Analisi dei primi 6 Pugratorio

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Categoria:Dante

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Testo

ASPETTI DELLA RELIGIOSITÀ DI DANTE
CANTO I
vv. 18-21
Dante, inebriato da tanta bellezza di cielo, si volge all'oriente, quasi in aspettazione del sole, che raffigura la Grazia divina, e vede splendente il pianeta Venere, il bel astro d'amore (principio della legge cristiana) che, col suo vago tremolio, mette una nota di gioia in tutta quella parte del cielo, rendendo poco visibile la costellazione dei Pesci che l'accompagna.
vv. 22-27
Dante, non sazio della serenità e della gioia, si volge a destra, quasi a significare un primo slancio verso il bene, (nel Purgatorio infatti si dirigerà sempre verso destra, mentre nell'Inferno si dirigeva sempre verso sinistra) e vede, presso il polo antartico, scintillare quattro stelle (v. 23), che, a differenza di Venere, non fanno gioire soltanto quella parte di cielo, ma tutto il firmamento. Molto si è discusso dai critici intorno a queste quattro stelle:
• alcuni ritengono che esse abbiano un valore puramente allegorico e rappresentino le quattro virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza)
• altri ritengono che tali stelle abbiano un valore reale. Quest'ipotesi è confermata dal fatto che Dante afferma con un certo rimpianto che tali stelle non furono mai viste da alcuno, fuorché dalla "prima gente" (v. 24) e che il nostro emisfero, privato di una cosa così di preziosa vista, si può definire "vedovo" (v. 26), cioè privo di ogni cosa.
vv. 28-29
Dante si volge un poco a sinistra, verso il polo artico, quasi a cercare la costellazione dell'Orsa maggiore, che raffigurerebbe con le sue sette stelle le virtù cardinali e teologali.
vv. 30-39
Apparizione di Catone. La presenza di Catone nel Purgatorio ha sollevato fra i critici molte discussioni.
• Catone era stato considerato dagli antichi come il tipo di romano antico, amante della patria e delle virtù civili; tale ammirazione era giunta fino a Dante, il quale ne fa altissime lodi in più luoghi del Convivio
• Catone, nonostante sia stato pagano, può essere stato illuminato da Dio poco prima di morire, ottenendo il battesimo di desiderio; per questo non è nel Limbo
• Catone può aver compiuto il suo suicidio per ispirazione divina, cioè per ubbidire al volere della Provvidenza, la quale, col trionfo di Cesare, aveva manifestato la sua preferenza per l'Impero. Inoltre il suicidio è perdonabile in un pagano che non ha la luce della fede e particolarmente in uno stoico, che in certi casi considerava il suicidio come un dovere. Per questo non è nel secondo girone del settimo cerchio dell'Inferno
• Catone, che per amore della libertà civile seppe vincere lo stesso istinto della vita, è degno custode del Purgatorio, dove le anime procedono all'acquisto della libertà morale, che è il fondamento di ogni altra vera e sana libertà.
vv. 94-108
Risposta e consigli di Catone
Catone ingiunge a Virgilio di recingere i fianchi di Dante con un "giunco schietto" (v. 94), cioè privo di nodi e di "lavagli il viso" (v. 94) per togliere la caligine infernale. Si tratta di due atti simbolici:
• il giunco schietto è simbolo dell'umiltà, la quale, in quanto riguarda la soggezione dell'uomo a Dio, è principio di penitenza e di redenzione. Il flettersi indica mobilità spirituale.
• la caligine infernale è simbolo delle umane passioni e non è lecito, col volto "sorpriso" (v- 97) da essa, giungere alla presenza dell'Angelo che siede all'entrata del Purgatorio.
Quando Virgilio e Dante avranno compiuto i due atti simbolici, sorgerà il sole, cioè la Grazia divina, che mostrerà la via più agevole per salire il monte della purificazione (107-108)
vv.134-136
Allegoria del giunco, che si rinnova, perché l'umiltà proviene dalla Grazia divina, che sempre si rinnova e non si esaurisce mai.
Marzia
• Il ritorno di Marzia a Catone simboleggia il ritorno dell'anima a Dio.
• C'è distanza dagli amori terreni; questo significa che il Purgatorio è staccato dal mondo terreno
CANTO II
vv. 16
Dante, nonostante non abbia ancora ben chiaro cosa sia questo lume, annuncia, col suo accorato desiderio, una lieta visione di redenzione e di grazia
vv. 43-51
v. 47
v. 46
v. 49
Descrizione precisa dell'Angelo e degli spiriti da lui traghettati.
Gli spiriti cantano "tutti insieme", come se fossero una voce sola, manifestando quell'armonia spirituale che domina il nuovo mondo della carità.
Cantano il Salmo CXIII, che allude alla liberazione del popolo d'Israele dalla schiavitù d'Egitto; "Questo finge l'autore che cantasseno quelle anime… a significare che ringraziavano Dio che erano uscite… della servitù del demonio e del peccato e venute in terra di promissione" (Buti)
L'angelo, come alla fine di un mistero sacro, fa agli spiriti il segno della croce per benedirli e congedarli.
vv. 79-81
Le anime sono inconsistenti.
vv. 93-105
vv. 98-99
La risposta di Casella mira a farci conoscere una legge generale che riguarda le anime destinate alla salvazione, e una legge particolare che riguarda il solo Casella.
Le anime, destinate alla salvazione, non si precipitano, come quelle dei dannati, verso la riva d'Acheronte (Inf. III, 70 sgg.), ma si raccolgono presso la foce del Tevere, per essere traghettate al Purgatorio; l'Angelo nocchiero accoglie nella sua navicella chi vuole e quando vuole, ma non secondo il proprio volere, bensì secondo il giusto volere di Dio.
Da tre mesi ha avuto inizio il giubileo bandito dal papa Bonifacio VIII. Dante immagina che tutte le anime che attendono d'essere traghettate nel Purgatorio, siano ora accolte senza contrasto nella nave, in quanto beneficiano delle indulgenze speciali concesse per il giubileo.
vv. 106-111
Dante sa di essere in un mondo in cui vigono leggi diverse da quelle terrene e teme che una "nuova legge" tolga anche la memoria o la gioia del canto.
CANTO III
Canto della prima schiera di negligenti, che hanno sede nell'Antipurgatorio, cioè dei negligenti - scomunicati, che, pur essendo morti fuori dalla grazia della Chiesa, morirono riconciliati con Dio.
Essi sono costretti a stare nell'Antipurgatorio trenta volte il tempo che vissero nella scomunica e, poiché si ribellarono alla Chiesa, procedono lenti e mansueti.
vv. 7-9
Il rincrescimento di Virgilio è provocato soltanto dal pungolo della propria coscienza ("da sé stesso" v. 7), poiché i rimproveri di Catone erano rivolti agli "spiriti lenti" (Purg. II, 120) e non ai due poeti, che, per essere uno vivo e l'altro un'anima del Limbo, erano fuori dalla sua giurisdizione. Ma indirettamente egli se ne sente toccato, per esser venuto meno alla sua missione di guida e maestro.
vv. 10-11
Virgilio, svanito l'ultimo rincrescimento, rallenta il passo, lasciando quella fretta che toglie ogni decoro ad ogni atto dell'uomo (gravità degli "spiriti magni" del Limbo)
vv. 31-44
Prevenendo un'obiezione di Dante, Virgilio spiega che, nonostante siano staccate dal corpo, le anime possono soffrire le pene dell'Inferno e del Purgatorio, e ciò è un mistero che la virtù divina non vuole che sia manifesto agli uomini.
La ragione umana è impotente di fronte al mistero divino e i misteri della Divinità sono imperscrutabili ("Matto" v. 34): gli uomini dovrebbero accontentarsi di sapere che le cose sono ("Quia" v. 37), senza presumere di conoscerne le cause. E di questa impotenza Virgilio reca due prove, una teologica e una storica; se Dio avesse concesso agli uomini di conoscere tutto:
• non sarebbe stato necessario che Maria partorisse Cristo per la nostra redenzione
• i filosofi come Aristotele e Platone e molti altri sarebbero riusciti a soddisfare quella sete di verità, che è invece data loro eternamente per pena nel Limbo.
vv. 46-51
Dante insiste sulla difficoltà del cammino, per significare che la via della salvazione è difficile, mentre quella della perdizione è aperta a tutti
vv. 85-87
Le anime sono una "mandra" (continua la similitudine delle pecorelle) e "fortunata", cioè destinata alla salvazione.
"E' un'anima collettiva, innocentemente timida e pavida, come soggiogata dal nuovo mistero, al quale cede forse più con umile e devota mansuetudine che con ardore di libera dedizione" (Parodi, Bull. XXIV, 29)
vv. 118-123
La riconciliazione fra Manfredi e Dio in punto di morte per il pentimento dei peccati commessi.
Per quanto Dante ammetta che "orribili" (v. 121) furono i peccati del re svevo (i cronisti guelfi narravano di strangolamento del padre, avvelenamento del fratello, usurpazione del regno nei confronti del nipote!), afferma, con una potente immagine, che la "bontà infinita" (v. 122) di Dio allarga le sue braccia verso il peccatore pentito
vv. 124-132
Manfredi è malinconico, perché il suo corpo fu trasportato con torce spente, come si usava per gli scomunicati, e quindi non ebbe un rito ecclesiastico.
vv. 133-141
La pena della prima schiera dei negligenti, gli scomunicati.
La maledizione o scomunica ecclesiastica non conferisce una condanna definitiva, perché la grazia di Dio può sempre tornare finché c'è un po' di speranza, cioè un po' di vita, e quindi, possibilità di pentimento (vv. 133-135). Questa affermazione non è contraria alla dottrina della Chiesa, la quale, mediante la scomunica, intende escludere il peccatore dalla comunità dei fedeli, ma gli lascia sempre aperta la via al ritorno se, sinceramente pentito, fa atto di sottomissione.
Tuttavia, se la scomunica non conferisce una condanna definitiva, chi muore fuori della comunità dei fedeli, anche se alla fine si pente, deve stare nell'antipurgatorio trenta volte il tempo che è stato in "presunzione" (v. 140) della Chiesa, se questa pena non diventa più breve "per buoni prieghi" (v. 141), cioè per le preghiere innalzate dai vivi che sono in grazia di Dio.
Contrappasso
Poiché tardarono a pentirsi, ora ritardano l'ora della purgazione, perché la porta del Purgatorio è chiusa per loro, per un certo periodo di tempo.
CANTO V
vv. 10-21
Rimprovero di Virgilio
Alcuni commentatori rivelano una certa sproporzione tra l'esigua colpa di Dante e il solenne rimprovero di Virgilio (Tommaseo), ma bisogna considerare che la negligenza è un avviamento a colpe sempre più gravi, e poiché siamo tra i negligenti, la voce di Virgilio si innalza alta e forte.
vv. 22-24
La colpa e la pena dei negligenti che morirono di morte violenta
Essi sono costretti a stare nell'Antipurgatorio tanto tempo quanto vissero, e , poiché morirono di morte violenta, girano affannosamente intorno al monte, cantando il Miserere per invocare la misericordia di Dio.
vv. 55-57
Le anime tentano di impietosire il Poeta, raccontandogli il loro tragico destino umano. Tutte perirono di morte violenta, ma, al momento del trapasso, la grazia divina le illuminò, sicché uscirono di vita non solo pentite dei loro peccati, ma perdonando anche i loro uccisori: sono parole di malinconico e sconsolato abbandono, che si rischiarano nel desiderio di vedere Dio.
vv. 64-66
Jacopo del Cassero si rende interprete del sentimento di riconoscenza di tutti i compagni e rivela a Dante che il suo giuramento è inutile, poiché ognuna di quelle anime ha piena fede che Dante compirà il beneficio promesso, purché una forza maggiore non si opponga alla sua volontà
v. 100
Buonconte da Montefeltro, ha qui deposto nel Purgatorio, ogni animosità, come se perdurasse in lui il religioso pentimento degli ultimi istanti, quando invocò il nome di Maria
vv. 103-129
Il dramma ultraterreno tra l'Angelo e il demonio.
Si ripete il medesimo contrasto tra il Cielo e l'Inferno (Guido da Montefeltro, Inf. XXVII, 117 sgg), ma con opposto risultato. Dante volle senza dubbio ammonirci che nessuno può conoscere i disegni di Dio e quindi la sorte delle anime dopo la morte
IMPEGNO ETICO-POLITICO DI DANTE
CANTO I
vv. 30-39
Apparizione di Catone
Dapprima l'impressione essenziale e complessiva, fatta di meraviglia e di trepidazione ("Com'io…vidi…presso di me…un veglio solo"); poi l'analisi a tocchi rapidi ed incisivi, che mira a mettere in luce, attraverso particolari fisici, l'interiore gravità morale.
La descrizione che Dante fa di Catone ricorda quella di Lucano; ma il Poeta rende più ideale e più reale il ritratto di Lucano. Le "quattro luci sante" (v. 37), che hanno quasi i riflessi del sole, splendono sul volto di Catone, tanto da farlo sembrare illuminato dalla stessa Grazia divina.
vv. 78-84
Il ricordo del Limbo porta alla citazione di Marzia, la moglie dilettissima di Catone.
CANTO II
vv. 76-
Incontro con l'amico Casella.
Fu valente musico e cantore di Firenze e di Pistoia, che morì poco prima del 1300.
vv. 93-105
v. 96
Risposta di Casella
L'idea di una dimora delle anime presso la foce del Tevere, che non ha precedenti teologici, fu certamente suggerita a Dante dalla sua reverenza verso la Chiesa cattolica, per significare che quelle anime che muoiono in grazia di Dio, si raccolgono, allo scopo di partire per il loro eterno destino, a breve distanza dalla città ove risiede il capo della Chiesa.
Casella, nonostante da tre mesi l'Angelo aveva accolto nella sua navicella chiunque avesse voluto, ne era stato per molto tempo ancora escluso. La ragione di questo indugio ha fatto molto discutere, ma senza un risultato sicuro.
vv. 106-111
v. 108
Chiedendo a Casella di cantargli qualcosa, ci fornisce intanto una preziosa notizia intorno alla sua vita e al suo carattere: già sappiamo dalla Vita nova come egli amasse fin dalla prima giovinezza l'arte e gli artisti; ma ora apprendiamo come egli amasse appassionatamente ("solea") la musica e ne subisse la profonda impressione purificatrice.
CANTO III
Vv. 25-27
Per dimostrare a Dante che egli è solo uno spirito, Virgilio ricorda, con parole di umano rimpianto, il proprio corpo che riposa a Napoli.
Secondo le biografie di Virgilio composte da Donato e da Svetonio, il corpo del Poeta, morto a Brindisi ("Brandizio" v. 17) fu per ordine di Augusto trasportato a Napoli e deposto in una tomba sulla via di Pozzuoli.
vv. 46-51
Dante delimita la Liguria nei suoi estremi confini:
• Lerici è un antico castello nel golfo della Spezia, non molto lontano da Sarzana, dove Dante fu nel 1306 come ospite dei marchesi Malaspina
• Turbia è una borgata del territorio nizzardo, a poca distanza dalla costa
La riviera ligure tra Lerici e Turbi è coperta da monti che scendono scoscesi verso il mare e che che, ai tempi di Dante, dovevano essere aspri a salire per mancanza di strade.
vv. 103-105
Manfredi non conosce Dante, perché:
• Dante, nato nel 1265, aveva pochi mesi quando Manfredi morì
• Dante ha a lui volte le spalle, come si rileva dalla esortazione di "volgere il viso" (v. 104)
vv. 107-113
107-108
v. 111
v. 113
Tra i negligenti scomunicati Dante incontra Manfredi, il famoso re di Casa sveva, nato intorno al 1232 come figlio naturale e poi legittimato dell'imperatore Federico II e della contessa Bianca Lancia. Nel 1258 divenne re di Palermo.
Fu un uomo molto bello. Prima un'impressione particolare, il colore dei capelli ("biondo"); poi un'impressione generale, sia fisica ("bello") che spirituale ("gentile aspetto"); infine il contrasto, tra quella bellezza e gentilezza d'aspetto e il segno cruento della tragedia.
Manfredi mostra a Dante l'altra ferita che si trovava sul suo cadavere: quella sul petto, segno di una morte valorosa.
Manfredi insiste sulla sua identità rievocando una luminosa figura della sua casa: non il padre Federico II, che è già condannato nell'Inferno per eresia, ma l'avola Costanza, la "luce della gran Costanza", che risiede in Paradiso.
Manfredi fu fieramente contrastato dai Pontefici, che gli lanciarono contro ripetutamente la scomunica, finché il papa Clemente IV spinse contro di lui Carlo I di Angiò, che lo sconfisse ed uccise a Benevento, il 26 febbraio 1266.
vv. 114-117
vv. 115-116
Manfredi prega Dante di far sapere alla propria figlia Costanza che egli è in Purgatorio, se nel mondo corre altra fama non conforme al vero, cioè che egli, morto sotto il peso della condanna ecclesiastica, sia dannato in eterno.
Costanza, che rinnova anche nel nome il culto di Manfredi per l'ava, fu moglie di Pietro III d'Aragona ed ebbe quattro figli:
1) Alfonso III, che alla morte del padre fu proclamato re d'Aragona e morì a soli 27 anni nel 1291
2) Giacomo II, che alla morte del padre fu proclamato re di Sicilia e alla morte del fratello re d'Aragona; morì nel 1327
3) Federico II, che fu eletto dai siciliani re di Sicilia; morì nel 1337
4) Pietro, che morì giovanissimo
vv. 124-132
vv. 124-125
Se Dio perdonò Manfredi, gli uomini non perdonarono neppure il suo cadavere.
Racconta G. Villani (VII, 9) che Carlo d'Angiò non volle che il corpo di Manfredi, morto scomunicato, fosse sepolto in luogo sacro; perciò lo fece seppellire sul campo di battaglia e sopra la fossa i soldati (come era tradizione), gettarono sassi in modo da formare una "mora" (v 129).
Ma poiché il luogo, in cui Manfredi fu sepolto, era terra di Chiesa, per mandato del papa, il vescovo di Cosenza lo disseppellì e lo fece seppellire lungo il fiume che segnava il confine sul Tirreno fra il Regno e lo stato della Chiesa (l'antico Liri, ora Garigliano)
Il vescovo di Cosenza fu Bartolomeo Pignatelli (oppure il suo successore Tommaso d'Agni); il papa fu Clemente IV, il quale avrebbe ingiunto al vescovo di perseguitare Manfredi vivo e non morto, perché, in caso contrario, la colpa della profanazione sarebbe del papa e non del vescovo.
CANTO V
vv. 73-78
Jacopo del Cassero, nato a Fano da antica e nobile famiglia guelfa.
Nel 1288 fu tra i Guelfi delle Marche venuti in aiuto dei Fiorentini nella guerra contro Arezzo e in quell'occasione Dante poté forse riconoscerlo.
Nel 1296 fu podestà a Bologna, che difese vigorosamente contro le ambizioni del marchese di Ferrara Azzo VIII.
Nel 1298 chiamato podestà a Milano, volle recarsi per la via più lunga, per evitare le terre del marchese; ma arrivato a Oriago, castello sulle rive del Brenta, fu raggiunto dai sicari del marchese; piuttosto di fuggire per la via più battuta si gettò nella vicina palude e fu ucciso.
Fu ucciso nel territorio di Padova, che un'antica tradizione diceva fondata da Antenone troiano. Forse Jacopo intende accusare i Padovani di complicità nel delitto
vv. 94-101
Buonaconte da Montefeltro appartenne ad una nobile famiglia ghibellina; fu figlio del conte Guido, fra i consiglieri fraudolenti di Malebolge.
Nel 1289 capitanò i Ghibellini d'Arezzo contro i Fiorentini e fu ucciso nella battaglia di Campaldino
vv. 103-129
Il dramma ultraterreno tra l'Angelo e il demonio.
Si ripete il medesimo contrasto tra il Cielo e l'Inferno (Guido da Montefeltro, Inf. XXVII, 117 sgg), ma con opposto risultato. Dante volle senza dubbio creare un contrapposto tra i due episodi, allo scopo di mettere in rilievo tra triste sorte toccata al conte Guido, capitato nelle mani del Papa Bonifacio VII.
vv. 130-136
Su Pia senese non si hanno notizie sicure.
• Gli antichi commentatori affermano che fu gentildonna della famiglia Tolomei e che andò in sposa e Nello d'Inghiramo dei Pannocchieschi, signore del castello della Pietra nella Maremma toscana. Il marito, per vari motivi (falli commessi dalla moglie; presupposta infedeltà; desiderio di sposare la bellissima Margherita dei conti Aldobrandeschi) avrebbe condotto la Pia nel suo castello della Pietra, ove la fece uccidere così segretamente che non si seppe come morisse.
• Alcuni moderni credettero di poter identificare la Pia senese con una Pia Guastelloni, moglie di un Baldo de' Tolomei e rimasta vedova di lui, si sposò con Nello de' Pannocchieschi; ma i documenti trovati in seguito provarono che la Guastelloni era sempre viva e vedova nel 1318, e che quindi non poteva essere la Pia di Dante
• La maggior parte dei moderni concludono che intorno ad essa molto lavorò la leggenda, e che noi dobbiamo limitarci alle notizie tramandate negli immortali versi di Dante.
LA POETICA DI DANTE
CANTO I
Il canto I del Purgatorio serve di introduzione della seconda cantica. Esso ha un'intonazione serena e luminosa, che si rivela:
• nell'anima di Dante
• nella natura che si offre ai suoi sguardi: ansia di purità e di pace, gesti temperati e raccolti, parole lievi e trasognate.
Allegoria della montagna del Purgatorio simbolo della via di salvazione, verso la felicità eterna, che si raggiunge col mezzo dell'espiazione
vv. 1-12
vv. 1-6
vv. 7-12
Proposizione e invocazione ==> l'uomo non si mette in gioco col creatore
Il canto, secondo le norme della poetica tradizionale, si inizia con la protasi, da cui traspare un senso di gioioso sollievo, annuncia il tema della cantica: non più il "mar sì crudele" (v. 3) dell'Inferno, ma la "miglior acqua" (v. 1) del Purgatorio, dove l'anima, mediante l'espiazione della colpa, diventa degna di salire al Cielo (v. 6).
L'invocazione, più energica rispetto a quella corrispondente dell'Inferno, è rivolta ancora alle Muse (che trasmettono l'ispirazione di origine divina), definite "sante" (v. 8), sia perché ispiratrici della nuova poesia cristiana, sia perché oggetto del devoto e appassionato culto del Poeta; ma tra le Muse è invocata particolarmente Calliope (v. 9) protettrice della poesia epica, che già Esiodo aveva celebrato come la Musa più nobile di ogni altra, e il cui nome significa "dalla bella voce". Questo può essere inteso come un segno di umiltà di Dante nei confronti di Dio.
Il Poeta, per propiziarsi questa Musa, ricorda una famosa vittoria di lei, riportata sulle nove figlie di Pierio, re di Tessaglia, quando queste avevano osato sfidare le Muse: le figlie di Pierio, vinte dal dolcissimo canto di Calliope, furono trasformate in gazze, uccelli dalla voce stridula e monotona (vv. 10-12)
vv. 13-27
Il Poeta descrive il meraviglioso spettacolo naturale che si offre ai suoi sguardi. Passando dall'Inferno al Purgatorio Dante esce dalla tenebre alla luce, dalle fosche caligini del regno sotterraneo al mite e sereno splendore del regno della purificazione: e l'aggettivo "dolce" (v. 13), completato da altre fresche e luminose impressioni come "sereno" (v. 14), "puro" (v. 15), "diletto" (v.16), giova mirabilmente a introdurre il tono nuovo, a creare una nuova atmosfera. Il cielo è di un intenso colore azzurro, che ricorda quello dello zaffiro orientale, il quale era in quei tempi ritenuto il più pregiato (v. 13).
vv. 22-27
Allegoria delle quattro stelle della croce del Sud, simbolo delle quattro virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza
vv. 30-39
Apparizione di Catone. La presenza di Catone nel Purgatorio ha sollevato fra i critici molte discussioni.
• Catone era stato considerato dagli antichi come il tipo di romano antico, amante della patria e delle virtù civili; tale ammirazione era giunta fino a Dante, il quale ne fa altissime lodi in più luoghi del Convivio
• Catone, nonostante sia stato pagano, può essere stato illuminato da Dio poco prima di morire, ottenendo il battesimo di desiderio; per questo non è nel Limbo
• Catone può aver compiuto il suo suicidio per ispirazione divina, cioè per ubbidire al volere della Provvidenza, la quale, col trionfo di Cesare, aveva manifestato la sua preferenza per l'Impero. Inoltre il suicidio è perdonabile in un pagano che non ha la luce della fede e particolarmente in uno stoico, che in certi casi considerava il suicidio come un dovere. Per questo non è nel secondo girone del settimo cerchio dell'Inferno
• Catone, che per amore della libertà civile seppe vincere lo stesso istinto della vita, è degno custode del Purgatorio, dove le anime procedono all'acquisto della libertà morale, che è il fondamento di ogni altra vera e sana libertà.
vv. 52-84
Risposta di Virgilio.
Virgilio risponde ordinatamente alle domande di Catone, dicendo cose in cui si riassume l'allegoria fondamentale del poema:
• riassume in due versi (vv. 53-54) l'intervento di Beatrice
• accenna alla condizione di Dante, il quale non ha ancora sperimentato la morte corporale, ma per la sua "follia" (v. 59; simboleggiata dallo smarrimento nella selva), fu assai vicino alla morte spirituale
• ripete e chiarisce meglio la propria condizione di guida, inviata dal cielo (vv. 61-63)
• riassume in una terzina il viaggio compiuto attraverso l'Inferno e quello che intende compiere attraverso il Purgatorio (vv. 64-66)
• aggiunge che egli ha condotto Dante a vedere lui, Catone, e ad apprendere i suoi consigli (vv. 67-69)
• cerca di ottenere il desiderato permesso adducendo il nobile fine di Dante di acquistare quella libertà morale che induce taluno a sacrificare per essa la stessa vita, come sa lo stesso Catone (vv. 70-75)
• spiega che nessuna legge infernale è stata violata, perché Dante è ancora vivo ed egli è nel Limbo (vv. 76-77). Il ricordo del Limbo porta alla citazione di Marzia, la moglie dilettissima di Catone (78-84) ==> captatio benevolentiae
v. 94
Allegoria di:
• il giunco schietto è simbolo dell'umiltà
• la caligine infernale è simbolo delle umane passioni
vv. 107-108
Allegoria del sole, simbolo della Grazia divina
vv. 134-136
"La chiusa del canto ha un tono raccolto in umiltà di parole e di gesti… E' tutto un meravigliato, estatico raccoglimento, per cui senti che la poesia delle cose tende a passare tutta al di dentro e canta sommessa nell'anima" (Grabher)
CANTO II
Il canto II del Purgatorio è uno dei canti più musicali della Commedia, sia per la descrizione dell'Aurora, che è un inno alla luce, sia per le anime del "vasello snelletto e leggiero", che cantano il salmo della liberazione.
vv. 1-12
vv. 7-9
vv. 10-12
Dante e Virgilio si trovano sulla spiaggia del Purgatorio, in attesa del sole, che, secondo le parole di Catone, deve mostrare ad essi la via della purificazione. Sono circa le sei del mattino.
Dante descrive il sorgere del sole con immagini erudite e faticose, che hanno lo scopo non solo di designare l'ora del luogo, ma di precisarne anche la posizione geografica: il monte del Purgatorio (secondo Dante) sorge al centro dell'emisfero australe e Gerusalemme, che è ai suoi antipodi, sorge al centro dell'emisfero boreale; così che questi due luoghi hanno in comune lo stesso orizzonte astronomico e lo stesso meridiano. Tale meridiano, col suo zenith, passerà tanto sopra la montagna del Purgatorio quanto sopra Gerusalemme. Con questa descrizione Dante intende dire che il sole si trova sull'estremità occidentale dell'orizzonte di Gerusalemme (sta tramontando), mentre la notte, che gira in opposizione al sole, esce fuori dall'estremità orientale dello stesso orizzonte, dove (secondo le credenze del tempo) era la regione del Gange (sta sorgendo). E poiché il sole, nell'equinozio di primavera, è in Ariete, la notte si trova nel segno della Bilancia, che è diametralmente opposto a quello dell'Ariete.
L'Aurora è poeticamente paragonata ad una vaga giovinetta, che mostra le guance prima bianche, poi vermiglie, e infine color d'arancio. Questi tre colori appaiono nel cielo del mattino: il bianco dell'alba, il rosso dell'aurora, il giallo oro che precede la comparsa del sole.
I due Poeti, non sapendo ancora da quale parte dirigersi e pur desiderosi di procedere, camminano lentamente. Sono tre versi dalla cadenza lenta e malinconica, che esprimono tutta l'ansia del cuore costretto all'attesa forzata.
vv. 13-42
vv. 14-15
v. 27
vv. 28-30
vv. 41-42
Apparizione dell'Angelo nocchiero.
Spunta il sole e insieme spunta questo "lume" (v. 17) che, per l'intenso fulgore, sembra il rosso pianeta Marte, quando accende i vapori del mattino nell'atto di tramontare nel mare.
Virgilio riconosce in quel "lume" un Angelo che guida una nave ("galeotto").
Il "gridò", la ripetizione "Fa', fa'", le frasi brevi e tronche, rivelano molto efficacemente l'ansia di Virgilio, che:
• da un lato è preso di reverenza per il ministro di Dio
• dall'altro teme di non giungere in tempo ad accogliere un così grande personaggio
Con la loro aerea leggerezza, questi due versi danno veramente l'impressione di qualcosa che tutto sfiora e nulla tocca.
vv. 43-51
v. 46
v. 51
Descrizione precisa dell'Angelo e degli spiriti da lui traghettati.
Le anime cantano il salmo CXIII, che celebra la liberazione degli Ebrei dalla schiavitù egiziana, e che deve essere pertanto inteso in senso allegorico. Questo salmo veniva anticamente cantato dai preti durante il trasporto dei defunti alla chiesa o al cimitero, ed è opportunamente messo in bocca alle anime che si avviano al Purgatorio per liberarsi dalle macchie del peccato.
L'Angelo nocchiero è l'antitesi di Caronte, il "nocchero della livida palude": l'uno trasporta le anime al regno della purificazione, l'altro in quello della dannazione; l'uno è tutta mistica serenità e fa il segno della croce, l'altro s'adira e batte le anime col remo; l'uno ha l'aspetto radioso e beatificante, l'altro spaventoso e diabolico
vv. 55-57
Dante, mentre le anime si guardano intorno lungamente, determina l'ora.
Sono circa le sei e mezzo del mattino, e Dante paragona il sole ad un cacciatore che, con le saette "conte" (esperte), mette in fuga il Capricorno, cioè la costellazione che, quando il sole sorge all'orizzonte, si trova sul relativo meridiano, e che, a mano a mano che il sole sale sull'orizzonte, declina al di là del meridiano medesimo.
vv. 67-75
v. 75
Le anime si accorgono che Dante respira e quindi è vivo.
Esse si meravigliano e provano sbigottimento e timore, come se alla loro vista si affacciasse improvvisamente un lembo di quel mondo che hanno lasciato per sempre; ma dopo rimane solo la curiosità. Il quadro è tutto movimento e vita e si conclude con un verso che è "un gioiello di semplicità dolce e serena" (Venturi)
vv. 76-84
vv. 79-81
v. 82
vv. 83-84
Incontro con l'amico Casella.
E' riecheggiato l'incontro tra Enea e Anchise negli Elisi (Eneide)
Tutta la scena è improntata ad un vivo sentimento umano, che si rivela attraverso imponderabili sfumature:
• Dante che esprime nel volto la meraviglia per il vano abbraccio
• Casella che, con malinconico sorriso, si tira indietro per evitare che l'amico provi una nuova delusione; ma Dante, nel suo slancio affettuoso si protende ancora meravigliato verso di lui
vv. 85-117
vv. 88-90
v. 91
Dialogo tra Dante e Casella
Il dialogo è tutto improntato a sentimenti di gentile affettuosità che la morte ha reso più caldi e più vivi.
Casella riafferma per primo, per ben due volte ("Così com'io t'amai… così t'amo"), l'affetto che lo lega al Poeta; e fermandosi non appena giunto al Purgatorio, anziché proseguire verso la purificazione, gli dà la prova migliore di questo affetto.
Anche Dante, seppure in sole due parole, manifesta l'amicizia intensa e fervida che ebbe in vita verso di lui ("Casella mio")
v. 112
Casella canta una canzone di Dante, composta verso il 1294 per la "Donna gentile" della Vita nova (XXXV segg.), ripresa e commentata nel Convivio (III), per dimostrare come la donna cantata sia la Filosofia. Questa canzone probabilmente fu musicata da Casella; ma è dubbio che si musicassero canzoni filosofiche o morali.
vv. 113-117
Effetti del canto di Casella.
L'effetto che la canzone produce sull'animo di Dante è quello di una ineffabile dolcezza; e il verso, con la sua insistente ripetizione ("dolcemente… dolcezza"), coi suoi accenti piani e chiari, sembra quasi ripetere al di là dei limiti della parola la dolcezza della melodia.
Effetto analogo essa produce sull'animo degli ascoltatori, primo fra tutti Virgilio, tanto che il canto pare abbia allontanato ogni altro pensiero, perfino quello della beatitudine eterna.
vv. 118-123
Apparizione di Catone
Ogni piacere umano, per quanto puro e innocente, non è mai perfetto e arriva Catone, che "grida" il suo rimprovero per l'indugio che trattiene le anime; e al suo rimprovero fa seguire il comando.
vv. 124-133
Similitudine: gli spiriti sono paragonati ai più candidi e mansueti tra gli animali, i colombi, mentre compiono un atto innocente; ma se sopravviene un'improvvisa paura, gli spiriti, come i colombi, immediatamente si disperdono.
CANTO III
• Il canto III del Purgatorio è il canto dei negligenti e degli scomunicati, ma, se si può considerare il canto di Manfredi.
• E' un canto in cui Dante, dopo il precedente episodio di Casella, esprime gli affetti più delicati e gentili del proprio animo, come:
• la mansuetudine
• la rassegnazione
• la pace
• il perdono delle offese
• la speranza nell'infinita misericordia di Dio.
• E' anche un canto non privo di movimento e di violenta drammaticità.
vv. 8-9
Dante, preso da intensa ammirazione per Virgilio, una coscienza così intemerata, esce in una sentenza famosa, che riprende un pensiero di Gioveniale (Sat. VIII, 40)
v. 15
La stupenda ed arditissima immagine del verbo "dislagare", immagine di slancio e spazio, che mostra la montagna balzare dalle acque, rappresenta la calma distesa delle stesse acque.
vv. 16-21
Dante si spaventa nel non vedere l'ombra di Virgilio.
Da quando Dante si era incontrato con Virgilio, non si era mai trovato nella circostanza di chiedersi se quel Virgilio, che lo accompagnava, avesse un corpo fisico come il suo, o fittizio come le ombre:
• nell'Inferno egli si era sentito più volte afferrare, abbracciare, trasportare dalla sua guida, ma, poiché nell'Inferno non penetra il sole, egli era entrato nella persuasione che Virgilio avesse un corpo fisico
• nel Purgatorio, quando il sole non era ancora sorto, non aveva potuto fare alcuna constatazione.
v. 25
Poiché all'orizzonte del Purgatorio il sole è ormai sorto da un certo tempo e a Gerusalemme è tramontato, nell'Italia meridionale (a 45 gradi di longitudine dalla Palestina, secondo i calcoli di Dante) è pomeriggio inoltrato, cioè dalle tre alle sei.
vv. 46-51
Paragone tra il monte del Purgatorio e i dirupi della Liguria.
Dante insiste sulla difficoltà del cammino, per significare che la via della salvazione è difficile, mentre quella della perdizione è aperta a tutti
vv. 67-72
L'esitazione delle anime è cagionata dal fatto che i due Poeti:
• procedono verso di loro, cioè a sinistra, contrariamente alla legge del Purgatorio
• procedono speditamente, mentre le anime procedono lentissime
vv. 73-78
Virgilio apostrofa le anime con parole di lode ("O ben finiti", o voi che avete fatto buona fine, v. 73); le prega per ciò che hanno di più caro, la beatitudine eterna (vv. 74-75) e conclude con una sentenza divenuta proverbiale (v. 78). Si avverte una certa enfasi che:
• risponde a un proposito di captatio benevolentiae
• sembra nascere da un fondo di segreta malinconia
• sembra esprimere la pena di chi sa di non essere eletto e di non poter sperimentare quella pace (v. 74)
vv. 79-84
Una delle più soavi similitudini dantesche, che ricorda la divina semplicità del Vangelo. Dante paragona le anime a delle pecorelle.
La descrizione non è soltanto fantastica, ma anche affettiva, come si può rilevare da:
• il diminutivo "pecorelle" (v. 79), dal vezzeggiativo "timidette" (v. 81), dagli aggettivi "semplici e quete" (v. 84), così pieni di tenerezza, di mansuetudine, di umiltà, di candore
• l'andamento stesso del periodo, che si snoda lento e trasognato, mediante una serie di coordinate, come lenti e passivi sono i movimenti delle povere bestiole.
v. 89
L'ombra di Dante
"Giunti, Dante e Virgilio, a piede del monte e voltatisi a sinistra lungo di quello, per andar incontro all'anime, il sole veniva a ferirli da quella parte medesima, cioè dal lato sinistro, e conseguentemente faceva andare la sua ombra dalla parte destra, chìera tra lui e la grotta del mare" (Vellutello)
vv. 107-108
Il ritratto di Manfredi tracciato da Dante corrisponde esattamente a quello lasciatoci dal cronista Saba Malaspina.
vv. 112
Manfredi sorride perché:
• o già prevede la sorpresa che proverà Dante quando saprà lui, nemico dei papi e morto scomunicato, in luogo di salvazione ==> Benvenuto, Lombardi
• o perché semplicemente prevede la sorpresa di colui a cui sia annuncia e dà a conoscere ==> Torraca, Casini-Barbi
• o perché il sorriso di quest'anima salva, come il sorriso di Casella, è luce di bontà, di malinconia, di comprensione anche per l'errore degli uomini, pronti a condannare, mentre Iddio perdona ==> Grabhner
v. 116
Alcuni critici ritengono che Dante sia in contraddizione, perché, mentre in questo canto sembra che esalti Federico re di Sicilia e Giacomo re d'Aragona , li biasimerà poi aspramente nel canto VII, oltre che in altri luoghi (Par. XIX, 130 sgg; Conv. IV, 4; De vulg. eloq. I, 12).
Ma la contraddizione è solo apparente, perché, anche senza dare ad "onore" un significato diverso dal proprio, quale grado, dignità, signoria…, basta notare che in questo momento chi parla è il re svevo, mentre negli altri luoghi è Dante medesimo.
vv. 118-123
La riconciliazione fra Manfredi e Dio in punto di morte per il pentimento dei peccati commessi.
Già poco dopo la morte di Manfredi si era formata nel popolo la leggenda che Manfredi morisse pentito, dicendo le famose parole "Deus, propitius esto mihi peccatori". Quindi Dante, salvando Manfredi, non si allontana dalle tradizioni correnti ai suoi tempi.
vv. 124-132
Manfredi ricorda senza ira la triste odissea del suo corpo e, se un'ombra di risentimento può apparire nell'immagine della "caccia" (v. 124) accanita del vescovo di Cosenza, tale risentimento si smorza nella serena contemplazione della misericordia divina. Egli prova soltanto un'intensa malinconia e un accorato rimpianto per il suo misero corpo, bagnato dalla pioggia e battuto dal vento.
vv. 133-141
L'idea della durata dell'espiazione può essere stata suggerita a Dante:
• da Virgilio (En. VI, 327 sgg), in cui si legge che le anime degli insepolti devono vagare cento anni prima di passare il fiume Acheronte
• o da un racconto dei dialoghi di S. Gregorio Magno, dove si narra che un monaco, morto scomunicato, apparve in sogno al fratello per rivelargli il suo tormento; S. Gregorio ordinò che fossero celebrate trenta messe in suffragio della sua anima; dopo la trentesima riapparve l'anima del monaco a rivelare che era stato liberato dai tormenti.
vv. 142-145
Manfredi chiude il suo intervento, con un grande affetto di padre. Egli sarebbe lieto se potesse liberare la figlia Costanza dal dubbio della sua dannazione e ottenere da lei i suffragi delle sue preghiere.
CANTO V
• Il canto V del Purgatorio è il canto dei negligenti che morirono di morte violenta, ma, se si considerano le figure in esso dominanti, è il canto di:
• Jacopo del Cassero
• Buonacorte da Montefeltro
• Pia senese
• E' un canto pieno di movimento e di violenta drammaticità, che si ricollega alla narrazione egualmente mossa e drammatica dello scomunicato Manfredi.
10-21
12-15
Rimprovero di Virgilio
Il rimprovero ha il medesimo significato dell'Odi profanum et arceo di Orazio (Odi, III, 1)
Dante probabilmente si ispirò a Virgilio (En. VI, 554; X, 693). E' una terzina celebre sia per il nobilissimo significato delle immagini, sia per gli accenti duri e quasi pietrosi.
vv. 22-24
La colpa e la pena dei negligenti che morirono di morte violenta
Dante, in verità, non dice quanto tempo essi debbano stare nell'Antipurgatorio; ma poiché sono colpevoli, come i negligenti della schiera precedente, di avere indugiato a pentirsi all'ultima ora, si può arguire dal silenzio di Dante che anch'essi debbano rimanere fuori dal Purgatorio tanto tempo quanto vissero.
Il "Miserere" è uno dei sette salmi penitenziali, che incomincia: "Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam".
vv. 25-30
L'ombra di Dante
La meraviglia, che produce l'ombra di Dante, è espressa in forma nuova e drammatica, oltre che con limpida esattezza.
vv. 73-78
Jacopo del Cassero, come tanti altri spiriti del Purgatorio, in cui non è ancora spezzato ogni legame con la terra, ricorre col pensiero al luogo fatale della tragedia, e il discorso, fino ad ora pacato, si anima di dolorose vibrazioni.
vv. 103-129
vv. 109-111
Buonaconte da Montefeltro
Dante, che combatté nella battaglia di Campaldino, venne a sapere che il cadavere di Buonconte non era stato trovato e, come già in altri episodi del poema (Francesca, Ugolino), volle integrare la cronaca con la sua fantasia, narrando quello che successe al cadavere nella notte tempestosa che seguì la battaglia. In questi versi si descrive il dramma ultraterreno tra l'Angelo e il demonio.
Egli incomincia con un richiamo alla dottrina scientifica della pioggia esposta da Aristotele (Met, I, 9 e II, 4), quasi a meglio avvertire che la pioggia, fenomeno naturale, fu in realtà cagionata da forze sovrannaturali
vv. 130-136
v. 131
v. 136
Pia senese
In ogni parola freme un ricordo affettuoso, ampio e indefinito. Nelle sue parole non vi è odio verso l'omicida, ma solo rimpianto dei giorni sereni e giulivi delle nozze.
Con una delicatezza prettamente femminile, la donna immagina ciò che a tutti gli altri era sfuggito: che la lunga via lo stanchi; pensiero di madre e sorella, espressione intera del cuore donnesco, timida delicatezza.
La donna ricorda di suo marito, non la mano brutale che uccise, ma ancora la mano pia che le regalò il gemmato, simbolo di un indissolubile affetto.
RIASSUNTO IV CANTO
Unità e pluralità dell'anima (vv. 1-18)
Talora forti impressioni ci attirano talmente l'anima che noi ci dimentichiamo di ogni altra cosa e non ci accorgiamo nemmeno del tempo che passa. A ciò ripensa Dante, accorgendosi adesso che, tutto attento ad ascoltare Manfredi, non aveva notato che il sole era salito di oltre 50 gradi sull'orizzonte, cioè erano ormai passate circa tre ore e mezza dal suo sorgere. I due poeti sono intanto giunti dove le anime dei negligenti indicano loro la via per salire.
Faticosa salita al primo balzo (vv. 19-51)
Davanti Virgilio e Dante dietro, si mettono per un sentiero stretto, erto e malagevole assai più di quello che porta a San Leo, o che discende dai monti presso Noli, o per cui si sale a Bismantova. Le mani e i piedi non bastano a Dante: è necessario che si aiuti con le ali del desiderio, dietro alla sua guida che lo incoraggia. Giunti sopra il ripiano della ripa, Dante chiede da quale parte devono procedere, ma Virgilio lo ammonisce di continuare la salita finché non si trovi una guida sicura. Dante, preso da abbattimento, vorrebbe fermarsi, ma Virgilio lo esorta a tirarsi su fino a un balzo vicino, e Dante, rincuorato, si continua ad arrampicarsi, finché si trova nel luogo indicato.
Il sole a sinistra e spiegazione di Virgilio (vv. 52-84)
I due poeti si siedono, volgendo gli occhi ad oriente, da dove sono saliti e Dante si meraviglia che il sole giri a sinistra anziché a destra; e Virgilio gli spiega minutamente le ragioni del fenomeno. Se il sole, che illumina vicendevolmente i due emisferi, fosse nella costellazione dei Gemelli, Dante vedrebbe la parte dello zodiaco, rosseggiante per il sole, ruotare più vicino al polo artico. Se ora immagina Gerusalemme e il Purgatorio agli antipodi, in modo che hanno un solo orizzonte ed appartengono a due opposti emisferi, sarà facile comprendere che l'eclittica corre da sinistra a destra a Gerusalemme e da destra a sinistra in Purgatorio. Dante dichiara di avere capito perfettamente come l'Equatore è tanto distante, a settentrione, dal Purgatorio, quanto lo è, a mezzogiorno, da Gerusalemme.
La natura del Purgatorio (vv. 85-96)
Prima di riprendere il cammino, Dante domanda quanto ci sarà ancora da salire, poiché il monte è tanto alto che non si vede la sommità. Virgilio risponde che la natura del Purgatorio è tale che più si sale e più diventa agevole; per cui, quando la salita gli diventerà piacevole, allora sarà al termine del cammino e potrà riposarsi.
Seconda schiera di negligenti: coloro che indugiarono a pentirsi in punto di morte. Belacqua (vv. 97-139)
Virgilio ha appena finito di parlare, che risuona una voce: "Prima che tu giunga lassù, avrai forse bisogno di vedere!". I Poeti vedono un gran masso, dietro il quale stanno alcune anime, in atteggiamento di pigra stanchezza. Una di quelle anime attira l'attenzione di Dante, che la addita a Virgilio come la più pigra di tutte; ma l'anima rivolge al poeta parole di ironia. Dante riconosce il fiorentino Belacqua, il quale continua a chiedere a Dante se ha capito perché il sole gira a sinistra. Dante gli chiede cortesemente perché non sale il monte e lui risponde che sarebbe inutile, perché l'Angelo che sta alla porta del Purgatorio non lo lascerebbe entrare; e che, avendo indugiato a pentirsi in punto di morte, deve stare fuori dal Purgatorio tanto tempo quanto visse, a meno che questo tempo venga abbreviato dalle preghiere dei vivi in grazia di Dio. Virgilio ha ripreso il cammino ed esorta Dante ad affrettarsi, perché è ormai mezzogiorno.

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