Costituzione e ordinamento

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Testo

ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA ITALIANA IL PARLAMENTO Il parlamento si compone in due camere:la camera dei deputati formata da 360 deputati elettivi,e il senato della repubblica formata da 315 senatori elettivi,e da un piccolo numero di senatori a vita.il nostro ordinamento è un sistema bicamerale paritario,perché le due camere hanno esattamente gli stessi poteri.Entrambe le camere sono formate da membri elettivi.Nel senato esistono,oltre ai membri elettivi,2 tipi di senatori a vita e sono:Cinque cittadini che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica tra coloro che Tutti gli ex Presidenti della Repubblica che sono di diritto senatori a vita.Vi sono differenze inoltre circa l’età richiesta per la capacità elettorale attiva:mentre per la camere dei deputati sono elettori tutti i cittadini che hanno raggiunto la maggiore età.Sono quindi esclusi dalle elezioni per il senato i giovani compresi tra i 18 ei 25 anni.Un’altra differenza è stabilita per l’età necessaria per l’eleggibilità che è fissata per 25 anni per i deputati e a 40 per i senatori. Le Elezioni La legge 277\1993 ha introdotto per la camera dei deputati,un sistema elettorale maggioritario con correzione proporzionale.I 630 seggi della camera sono divisi in 2 quote: il 75% dei seggi pari a 475 seggi su 630 viene assegnato con un sistema elettorale maggioritario in collegi uninominali;si vota una persona collegata a uno o più partiti,è eletto deputato chi ottiene più voti nell’ambito di ogni singolo collegio; Il 25% dei seggi pari a 155 seggi su 630,viene assegnato con un sistema elettorale proporzionale con sbarramento sulla base di liste di partito;si vota una lista,i seggi sono ripartiti sul piano nazionale tra le liste che superano il 4% dei voti,in proporzione ai voti ottenuti da ciascuna di esse.Ogni elettore riceve due schede una per l’elezione della quota maggioritaria e una per l’elezione della quota proporzionale.Per l’elezione dei primi 475 deputati il territorio italiano e diviso in 475 collegi,ciascuna delle quali elegge un solo deputato,di ogni partito o gruppi di partiti che presentano un solo candidato,viene eletto il candidato che ottiene il maggior numero di voti.Per l’elezione degli altri 155 candidati,invece ogni partito corre per sé presentando una propria lista.Gli elettori,sulla seconda scheda esprimono la preferenza per un partito. I voti ottenuti da ciascun partito vengono poi sommati a livello nazionale e i 155 seggi vengono distribuiti proporzionalmente tra i vari partiti sulla base dei voti ottenuti.Il sistema elettorale per il senato introdotto nel 1993,è molto simile della camera.Si tratta anche in questo casa di un sistema maggioritario con correzione proporzionale.I 315 seggi del senato sono divisi in 2 quote: Il 75% dei seggi pari a 232 seggi su 315 viene assegnato con un sistema elettorale maggioritario in collegi uninominali;si vota una persona collegata a uno o più partiti;è eletto senatore chi ottiene più voti nell’ambito di ogni singolo collegio;I 255 dei seggi pari a 83 su 315 viene assegnato con metodo proporzionale sulla base dei voti riportati dai partiti nei collegi uninominali di ciascuna regione;sono eletti senatori i candidati non risultati eletti nei collegi uninominali che hanno riportatati percentuali di voto più alte.Una volta eletti i parlamentari godono del principio del mandato imperativo, cioè i parlamentari non sono revocabili in nessun caso dagli elettori;sono liberi di assumere in parlamento posizioni diverse da quelle sostenute nella campagna elettorale.Inoltre i cittadini italiani che diventano membri del parlamento acquistano una speciale protezione giuridica che non spetta a nessun altro cittadino.Tale protezione giuridica è costituita dalle immunità dei parlamentari: a)L’irresponsabilità per le opinioni date e per i voti espressi:i membri del parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinione espresse e dei voti dati nelle esenzione delle loro funzioni. b)L’immunità processuale: riguarda invece i reati di qualsiasi tipo commessi dai parlamentari anche al di fuori delle loro funzioni.Secondo la nuova formulazione dell’art.68della Costituzione,introdotta dalle legge costituzionale 3/1993,i giudici possono procedere liberamente contro un membro del parlamento che sia sospettato di aver commesso un reato,possono indagare su di lui,interrogarlo e svolgere il relativo processo.Tuttavia essi devono ottenere la preventiva autorizzazione della camera alla quale il parlamentare fa parte prima di sottoporlo a misure che limitano la sua libertà personale,ossia all’arresto.Ciascuna delle camere provvede con proprio regolamento approvato a maggioranza assoluta.Elegge un Presidente che è coadiuvato da un ufficio di presidenza.Il parlamento si riunisce in sede comune quando si deve eleggere il presidente della repubblica,per eleggere 5 giudici costituzionali,per eleggere 10 componenti del consiglio superiore della magistratura,per mettere in stato d’accusa il Presidente della Repubblica per .Per le questioni più importatanti le camere si riuniscono in assemblea plenaria,con la presenza di tutti i componenti(nel gergo parlamentare in un aula),le riunioni cioè si svolgono nelle grandi aule di Montecitorio per la camera dei deputati e di palazzo Madama per i il senato,ma gran parte del lavoro parlamentare si svolge all’interno di organismi più ristretti :le commissioni permanenti.Ciascuna di esse riunisce un numero ridotto di parlamentari e si occupa di una particolare materia.Tutti i progetti di legge che vengono sottoposti all’approvazione delle camere passano prima di tutto,al vaglio della commissione componenti per materia.Mentre l’assemblea plenaria è la sede naturale per lo svolgimento dei dibattiti politici più importanti.Nel parlamento possiamo trovare anche i gruppi dei parlamentari,che sono,in pratica,i partiti in parlamento.Tutti i deputati o i senatori di ciascun partito formano,nell’ambito della camera di appartenenza,un gruppo parlamentare.I loro presidenti hanno un ruolo istituzionale molto importante.Sono i portavoce ufficiali del proprio partito all’interno di ciascun camera;riuniti insieme formano la conferenza dei presidenti di gruppo cui spetta il compito di programmare i lavori di ciascuna camera fissando quindi le priorità politiche nella discussione parlamentare.Le camere sono organi collegiali organi formati,cioè da una pluralità di persone,che agiscono in modo unitario.Le deliberazioni delle camere sono adottate mediante votazione,secondo il numero legale delle camere, cioè vi deve essere la maggioranza dei loro componenti,o per maggioranze richieste di regola,come stabilisce la costituzione è sufficiente che la deliberazione sia approvata a maggioranza semplice,ossia della maggioranza dei parlamentari presenti in aula al momento della votazione.In casi particolari indicati dalla Costituzione,la maggioranza dei presenti non è sufficiente:occorre la maggioranza assoluta,cioè la metà più uno dei membri della camera.Il parlamento italiano assume una posizione centrale nell’ordinamento costituzionale ,perché è l’unico organo costituzionale che è diretta espressione della sovranità popolare.Tale posizione centrale si riflette nelle funzioni che gli sono attribuite cioè la funzione di indirizzo e controllo politico e la funzione legislativa.Nella funzione di indirizzo e controllo politico il parlamento può chiedere, che i membri del governo rendano conto del loro operato di fronte alle camere e i questo caso essi hanno l’obbligo di intervenire,inoltre il parlamento può Anche prendere l’iniziativa di discutere su qualunque tema politico e formulare direttive politiche che prendono il nome di risoluzioni o di mozioni,cui il governo deve attenersi,pena il rischio di incorrere nella sfiducia del parlamento.La funzione legislativa consiste di fare le leggi,ciò non significa che il potere legislativo sia assoluto,cioè senza limiti.Benché esso possa regolare,in linea generale,qualunque materia,non può mai disporre in contrasto con quanto stabilisce la Costituzione.Oltre a fissare dei limiti invalicabili,la Costituzione stabilisce anche che alcuni argomenti possono essere regolati solo dal parlamento,si parla della riserva legge nel senso che alcune materie sono riservate alla legge cioè al parlamento.Un provvedimento diventa legge quando sia stato seguito un procedimento,cioè una serie di atti e di fatti giuridici posti in sequenza;soltanto al termine di tale procedimento la legge ha esistenza nell’ordinamento giuridico.Questo procedimento è disciplinato dagli artt.71-74della Costituzione e si compone delle seguenti fasi: 1)iniziativa; 2)discussione e approvazione 3)promulgazione 4)pubblicazione Il procedimento può iniziare indifferente dalla camera dei deputati o dal senato;quando la prima camera ha approvato la legge,deve trasmetterla alla seconda che inizierà da capo la discussione e alla fine approverà il testo a sua volta.Se però la seconda camera approva il testo con alcune modifiche dovrà ritrasmetterlo alla prima perché lo approvi nella nuova versione.Quest’ultima è però libera di modificarla ancora,il che renderà necessario un nuovo intervento dell’altra camera,e cosi via finchè lo stesso testo non verrà approvato da ciascuna delle 2 camere. 1)L’iniziativa di legge è la facoltà di proporre una legge alla discussione del parlamento.La proposta di legge non può consistere in una indicazione generica,ma deve essere redatta in articoli.Il più importante è senza dubbio il governo.Esso non può,come noto,fare le leggi,ma in genere ha la necessità di nuove leggi per realizzare il suo programma politico che sono chiamati disegni legge.L’iniziativa legislativa spetta inoltre a ciascun deputato e a ciascun senatore.Meno rilevante è l’iniziativa degli altri organi ed enti a cui fa riferimento l’art.71 della Costituzione:si tratta dei consigli regionali e del Cnel.E’ prevista inoltre l’iniziativa popolare art.71 c.2 della Costituzione:occorre che la proposta di legge sia sottoscritta da 50.000 elettori. 2)Discussione e approvazione:il procedimento normale.Una volta giunta alla camera,la proposta di legge può essere discussa e approvata secondo 2 procedimenti diversi quello normale,e quello speciale.La scelta tra i 2 procedimenti spetta ai presidenti delle camere.Il procedimento normale si svolge in 2 fasi,dapprima la proposta di legge viene discussa nella commissione permanente che è competente per materia e poi trasmessa all’assemblea plenaria a cui spetta l’approvazione finale,in questo caso si dice che la commissione si riunisce in sede referente,nel senso che si discute il progetto in via preliminare,vi si apportano le modifiche che si ritengono opportune e poi si riferisce all’assemblea plenaria.In questa ultima sede,una volta sentita la relazione della commissione,si procede a una nuova discussione e poi alla votazione.Essa avviene separatamente per ciascun articolo della legge e poi,al termine,sulla legge nel suo complesso. Pio vi è la discussione e approvazione tramite il procedimento speciale,consiste che la legge può essere approvata in via definitiva,dalla commissione permanente,saltando la fase dell’approvazione nell’assemblea plenaria,in questo caso si dice che la commissione si riunisce in sede deliberante.Sono evidenti i vantaggi di questo procedimento,ma anche i rischi che esso comporta,in questo modo una legge(obbligatoria per tutti i cittadini)finisce per essere discussa e decisa da un numero limitato di parlamentari, perchè le commissioni sono formate da 40-50 membri della camera dei deputati,e 20-30 del senato.La costituzione ha perciò fissato 2 regole per limitare questo inconveniente,cioè una volta iniziato il procedimento speciale è sempre possibile passare al procedimento normale su richiesta del governo,di un decimo dei componenti della camera o di un quinto dei membri della commissione,l’altra regola consiste che il procedimento speciale non può essere mai adottato per un certo numero di materie di particolare importanza, indicate dall’art.72 comma 4 della Costituzione.
3)La promulgazione consiste che una volta che la legge è stata approvata da entrambe le camere,essa deve essere promulgata dal presidente della repubblica,il quale può rinviare la legge alle camere con messaggio motivato chiedere una nuova deliberazione.Se però le camere approvano nuovamente la legge ,questa deve essere promulgata.La promulgazione è una dichiarazione solenne e formale con cui il Presidente della Repubblica afferma l’avvenuta approvazione della legge da parte delle 2 camere e l’obbligo ai cittadini di osservarla 4)La pubblicazione viene fatta sulla gazzetta ufficiale che è appunto,il giornale dello stato.La pubblicazione ha uno scopo pratico evidente:dare ai cittadini la possibilità di conoscere,attraverso una fonte ufficiale,il contenuto delle leggi.La legge entra in vigore di regola il quindicesimo giorno successivo alla data di pubblicazione. Al parlamento compete anche l’approvazione delle leggi costituzionali,le norme in esse contenute,hanno lo stesso rango delle norme costituzionali e quindi possono modificare la costituzione.Esse hanno,di conseguenza,una forza superiore delle leggi ordinarie,ma anche in tale funzione il parlamento incontra dei limiti.Uno di essi è espressamente stabilito nella Costituzioneart.139,non si potrebbe perciò trasformare la repubblica in monarchia,attraverso una modificazione della costituzione,dove si afferma che.Le leggi costituzionali devono essere approvata sempre nell’assemblea plenaria e mai in commissione (art72comma4) e l’approvazione deve essere ripetuta da ciascuna camera 2 volte,e tra una votazione e l’altra si deve intercorrere almeno 3 mesi.Per l’approvazione è necessaria la maggioranza dei due terzi dei membri di ciascun camera,ma se l’approvazione avviene con la maggioranza assoluta,entro 3 mesi la stessa legge può essere sottoposta a referendum popolare,se esso viene richiesto da un quinto dei membri di una camera, da 500.000 elettori o da 5 consigli regionali.Il referendum è una votazione in cui il popolo è chiamato a pronunciarsi su una singola questione con un si o con un no.E’ dunque,un istituto di democrazia diretta perché consente al popolo di prendere una decisione direttamente.La Costituzione italiana ha voluto ammettere la possibilità di ricorrere al referendum popolare per l’abrogazione di leggi già esistenti.Il popolo,con referendum,può quindi togliere efficacia a una legge,ma non può ne modificarla,né introdurre una nuova.Inoltre secondo la Costituzione possono essere sottoposti a referendum le leggi del parlamento e gli atti aventi forma di legge,cioè i decreti-legge e i decreti legislativi emanati dal governo.La richiesta può essere sia totale che parziale:può quindi essere richiesta l’abrogazione di singole disposizione all’interno della legge.
IL GOVERNO
Il governo è il più “forte” degli organi costituzionali.
Dispone direttamente del comando sulla pubblica amministrazione e quindi dell'uso della forza pubblica e delle risorse finanziarie dello Stato.
Tiene i rapporti con gli altri Stati.
È in grado di prendere decisioni rapide perché è un organo ristretto e politicamente omogeneo ed è in grado di metterle in pratica.
Rappresenta quindi il motore dell'intera macchina statale.
Proprio perché nel governo si realizza la massima concentrazione di potere all'interno dello Stato, nel corso dell'evoluzione storica dei regimi costituzionali dell'Occidente ci si è preoccupati di limitare i poteri del governo, in modo da evitare l'esercizio di un potere incontrollato, e di garantire che il governo usasse il suo potere in modo democratico, ossia in modo corrispondente alla volontà della maggioranza della popolazione.
Il primo problema, quello dei limiti, è stato risolto sottoponendo il governo alla sovranità della legge (principio di legalità): in base a questo principio il governo può dire esclusivamente nei limiti fissati preventivamente dalle leggi i suoi dati possono essere sottoposti al giudizio dell'autorità giudiziaria che può annullarli si risultano illegittimi.
Il secondo problema, quello della legittimazione democratica del governo, è stato risolto in modo diverso, nelle forme di governo presidenziali che nelle forme di governo parlamentari.
Nelle forme di governo presidenziali, il governo gode di una legittimazione democratica propria al pari del Parlamento poiché esso, o meglio il suo capo, è eletto direttamente dal popolo.
Nelle forme di governo parlamentari, il governo gode di una legittimazione democratica derivata: è infatti espressione della maggioranza politica che si costituisce in seno al Parlamento; per governare deve ottenere la sua fiducia ed è obbligato e dimettersi quando tale fiducia viene mancare.
Anche all'interno delle forme di governo parlamentari esistono notevoli differenze nella fisionomia del governo.
Essi dipendono da 2 circostanze principali:
• La coesione e la stabilità della maggioranza parlamentare di cui governo espressione;
• il grado di autonomia della figura del capo di governo nella scelta dei ministri e dei suoi rapporti con il Parlamento.
LA COMPOSIZIONE DEL GOVERNO
Il governo è composto dal presidente del consiglio e dai ministri che insieme formano il consiglio dei ministri (art. 92 c. 1 Cost.).
La costituzione stabilisce in termini molto generali le attribuzioni del presidente del consiglio (art. 95 c. 1), ma non quelle dei ministri e del consiglio dei ministri e rinvia alla legge il compito di fissare con più precisione le regole per il funzionamento del governo (art. 95 c. 3).
Sono però stati necessari 40 anni perché questa disposizione venisse attuata.
Soltanto nel 1988 è stata infatti approvata la legge 400/1988 intitolata “Disciplina dell'attività di governo e ordinamento della presidenza del consiglio dei ministri” che regola in modo completo la composizione del governo e le attribuzioni dei suoi organi.
I membri del governo non devono essere necessariamente membri del Parlamento; in tempi recenti, in seguito alla crisi dei partiti, è accaduto più di una volta che fossero chiamate a far parte dei governo persone estranee alla politica: professionisti, esperti, professori universitari (ministri tecnici).
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO
Il presidente del consiglio ha una posizione di preminenza sugli altri membri del governo.
Innanzitutto egli ha il compito di formare il governo, una volta ricevuto l'incarico da parte del capo dello Stato, e di scegliere i ministri (art. 92 c. 2 Cost.).
Le sue dimissioni provocano la caduta dell'impero governo.
Inoltre egli “dirige la politica generale del governo”, “mantiene l'unità dell'indirizzo politico, amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri” (art. 95 c. 1 Cost.).
Convoca le riunioni del consiglio dei ministri, ne stabilisce l'ordine del giorno e lo presiede.
Egli non può dare ordine ai ministri nei settori di loro competenza, ma può impartire loro direttive in attuazione delle decisioni del consiglio, o sospendere l'adozione di atti da parte dei ministri e può chiedere loro di concordare con le dichiarazioni pubbliche che essi intendono rilasciare.
Queste ultime disposizioni sono state introdotte dalla legge 400/1988 con l'intento di rafforzare la posizione del presidente e di conferirgli una maggiore autorità nei confronti dei singoli ministri e quindi nei confronti dei diversi partiti che fanno parte della coalizione.
La presidenza del consiglio ha sede a Roma a Palazzo Chigi. Nella stessa sede si svolgono le riunioni del consiglio dei ministri.
Per svolgere i suoi compiti di indirizzo e coordinamento il presidente del consiglio dispone di una serie di uffici che sono stati organizzati dalla legge 400/1988.
Tale apparato è diretto da un segretario generale scelto discrezionalmente dal presidente del consiglio, e provvede a raccogliere e a elaborare le informazioni necessarie per mettere in pratica il programma di governo e per aggiornarlo.
All'interno del governo, uno o più ministri possono ricoprire l'incarico di vicepresidente del consiglio su designazione del consiglio dei ministri, con il compito di sostituire il presidente in caso di assenza o impedimento temporaneo di questi.
I MINISTRI
Ciascun ministro è a capo di un particolare ramo della pubblica amministrazione che viene chiamato ministero.
Il numero e le competenze dei ministeri sono stabiliti per legge (art. 95 c. 3 Cost.).
Attualmente i ministeri sono 14.
Può capitare che un ministro o lo stesso presidente del consiglio assuma la titolarità di più ministeri.
I ministri hanno una doppia funzione:
• come capi dei rispettivi ministeri sono collocati al vertice di un ramo della pubblica amministrazione e sono quindi organi amministrativi;
• come membri del consiglio dei ministri essi contribuiscono a definire l'indirizzo politico e sono quindi organi costituzionali.
Accanto ai ministri responsabili di un ministero, possono esservene altri, chiamati ministri senza portafoglio, che non hanno alle loro dipendenze un ministero, ma svolgono un incarico particolare e spesso sono chiamati dirigere speciali dipartimenti organizzati in seno alla presidenza del consiglio.
Essi fanno comunque parte a pieno titolo del consiglio dei ministri.
Il loro numero e la natura delle loro incarichi variano da un governo all'altro.
Nelle ultime compagini governative sono stati assegnati abbastanza stabilmente a ministri senza portafoglio i seguenti incarichi: “pari opportunità”, “affari regionali”, “funzione politica”, “rapporti con il Parlamento”, “politiche comunitarie”.
IL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Il consiglio dei ministri è un organo collegiale composto dal presidente del consiglio e dai ministri.
Le sue riunioni non sono pubbliche, non sono ammessi giornalisti, non ne vengono pubblicati i resoconti.
Il consiglio dei ministri è la sede in cui viene definita la politica generale del governo.
Tutte le decisioni più importanti del governo devono essere discusse approvata nel consiglio dei ministri.
Tra di esse:
• il programma da presentare al Parlamento al momento della formazione del governo;
• i disegni di legge da sottoporre all'approvazione del Parlamento;
• i decreti-legge;
• i decreti legislativi;
• i regolamenti governativi;
• le nomine dei più alti funzionari dello Stato.
Poiché consiglio dei ministri è un organo relativamente ampio si è da tempo sviluppata la tendenza ad affidare alcuni tipi di decisioni a organi collegiali più ristretti, costituiti nell'ambito del governo.
In particolare i comitati interministeriali sono organi ristretti che hanno il potere di pronunciarsi su specifiche materie stabilite dalla legge.
Ne fanno parte i soli ministri direttamente competenti in quelle materie.
Il più importante tra questi e il comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) che delibera i principali interventi pubblici in materia economica.
I SOTTOSEGRETARI
Del governo fanno anche parte, ma in modo subordinato, i sottosegretari.
Essi vengono designati dal consiglio dei ministri e decadono con le dimissioni del governo.
A differenza dei ministri, essi non partecipano alle riunioni del consiglio; il loro compito è quello di coadiuvare il ministro a cui fanno capo nelle funzioni che egli delega loro e di rappresentarlo nelle sedute del Parlamento.
Alcuni sottosegretari, cui viene assegnata la responsabilità del dipartimento all'interno di un ministero, assumono la carica di vice-ministri.
LA COMPOSIZIONE DEL GOVERNO
Si procede alla formazione del nuovo governo quando il presidente ha rassegnato le dimissioni, quando cioè si è aperta una crisi di governo.
Si ha comunque la formazione di un nuovo governo all'inizio di ogni legislatura: infatti quando si insediano le nuove camere, subito dopo le elezioni, il governo in carica ha l'obbligo di rassegnare le dimissioni.
La costituzione affida la nomina del nuovo governo al presidente della Repubblica, per garantire la presenza di una figura istituzionalmente al di sopra delle parti in un momento così delicato della vita politica del paese, e ha previsto l'intervento del Parlamento in un momento successivo, mediante il voto di fiducia.
Per la formazione del governo ha costituzione si limita a stabilire che “il presidente della Repubblica nomina il presidente del consiglio e, su proposta di questo, i ministri” (art. 92 c. 2), ma non indica attraverso quale procedimento.
LE CONSULTAZIONI E L’INCARICO
appena il presidente del consiglio uscente comunica le sue dimissioni al presidente della Repubblica (aprendo formalmente la crisi di governo), quest'ultimo da inizio alle consultazioni: riceve cioè quelle personalità politiche (in pratica in linea di tutti partiti presenti in Parlamento) che possono offrire indicazioni sulla soluzione della crisi.
Terminate le consultazioni, egli sceglie un esponente politico a cui affida l'incarico di formare il governo.
In tale scelta il presidente della Repubblica non ha una discrezionalità assoluta.
Se dalle elezioni è emersa con chiarezza una coalizione vincente e se la coalizione ha un proprio leader riconosciuto, il presidente della Repubblica non ha scelta: deve designarlo come presidente del consiglio.
In caso contrario il presidente della Repubblica ha una maggiore libertà, ma deve comunque individuare una persona che possa raccogliere attorno al suo nome una maggioranza parlamentare.
Una volta ricevuto l'incarico di formare il governo, il presidente del consiglio incaricato dovrebbe procedere alla scelta dei ministri.
In realtà, nell'esperienza italiana, è accaduto normalmente che a questo punto si aprissero le trattative tra i partiti, sotto la direzione del presidente incaricato, con lo scopo di definire la forma della coalizione, di stabilire un programma politico comune e di indicare i nomi dei ministri che di fatto venivano designati dei singoli partiti della coalizione.
Può anche accadere che il presidente incaricato non riesca a raggiungere l'accordo per formare il governo e rinunci all'incarico.
In questo caso il presidente della Repubblica procede a nuove consultazioni e all'assegnazione di un nuovo incarico.
Si è anche questo tentativo fallisce, il presidente della Repubblica può compiere altri, a sua discrezione, ma se la formazione del nuovo governo dovesse risultare impossibile il presidente della Repubblica può sciogliere le camere e indire elezioni anticipate.
LE NOMINE
Se il presidente incaricato ritiene di essere in grado di formare un governo che possa godere della fiducia del Parlamento, egli dichiara di accettare l'incarico che gli è stato conferito e viene nominato “presidente del consiglio” con decreto del capo dello Stato.
Subito dopo il presidente del consiglio sceglie i ministri che vengono a loro volta nominati dal capo dello Stato con proprio decreto.
Una volta nominati, tutti i membri del governo prestano giuramento nelle mani del capo dello Stato (art. 93 Cost.).
Da questo momento il nuovo governo entra in carica e sostituisce il governo precedente che, per tutto il periodo della crisi, aveva continuato a esercitare le sue funzioni, sia pure limitate all'ordinaria amministrazione.
IL VOTO DI FIDUCIA
Per ottenere la pienezza dei suoi poteri il governo deve però compiere un passo ulteriore e cioè ottenere la fiducia del Parlamento.
A questo fine, entro 10 giorni dalla sua formazione, il governo deve presentarsi davanti a ognuna delle due camere (art. 94 c. 3 Cost.).
In queste sedi il presidente del consiglio espone il programma del suo governo; sulle sue dichiarazioni si svolge una discussione che si conclude con una votazione della mozione di fiducia, che avviene con voto palese (art. 94 c. 2 Cost.).
La mozione di fiducia è un documento, presentato dai parlamentari della maggioranza, in cui si afferma che la camera approva le dichiarazioni programmatiche del presidente del consiglio e accorda la fiducia al governo.
In genere l'esito del voto di fiducia a favore del governo è scontato perché il presidente del consiglio, prima di accettare l'incarico, ha già provveduto ad accertare l'esistenza di una maggioranza parlamentare a sostegno del suo governo.
Può accadere che il Parlamento neghi fiducia al governo.
In questo caso il governo è costretto a dimettersi e si riapre una crisi di governo; con una conseguenza paradossale però: poiché il governo era già entrato in carica al momento del giuramento, esso continua ad esercitare le sue funzioni sino all'insediamento del governo successivo.
Può così accadere che per un periodo di tempo il paese sia retto da un governo che non ha mai avuto la fiducia del Parlamento.
LA COMPOSIZIONE DEL GOVERNO
Il governo è obbligato a dimettersi quando il Parlamento gli da la sfiducia.
La costituzione, nel tentativo di evitare crisi di governo troppo frequenti, ha stabilito due regole:
• “il voto contrario di una o di entrambe le camere su una proposta del governo non importa obbligo di dimissioni” (art. 94 c. 4 Cost.): se dunque il Parlamento respinge un disegno di legge con decreto-legge voluto dal governo, ciò non va inteso automaticamente come espressione di sfiducia e il governo può pertanto restare in carica;
• viceversa il governo è giuridicamente obbligato a dimettersi soltanto in un caso: quando il Parlamento approva una mozione di sfiducia, ossia un documento che esplicitamente esprime il disaccordo del Parlamento sulla linea politica seguita dal governo: “La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno 1/10 dei componenti della camera e non può essere messi in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione” (art. 94 c. 5 Cost.).
IL CARATTERE EXTRAPARLAMENTARE DELLE CRISI DI GOVERNO
In genere, quando il governo si rende conto che non esiste più una maggioranza parlamentare che lo sostiene, preferisce dimettersi prima che le camere abbiano discusso e approvato la mozione di sfiducia.
Queste crisi di governo vengono chiamate crisi extraparlamentari perché non nascono da una discussione complessiva del Parlamento sull'operato del governo nè da una mozione di sfiducia, ma da valutazioni politiche compiute all'esterno del Parlamento stesso.
Spesso si è dato un giudizio negativo su questa procedura; infatti in questo modo il governo non è obbligato a confrontarsi pubblicamente in Parlamento sulla sua politica e sulle ragioni della crisi.
Molto spesso i veri motivi della crisi restano poco chiari di fronte all'opinione pubblica e allo stesso Parlamento.
Il governo dimissionario rimane in carica fino alla nomina del governo successivo per evitare un “vuoto di potere”.
Tuttavia le funzioni del governo dimissionario sono limitate all'ordinaria amministrazione.
LA QUESTIONE DI FIDUCIA
Il governo può provocare un voto di fiducia da parte del Parlamento.
Quando presso le camere e in discussione un provvedimento che il governo considera di grande importanza per la realizzazione del suo programma politico, esso può porre, su quel provvedimento, la questione di fiducia: ossia annunciare che considererà una prova di sfiducia la mancata approvazione di quel provvedimento in quel caso si dimetterà.
Una volta posto la questione di fiducia, il provvedimento viene messo i voti con le stesse modalità del voto di fiducia, cioè con voto palese, e decadono automaticamente tutti gli emendamenti presentati.
Lo scopo del governo, nel porre la questione di fiducia, è quello di mettere in Parlamento di fronte a una secca alternativa: o accettare la volontà del governo o provocare la crisi, e quindi di facilitare l'approvazione del provvedimento.
Con il voto palese il parlamentari della maggioranza sono ricondotti alla disciplina di partito.
Si tratta di una prova di debolezza: se un governo pone spesso una questione di fiducia, vuol dire che dispone di una maggioranza poco sicura e poco unita e che è costretto a minacciare la crisi per riuscire a far aderire il Parlamento alle sue proposte.
LA RESPONSABILITA’ POLITICA E PENALE
Il governo è responsabile di fronte al Parlamento e si tratta in questo caso di responsabilità politica, cioè legata all'indirizzo politico per seguita dal governo.
In caso di disaccordo politico tra Parlamento e governo, il secondo è costretto a dimettersi.
In questo senso la costituzione dice che “il presidente del consiglio è responsabile della politica generale del governo e che i ministri sono responsabili collegialmente degli atti del consiglio dei ministri”.
Lo stesso articolo 95 aggiunge che “i ministri sono responsabili individualmente degli atti dei loro ministeri”.
I REATI MINISTERIALI
Altra cosa è la responsabilità penale, ossia la responsabilità dei membri del governo per i reati da loro eventualmente commessi.
È evidente che tale responsabilità non può riguardare l'intero governo, ma soltanto singoli membri di esso: responsabilità penale è infatti sempre personale (art. 27 Cost.).
In base al nuovo testo dell'art. 96 della costituzione, come modificato dalla legge costituzionale 1/1989, i ministri, per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni, sono sottoposti alla giustizia ordinaria previa autorizzazione della camera cui appartengono, o del senato se non sono membri del Parlamento.
È stato scelto in sostanza di riservare ai ministri un trattamento simile a quello dei parlamentari.
Con due differenze principali però:
• quando un giudice, nel corso dell'indagine, scopre che un ministro potrebbe essere coinvolto in un reato, deve trasmettere gli atti a un collegio di 3 magistrati (il tribunale dei ministri) appositamente costituito presso il tribunale, che svolge le indagini preliminari a carico del ministro e alla fine può decidere se chiedere l'autorizzazione a procedere al Parlamento oppure archiviare il caso;
• la camera competente può negare l'autorizzazione “ove reputi con giudizio insindacabile che l'inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di governo”. La camera conserva in sostanza il potere di negare l'autorizzazione in base a valutazioni di tipo politico.
Se l'autorizzazione viene concessa, il processo contro il ministro ha luogo davanti al giudice ordinario.
Il sistema precedente che affidava i ministri a una speciale giustizia politica, aveva finito per attribuire un ingiustificato privilegio ai membri del governo.
La spinta decisiva per il cambiamento è venuta da un referendum che, nel 1988, si è espresso contro alcuni aspetti del vecchio sistema, inducendo il Parlamento a modificare il testo della costituzione.
LA RESPONSABILITA’ POLITICA E PENALE
LA FUNZIONE DI INDIRIZZO POLITICO
Tocca il governo stabilire fini, obiettivi e strumenti della politica dello Stato.
Esso li definisce, una prima volta in via generale, presentando il proprio programma al Parlamento e poi concretamente, di volta in volta, nell'azione di governo.
L'orientamento politico del governo riguarda sia la politica interna si era politica estera.
I modi con cui il governo manifesta e realizza il proprio indirizzo politico possono essere diversi.
Può agire attraverso decisioni rilevanti sul piano giuridico: le più importanti sono la presentazione dei disegni di legge al Parlamento e l'approvazione di decreti-legge o di provvedimenti amministrativi; o anche agire attraverso dichiarazioni in Parlamento o, in modo meno formale, attraverso i discorsi pubblici, dichiarazioni alla stampa, messaggi televisivi.
Il limite fondamentale che il governo incontra nella formulazione e nell'attuazione del proprio programma politico è costituito dalla responsabilità politica che ha di fronte al Parlamento.
LA FUNZIONE AMMINISTRATIVA (O ESECUTIVA)
Il governo, sia nel suo insieme sia nell'espressione di singoli ministri per i ministeri di loro competenza, è posto al vertice della pubblica amministrazione.
Poiché l'amministrazione statale è organizzata in modo gerarchico, il governo e i singoli ministri possono impartire ordini ai loro sottoposti.
Nell'ambito di tale funzione il governo può emanare norme giuridiche secondarie sotto forma di regolamenti.
Il limite generale che governo incontra nell'esercizio di questa funzione è costituito dalla necessità di rispettare la legge.
LA FUNZIONE LEGISLATIVA
Benché la funzione legislativa spetti al Parlamento, il governo, nei casi tassativamente indicati dalla costituzione (artt. 76 e 77), può emanare norme aventi forza di legge, capaci quindi di abrogare leggi preesistenti.
I provvedimenti in questione prendono il nome di decreti-legge e di decreti legislativi: si tratta di vere e proprie leggi dal punto di vista della loro efficacia, anche se formalmente non possono assumere il nome di legge.
I DECRETI-LEGGE
Possono presentarsi nei casi in cui è necessario emanare nuove norme di legge con particolare urgenza.
Poiché il normale procedimento legislativo richiede tempo, la costituzione, all'art. 77, da al governo in via eccezionale il potere di adottare, sotto la sua responsabilità, provvedimenti che hanno forza di legge e che vengono immediatamente in vigore.
Tali provvedimenti vengono chiamati decreti-legge perché in essi si riuniscono l'elemento formale del decreto (sono infatti decisi dal governo) e l’efficacia sostanziale della legge.
Tali decreti-legge devono però essere approvati dal Parlamento e quindi convertiti in legge entro il termine di 60 giorni.
I PRESUPPOSTI
La costituzione sottolinea la particolare eccezionalità di tale potere legislativo affidato al governo: i decreti legge possono infatti essere adottati “solo in casi straordinari di necessità e urgenza”.
Il decreto legge viene deliberato dal consiglio dei ministri e viene emanato, subito dopo, dal presidente della Repubblica.
Viene quindi immediatamente pubblicato sulla gazzetta ufficiale, ed entra in vigore il giorno stesso della comunicazione.
I DECRETI LEGISLATIVI
La costituzione prevede un secondo caso in cui il governo può emanare norme aventi forza di legge: ciò si verifica quando la funzione legislativa gli viene delegata dal Parlamento.
L’atto del governo prende, in questo caso, il nome di decreto legislativo.
Lo scopo di questo istituto è quello di facilitare l'emanazione di leggi che contengono una disciplina particolarmente complessa sul piano tecnico o molto dettagliata.
Il Parlamento è infatti poco adatto per l'elaborazione di leggi di questo genere, a causa dei tempi lunghi richiesti dal normale procedimento legislativo e della difficoltà di coordinare testi di legge notevolmente lunghi e complessi.
Può quindi delegare questo compito al governo che è in grado di agire in tempi più rapidi e che dispone di uffici che hanno la competenza tecnica necessaria.
Il Parlamento conferisce la delega al governo mediante una legge chiamata legge di delegazione una legge delega.
Essa viene approvata secondo il normale procedimento legislativo ed è efficace solo nei confronti del governo.
Da legge delega deve indicare obbligatoriamente:
• l'oggetto della delega in modo preciso e delimitato (è quindi vietata la delega in bianco);
• i principi e criteri direttivi a cui governo deve attenersi;
• il termine entro cui governo deve emanare il decreto legislativo.
Una volta approvata la legge delega, il governo predispone il testo del decreto legislativo.
La preparazione di tale testo è di regola affidata al singolo ministro che è competente nella materia in questione, ma poi esso deve essere sottoposto alla discussione dell'intero consiglio dei ministri che ha il compito di approvarlo.
Il decreto legislativo viene quindi emanato dal presidente della Repubblica e pubblicato sulla gazzetta ufficiale; entra in vigore, come le leggi, il 15° giorno successivo alla pubblicazione.
I decreti legislativi hanno forza di legge.
Essi possono quindi abrogare leggi preesistenti e sono vincolanti per tutti i cittadini.
Se il governo non rispetta i tempi e i criteri fissati dal Parlamento nella legge delega oppure li interpreta in modo errato, i decreti legislativi sono egualmente efficaci, ma possono essere sottoposti al giudizio della corte costituzionale che può annullarli per incostituzionalità, in particolare per contrasto con l'art. 77 della costituzione.
I REGOLAMENTI
Il governo può adottare anche altri atti normativi, chiamati regolamenti, che però non hanno forza di legge.
Essi sono fonti secondarie del diritto.
Il procedimento per l'emanazione di regolamenti è attualmente disciplinato dalla legge generale sul governo (l. 400/1988).
Nell'ambito del governo possono essere emanati due tipi di regolamenti:
• i regolamenti governativi sono deliberati dal consiglio dei ministri, previo parere del Consiglio di Stato e vengono emanati dal presidente della Repubblica;
• i regolamenti del presidente del consiglio e i regolamenti ministeriali sono adottati, sempre previo parere del Consiglio di Stato, rispettivamente dal presidente del consiglio o da un singolo ministro nell'ambito della propria competenza.
La gazzetta ufficiale. In entrambi i tipi di regolamento.
Il potere di emanare regolamenti è una competenza tipica del governo, a differenza del potere legislativo che spetta al governo solo in casi particolari.
In questo caso infatti il governo è subordinato alla legge del Parlamento: i regolamenti illegittimi sono egualmente efficaci ma, come tutti gli atti amministrativi illegittimi, possono essere disapplicati dal giudice ordinario e annullati dal giudice amministrativo.
I regolamenti sono testi normativi molto più particolareggiati delle leggi.
Possono essere usati per:
• specificare le modalità di attuazione di una legge (regolamenti esecutivi);
• completare la disciplina di leggi recanti norme di principio (regolamenti integrativi);
• trattare argomenti che non sono regolati per legge e su cui quindi il governo ha ampia libertà (regolamenti indipendenti)
• disporre l'organizzazione degli uffici pubblici secondo le disposizioni dettate dalla legge (regolamenti di organizzazione).
Allo scopo di promuovere il processo di delegificazione, da legge 400/1988 ha introdotto un ulteriore tipo di regolamenti: i regolamenti delegati.
Essi sono emanati dal governo sulla base di una specifica delega operata da una legge del Parlamento, la quale autorizza il governo a disciplinare una certa materia con un proprio regolamento e stabilisce che al momento dell'entrata in vigore di tale regolamento saranno abrogate le leggi preesistenti che si occupano di quella materia.
Pertanto, una volta emanato il regolamento delegato, tale materia non è più regolata per legge, ma per regolamento: da quel momento in poi le relative norme possono essere modificate dal governo con un nuovo regolamento, senza dover ricorrere al procedimento legislativo.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA:
LA STRUTTURA
Capo dello Stato e rappresentante dell’unità nazionale, il presidente della Repubblica si colloca, nel nostro ordinamento, al vertice formale dell’organizzazione statale, fornito di limitati ma significativi poteri anche sul piano sostantivo.
Durante i lavori della Costituente si discusse a lungo sulla concretezza dei poteri del presidente, indubbiamente ridotti quantitativamente rispetto a quelli che lo Statuto Albertino concedeva al re, ma non per questo meno incisivi e rilevanti nel funzionamento del Senato.
Al di sopra delle parti, il capo dello Stato è garante della costituzionalità dell’ordinamento e la Costituzione gli garantisce efficienti poteri per assolvere a questa delicata funzione: egli è un organo tendenzialmente al di sopra delle parti, capace di intervenire in forza di tali poteri costituzionalmente assegnatigli, per consentire al sistema di funzionare nei momenti di crisi o di pericolo. L’indirizzo politico per il quale agisce è distinto da quello di maggioranza e può definirsi “indirizzo costituzionale” proprio in considerazione della posizione che gli spetta di “custode della Costituzione”.
Elezione e procedure per l’elezione: il presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri, alla quale partecipano tre delegati per ogni regione, con eccezione della Valle d’Aosta che ne ha uno, eletti dal Consiglio regionale.
La convocazione di tale Parlamento spetta al presidente della Camera dei deputati, che deve provvedervi trenta giorni prima che scada il termine di durata del mandato del presidente in carica. Se però le Camere sono sciolte o manca meno di tre mesi alla loro cessazione, l’elezione ha luogo entro quindici giorni dalla riunione delle nuove Camere. Nel frattempo vengono prorogati i poteri del presidente in carica.
In caso di inadempimento permanente o di morte o di dimissioni del presidente della Repubblica, la convocazione del Parlamento integrato dai rappresentanti regionali ha luogo entro quindici giorni dal verificarsi dell’evento, salvo il maggior termine previsto se le Camere sono sciolte o manchi meno di tre mesi alla loro cessazione. In questi casi, ai sensi dell’art. 86 Cost., le funzioni presidenziali sono svolte in qualità di supplente dal presidente del Senato.
L’elezione del presidente della repubblica ha luogo a scrutinio segreto; è dichiarato eletto chi consegua il voto dei due terzi dei componenti dell’Assemblea. Qualora nessuno ottenga un tale risultato, si procede a una seconda ed eventualmente a una terza votazione; solo a partire dal quarto scrutinio è dichiarato eletto chi consegua la maggioranza assoluta.
Proclamato l’esito positivo della votazione, secondo la prassi il presidente della Camera, accompagnato dal Segretario Generale, si reca dall’eletto per consegnargli il verbale dell’avvenuta elezione. Non è prevista in questa fase alcuna accettazione formale da parte dell’eletto.
Requisiti di eleggibilità e incompatibilità: può essere eletto presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquant’anni di età e goda dei diritti civili e politici.
L’ufficio di presidente della Repubblica è inoltre incompatibile con qualsiasi carica o ufficio pubblico o privato e con l’esercizio di qualsiasi professione. Al presidente sono attribuiti una dotazione ed un assegno rivalutati automaticamente annualmente, in base all’indice ISTAT dei prezzi di consumo.
Assunzione della carica: il presidente della Repubblica, prima di assumere le sue funzioni, secondo l’art. 91 Cost. deve prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione dinanzi al Parlamento in seduta comune.
Il giuramento è l’atto con il quale l’eletto capo dello Stato manifesta la sua volontà di accettare la carica e viene immesso nell’esercizio delle sue funzioni. E’ ormai prassi consolidata che all’atto del giuramento il presidente rivolga alle Camere riunite un messaggio, oralmente.
Il presidente della Repubblica dura in carica sette anni dal giorno del giuramento: il termine presidenziale è stato fissato più lungo rispetto alla durata delle Camere (5 anni), per garantire
maggior indipendenza al presidente nei confronti delle Assemblee, entrambe rinnovate nel corso del mandato presidenziale. In astratto, il Capo dello Stato è rieleggibile senza limiti, tuttavia si sono manifestate prevalenti opinioni contrarie alla rielezione dei presidenti scaduti.
Cessazione della carica: la cessazione del mandato può essere determinata da diverse cause:
- scadenza del mandato: è la situazione normale; il presidente della Camera procederà agli adempimenti di cui all’art. 85 Cost.
- dimissioni: atto personale del presidente che non va controfirmato, per essere valido, dai ministri.
- perdita dei requisiti per ricoprire la carica: ipotesi piuttosto astratta.
- condanna da parte della Corte Costituzionale: per atti non riferentisi all’esercizio delle funzioni presidenziali nei casi preveduti dalla legge.
- morte: il presidente del Senato eserciterà le funzioni di Capo dello Stato e il presidente della Camera indirà entro i quindici giorni dall’evento luttuoso l’elezione del nuovo presidente della Repubblica.
- impedimento permanente all’esercizio delle funzioni: questa ipotesi potrebbe sollevare più problemi rispetto alla morte.
Alla cessazione della carica il presidente della Repubblica diventa senatore di diritti, a vita, secondo l’art. 59 Cost. La carica si acquista automaticamente, senza bisogno di accettazione, ma è rinunciabile per espressa disposizione costituzionale. Se il presidente ha perduto la cittadinanza o i diritti civili e politici non può diventare senatore.
Sostituzione temporanea del presidente: si è detto che, secondo l’art. 86, qualora il presidente della Repubblica non possa adempiere le sue funzioni, queste sono esercitate dal presidente del Senato.
Si è infatti tenuto conto che al presidente della Camera è attribuita la presidenza del Parlamento in seduta comune, e la disposizione in materia di supplenza riequilibra così il rapporto tra le due Assemblee ispirato appunto al bicameralismo perfetto.
L’istituto della supplenza del presidente del Senato è lasciato dalla Costituzione a regole di correttezza: è presupposto un impedimento temporaneo o permanente del presidente della Repubb.
Se l’impedimento è permanente devono sussistere ragioni di salute, e il presidente del Senato eserciterà le funzioni di capo dello Stato fino all’entrata in carica del nuovo presidente della Repubblica. Se l’impedimento è temporaneo, dovrà risultare da una situazione obiettiva (ad esempio viaggi all’estero) e non da decisione personale del capo dello Stato, la cui valutazione è peraltro rilevante e può risultare determinante; è escluso l’istituto della delega delle funzioni.
Accertato l’impedimento, il presidente del Senato acquista immediatamente l’esercizio delle funzioni presidenziali, con tutte le prerogative della carica, senza necessità di alcuna particolare procedura e senza l’obbligo di prestare giuramento. In astratto, il supplente può esercitare tutte le funzioni del presidente impedito; tuttavia si è ritenuto che la correttezza costituzionale gli impedisca di adottare decisioni di particolare rilievo politico, quale lo scioglimento delle Camere, o non particolarmente urgenti, come la nomina di sentori a vita.
LE FUNZIONI:
Nell’ordinamento internazionale: nello svolgimento dell’attività internazionale del nostro Stato, il presidente della Repubblica:
a) rappresenta lo Stato nei rapporti internazionali avendo una capacità rappresentativa generale;
b) accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, secondo l’art. 87 Cost.;
c) ratifica i trattati previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere. Tale autorizzazione è richiesta per i trattati di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi.;
d) dichiara lo Stato di guerra deliberato dalle Camere. Nella prassi soltanto con legge potrebbero essere conferiti al Governo i “poteri necessari” e solo successivamente il presidente della Repubblica potrebbe procedere alla formale dichiarazione di guerra (che tuttavia nel nostro ordinamento, ai sensi dell’art. 11 Cost., può solo essere guerra difensiva).
Nell’ordinamento interno:
 Gli atti di indirizzo governativo: gli atti che rendono concreta la politica del Governo vengono imputati al Presidente della repubblica per ragioni formali, ma non indicano una competenza sostanziale dell’organo alla loro adozione, e vengono definiti atti di indirizzo governativo. La legge 12 gennaio 1991,n.13, ha indicato 30 gruppi di atti che vanno, appunto, adottati con decreto presidenziale con elencazione esplicitamente dichiarata tassativa e tale da non poter essere “modificata, integrata, sostituita o abrogata se non in modo espresso”.
( Gli atti esecutivi di prescrizioni costituzionali: altri atti devono essere compiuti dal presidente
della Repubblica per lo stesso funzionamento dell’ordinamento costituzionale. Si tratta di atti
dovuti anche se spesso la loro concreta adozione è preceduta da una proposta ministeriale,
assolutamente necessari per la continuità legale e il regolare funzionamento dello Stato, sicché
la loro omissione o anche un semplice ritardo sarebbero una forma gravissima di violazione
costituzionale da parte del capo dello Stato. Tali sono: la promulgazione delle leggi alla quale il
presidente deve procedere entro un mese, salvo che non intenda rinviare la legge alle Camere
per una nuova deliberazione; l’indizione del referendum popolare, costituzionale o abrogativo;
l’indizione delle elezioni delle nuove Camere e la fissazione della loro prima riunione.
( La presidenza di organi collegiali: spetta al presidente della Repubblica la presidenza di organi
collegiali di rilevanza costituzionali, il Consiglio supremo di difesa e il Consiglio superiore della
Magistratura. Il Consiglio supremo di difesa è composto da otto membri permanenti, ovvero il
presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio dei ministri, cinque ministri e il capo di
stato maggiore della difesa. La presidenza del Consiglio superiore della Magistratura ha
soprattutto carattere simbolico.
( Gli atti di prerogativa: si tratta di concessioni di onorificenze di ordini cavallereschi, di potere
di grazia e di commutazione delle pene, secondo l’art. 87 Cost., mentre la potestà di concedere
amnistia e indulto rimane alle Camere.
 Gli atti di indirizzo presidenziale: sono atti attribuiti non solo formalmente, ma anche sostanzialmente, al capo dello Stato. In forza di tali poteri, il nostro presidente non è solo l’organo neutro e di intermediazione, bensì l’organo attivo abilitato ad intervenire con atti rilevanti, nell’interesse del rispetto della Costituzione e di quell’unità nazionale che spetta al presidente rappresentare. In particolare:
- La nomina del presidente del Consiglio dei ministri: i margini di scelta del capo dello Stato possono in realtà risultare molto ridotti, poiché non può non tenere conto degli orientamenti delle forze capaci di dar vita a una maggioranza parlamentare. Il presidente della Repubblica ha il compito di nomina del presidente del Consiglio e, su sua proposta, dei ministri.
- L’accettazione delle dimissioni del governo: spetta al Presidente accettare le dimissioni presentate dal Governo. Quando il Governo non ha ottenuto la fiducia delle Camere o è stato colpito da sfiducia l’atto è dovuto, così come nel caso di morte, impedimento permanente o decadimento della carica del presidente del Consiglio. Quando invece il Governo presenta le sue dimissioni per valutazioni politiche il capo dello Stato può giocare un ruolo importante e la sua decisione di accettare o di respingere le dimissioni del Governo, rientra in una valutazione autonoma e fondata sugli interessi generali del Paese.
- L’autorizzazione alla presentazione di disegni di legge di iniziativa governativa: l’atto di autorizzazione della presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo ha per lo più valore formale.
- La convocazione straordinaria delle Camere: tale potere, previsto dall’art. 62 Cost., non è mai stato esercitato fino ad oggi.
- L’invio di messaggi alle Camere: i messaggi del capo dello Stato alle Camere hanno un senso solo se si considerano come atti di indirizzo presidenziale, come la possibilità data al presidente, in momenti gravi per il Paese, di prendere l’iniziativa di inviare alle Camere messaggi per richiamare la loro attenzione su questioni che meritino di essere esaminate e discusse.
- Il potere di esternazione: il presidente della Repubblica deve avere la possibilità di esprimere le proprie valutazioni in ordine all’indirizzo costituzionale a lui rimesso, rivolgendole alle Camere con messaggi formali, ma anche ad altre istituzioni costituzionali e al Paese. Tali esternazioni non possono però investire questioni che rientrano nella competenza del Governo e del Parlamento e non devono essere contestazioni da parte del presidente delle istituzioni costituzionali che a lui spetta di garantire.
- Il rinvio delle leggi alle Camere per una seconda deliberazione: tale rinvio deve essere operato con un messaggio nel quale il capo dello Stato chiarisce i motivi della sua decisione. Il capo dello Stato deve infatti avere il potere di richiamare le Camere a una più attenta valutazione delle leggi approvate, quando tali leggi appaiano in contrasto con prescrizioni costituzionali o con quegli interessi generali della comunità nazionale di cui il capo dello stato è tutore.
- Lo scioglimento delle Camere: è il potere più rilevante attribuito al capo dello Stato, contrappeso al potere delle Assemblee di condizionare, con il voto di fiducia, l’esistenza del Governo nominato dal presidente della Repubblica. Dopo il 1948 si sono avuti numerosi scioglimenti anticipati, determinati da motivazioni tecniche (1953, 1958, 1963, 1968), situazioni di instabilità politica del Parlamento (1972, 1976, 1979, 1983, 1987) contrasti istituzionali (1992), bufere giudiziarie e mutamento delle leggi elettorali (1994), rotture politiche (1996). Il potere di scioglimento risponde, anzitutto, alla necessità di garantire il funzionamento delle istituzioni in caso di incapacità delle Camere di dare un Governo almeno relativamente stabile al Paese. L’art. 88 Cost., che non parla sui casi nei quali può farsi ricorso allo scioglimento anticipato, contiene due indicazioni procedurali. Infatti il capo dello Stato: a) prima di disporre lo scioglimento deve consultare i presidenti delle due Camere e b) non può procedere a scioglimento negli ultimi sei mesi del suo mandato (“semestre bianco”).
- La nomina di cinque giudici costituzionali: spetta al presidente nominare un terzo dei giudici della Corte Costituzionale (cioè cinque), dopo l’elezione degli altri dieci giudici, per consentire al presidente della Repubblica di integrare la composizione della Corte con quelle competenze che fossero state eventualmente trascurate dal Parlamento o dalle supreme magistrature.
- La nomina di cinque senatori a vita: secondo l’art. 59 Cost. La scelta rimessa al presidente garantisce una valutazione obiettiva e non condizionata da considerazioni politiche particolari e, come tale, rientra nelle esigenze politiche del sistema.
- La nomina di otto componenti del CNEL e del Segretario Generale della presidenza della Repubblica: dei dodici membri scelti fra qualificati esponenti della cultura economica, sociale e giuridica, otto sono nominati dal presidente della Repubblica, senza bisogno della proposta del presidente del Consiglio dei ministri. Per la nomina del Segretario generale della presidenza della Repubblica è invece obbligatorio il parere del Consiglio dei ministri, ma non vincolante, mentre è esclusa l proposta governativa.
-
LA RESPONSABILITA’
La tutela del capo dello Stato è disciplinata dal Codice Penale, che protegge il presidente della Repubblica contro particolari reati quali l’attentato contro la sua vita, la sua incolumità e la sua libertà personale (art. 276); l’offesa alla sua libertà (art. 277); l’offesa al suo onore e prestigio (art.278). Secondo l’art. 279 il presidente non ha responsabilità e non può essere biasimato per gli atti del Governo da lui emanati, tuttavia per lo stesso criterio si ritiene che sia responsabile per gli atti di indirizzo presidenziale.
Responsabilità politica: secondo l’art. 89 Cost., nessun atto di indirizzo governativo è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che se ne assumono la responsabilità. Per quanto riguarda gli atti di indirizzo presidenziale, il Governo non si assume invece nessuna responsabilità politica.
Responsabilità penale: ai sensi di Costituzione (art. 90 Cost.), il presidente non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, con l’eccezione nel caso di alto tradimento o di attentato alla Costituzione. A mettere il presidente in stato di accusa è il Parlamento in seduta comune, a giudicarlo la Corte Costituzionale in composizione integrata.

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