato guida è uno strato di piccolo spessore che ha una grande estensione laterale e si distingue nettamente dagli altri per le caratteristiche litologiche o per il contenuto di fossili. Un esempio di strato guida è una coltre di ceneri vulcaniche. Correlare è molto importante perché permette di stabilire una successione pressoché completa degli avvenimenti geologici e biologici costruendo una scala relativa del tempo. Poiché in nessuno luogo della Terra è possibile osservare una sequenza completa, è stata costruita una scala cronostratigrafica ideale, in cui ciascun periodo della storia della Terra è rappresentato da una colonna verticale di strati (unità geocronologica), corrispondente a una località particolarmente rappresentativa. A ciascuna unità geocronoloiga corrisponde un’unità cronostratigrafica, cioè un insieme di rocce formatesi in quell’intervallo di tempo. Nella scala cronostratigrafica la storia della Terra è stata suddivisa in quattro grandi intervalli chiamati eoni: dal più antico al più recente sono Adeano, Archeano, Proterozoico e Fanerozoico. Ciascun eone viene suddiviso in ere, le ere in periodi, i periodi in epoche, le epoche in età. La scala geocronologica è una scala dei tempi relativi, basata essenzialmente su criteri paleontologici, e presenta molte limitazioni nell’applicazione. In primo luogo non tutte le rocce sono fossilifere (spesso mancano quindi elementi per correlare con sicurezza le formazioni che si osservano); in secondo luogo i fossili non permettono di sapere esattamente quanti anni sono stati necessari perché si realizzasse un particolare cambiamento evolutivo. Per leggere correttamente la scala cronostratigrafica è quindi importante determinare, laddove sia possibile, l’età assoluta delle rocce.
La cronologia assoluta
L’età assoluta di una roccia o di un fossile, cioè il numero di anni che sono trascorsi dalla sua formazione, può essere determinata sfruttando la radioattività naturale di molte rocce. Le datazioni che si ottengono con questo metodo vengono chiamate datazioni radiometriche e permettono di affiancare alla scala dei tempi relativi una data, espressa in anni. Per capire come funzionano tali metodi bisogna sapere che tutti gli atomi di un elemento hanno il medesimo numero di protoni nel nucleo (numero atomico), ma possono differire per il numero di neutroni e quindi per il numero di massa. Gli atomi di uno stesso elemento che hanno un ≠ numero di massa sono chiamati isotopi. Molti isotopi sono stabili e non cambiano nel tempo. Altri invece sono instabili (isotopi radioattivi) e si trasformano spontaneamente, spesso attraverso tappe intermedie, in isotopi stabili anche di altri elementi, con un ≠ rapporto tra protoni e neutroni. Il processo, chiamato decadimento radioattivo, implica l’emissione di radiazioni. Per definire la velocità del processo di decadimento di un qualsiasi isotopo radioattivo si utilizza il tempo di dimezzamento, che corrisponde al tempo necessario affinché una determinata quantità dell’isotopo capostipite si riduca della metà. Il tempo di dimezzamento è rigorosamente costante e caratteristico per ciascun isotopo radioattivo. Esso è inoltre indipendente dalla quantità di atomi presenti all’inizio. Molte rocce contengono isotopi radioattivi, che decadono secondo il loro tempo di dimezzamento. Poiché quest’ultimo non è condizionato da fattori esterni (temperatura, pressione), il numero di atomi dell’isotopo capostipite diminuisce man mano che la roccia invecchia (mentre il numero di atomi dell’isotopo-figlio aumenta) secondo un ritmo regolare e indipendente dalle condizioni ambientali. Determinando il rapporto tra nuclei dell’isotopo-figlio e nuclei dell’isotopo capostipite è possibile quindi stabilire l’età di un campione di roccia o di un fossile. Il procedimento può essere applicato a due condizioni: non devono essere sottratti o aggiunti atomi né dell’isotopo-figlio, né dell’isotopo capostipite (se aggiunti atomi dell’isotopo-figlio roccia sembra più vecchia) e il tempo di dimezzamento dell’isotopo considerato non deve essere troppo breve o troppo lungo rispetto all’età del campione che si esamina (se elemento ha tempo di dimez. breve la maggior parte degli atomi radioattivi sarà già stata trasformata e la radioattività residua del campione da datare sarà troppo debole per essere rilevata in modo accurato). I metodi di datazione radiometrica hanno permesso di affiancare alla scala dei tempi relativi una scala dei tempi assoluti.
Il metodo del carbonio – 14
Questo metodo viene utilizzato per datare materiali organici o fossili (no sulle rocce!) che non abbiano un’età superiore a 50000/60000 anni o inferiore a 1000 anni (in questo caso roccia non ha avuto il tempo di dimezzarsi). Diversamente dagli altri metodi di datazione radiometrica, quando si applica questo sistema non si misura il rapporto tra l’isotopo instabile e il suo prodotto, ma soltanto la quantità residua dell’isotopo instabile.

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