Appunti sulla filosofia di Hegel

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Testo

Hegel

La dialettica
La filosofia di Hegel è caratterizzata da tre aspetti fondamentali: la critica al formalismo kantiano, il rapporto astrattoconcreto e la natura dialettica del reale.
Quasi in ogni luogo del proprio sistema Hegel fa riferimento alla filosofia kantiana come a qualcosa che deve essere completato e superato. I giudizi a priori e le leggi formali di Kant sono per Hegel espressione di un’universalità astratta che deve essere portata a concretezza.
Questo è possibile soltanto se si assume, come punto di vista, l’intero e non i singoli momenti del reale che per Hegel sono astratti: ciò che Hegel intende per realtà deve essere nettamente distinto dall’esistenza accidentale, casuale, ordinaria, "che non merita il nome di realtà" (Enciclopedia, § 6). Concreto è dunque solo il tutto.
Per Hegel, tuttavia, la compresenza delle parti nel tutto non è un presupposto, ma l’esito di un processo dialettico. Questo processo è al tempo stesso la descrizione della stessa modalità di esistenza dello spirito (Geist): diversamente da Kant, la dialettica - intesa come canone conoscitivo - non è una categoria dell’intelletto da applicare a una realtà informe, ma è interna al reale tanto quanto al pensiero. Nel suo svolgersi, la dialettica percorre tre momenti, noti come tesi, antitesi e sintesi (ma la terminologia non è di Hegel). Il primo momento è quello dello spirito in sé (an sich), un’astratta determinazione universale che manca di concretezza; l’astrattezza del primo momento deve essere dunque superata. Questo superamento (Aufhebung) comporta prima la negazione dell’astrattezza, attraverso il movimento dell’alienazione dello spirito nella concreta particolarità - lo spirito per sé (für sich) - e poi la negazione della negazione: superando l’elemento della particolarità, lo spirito riunisce entro di sé universalità e concretezza ed è dunque spirito in sé e per sé (an und für sich).

Storia del sistema
La biografia filosofica di Hegel presenta singolari analogie con lo spirito del suo sistema. Hegel concepisce ogni sapere - filosofia compresa - come sapere storico che si sviluppa e si evolve progressivamente. Al termine di questo processo la filosofia si ricongiunge al proprio punto di partenza, rivelando così la circolarità della propria natura. Anche il sistema filosofico di Hegel presenta un’evoluzione progressiva e il punto d’arrivo del suo sistema - il carattere religioso della filosofia come momento conclusivo dello spirito assoluto - si ricongiunge alle riflessioni teologiche del giovane Hegel.
Il giovane Hegel, studente di teologia allo Stift di Tubinga (assieme a Schelling e Hölderlin), pone al centro della sua riflessione la questione della modernità, il cui tratto caratteristico - la frammentazione dello spirito nella pluralità delle coscienze deve essere superato attraverso una nuova unità spirituale che sintetizzi le due grandi rivoluzioni dell’umanità: quella politica (la Rivoluzione francese) e quella religiosa (il cristianesimo). Questo compito è demandato, in un primo momento, non alla filosofia ma alla religione; come si legge nel Frammento di sistema (1800), la filosofia deve necessariamente cessare con la religione.
Questa convinzione subisce un radicale rovesciamento nel periodo di Jena, durante il quale Hegel scrive la Fenomenologia dello spirito (1807): adesso è la filosofia, punto di approdo della storia dello spirito, a doversi far carico del completamento della religione, elevandosi a sapere assoluto, ossia a sistema enciclopedico.
A questo compito Hegel si dedica nelle lezioni di Heidelberg (dal 1816), durante le quali redige l’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817), e soprattutto nell’ultima parte della sua carriera universitaria: chiamato a insegnare a Berlino (1818), Hegel scrive i Lineamenti di filosofia del diritto e tiene lezioni sull’estetica, la filosofia della storia e la storia della filosofia, che i suoi allievi pubblicano all’indomani della morte del maestro (1831).

Hegel interprete di se stesso
In due importanti scritti Hegel fa il punto sulla propria filosofia: nella prefazione alla Fenomenologia e in quella dei Lineamenti di filosofia del diritto.
La prefazione alla Fenomenologia è caratterizzata dalla violenta e inattesa rottura di Hegel con l’idealismo di Schelling. Non è difficile vedere, dietro l’attacco a Schelling, anche una critica all’idealismo romantico di Hölderlin e al monismo di Spinoza. Con una serie di affermazioni rimaste proverbiali, Hegel rimprovera a Schelling di preferire l’intuizione, rapida e immediata come un colpo di pistola, alla "fatica del concetto" e alla paziente descrizione dell’evoluzione storica del sistema. Così facendo, Schelling si condanna a concepire l’assoluto attraverso un "formalismo monocromatico" che non rende conto della concreta realtà delle differenze: Schelling è perciò paragonabile a un pittore che usi soltanto due colori per dipingere il paesaggio; la sua filosofia non ha per oggetto la realtà vivente, ma qualcosa di morto e immobile, come lo scheletro su cui l’imbalsamatore appone i propri cartellini o il contenuto dei barattoli sui quali il droghiere incolla le etichette. In definitiva afferma Hegel - il sistema filosofico di Schelling è "la notte in cui tutte le vacche sono nere", ovvero "l’ingenuità di una coscienza fatua".
Alla staticità della concezione schellinghiana dell’assoluto Hegel contrappone il perenne movimento dello spirito, il quale "non si trova mai in stato di quiete": come il lento progredire di una gravidanza è rotto dal "salto qualitativo" rappresentato dal parto, così la quiete apparente è solo la facciata dietro la quale si prepara l’apparizione improvvisa di un nuovo mondo.
Nella prefazione ai Lineamenti Hegel precisa il compito della filosofia: esporre il carattere vivente della riconciliazione fra realtà e ragione, della presenza che è attuale nell’"apparenza del temporaneo e del transitorio". Questo principio è espresso dal motto (riferito a Platone): "ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale". Ma Hegel pone anche un limite alla filosofia, in quanto quest’ultima non può pretendere d’insegnare al mondo come esso deve essere, giacché - come la nottola di Minerva - la filosofia si leva in volo solo al calar della sera. Con ciò Hegel intende che la filosofia, come "pensiero del mondo", non anticipa bensì segue il compiersi del processo della realtà. Ma vuol dire anche che la filosofia compare solo al culmine di una civiltà: essa è il segno che annunzia la senilità prossima e l’inizio della decadenza.

La Fenomenologia dello spirito
La prima, importante opera di Hegel è la Fenomenologia dello spirito. Si tratta di un’opera veramente originale nel panorama filosofico a causa del suo andamento "romanzesco", nonostante non pochi problemi siano causati dall’affrettata conclusione dell’opera da parte dell’autore. Romanzesche sono pure queste vicende: Hegel termina la stesura della sua opera la notte precedente la battaglia di Jena, per poi fuggire col manoscritto sottobraccio mentre i soldati francesi occupano la città e la sua stessa casa. La non perfetta sistematicità dell’opera si mostra soprattutto nella differenza fra le prime figure (ideali più che storiche) nelle quali si incarna lo spirito e le ultime, senz’altro storiche.
Nella prefazione, Hegel afferma risolutamente che nell’epoca a lui presente lo spirito "ha rotto i ponti" col suo passato, e "versa in un travagliato periodo di trasformazione". Compito della Fenomenologia è di illustrare, attraverso le diverse figure nelle quali lo spirito si è via via incarnato, le fasi di questa storia che lo spirito si accinge a superare. Da ciò deriva l’aspetto romanzesco dell’opera: tali figure sono come maschere che lo spirito ha successivamente impersonato, e poi gettato via, sino a giungere all’autoconsapevolezza di se stesso.

Fenomenologia: Figure dell’autocoscienza
Una delle scoperte fondamentali della Fenomenologia hegeliana è il carattere non immediato dell’autocoscienza: diversamente dal soggetto cartesiano, che deduceva dalla certezza della coscienza di esistere l’autocoscienza di essere una res cogitans, per Hegel l’autocoscienza si acquisisce solo attraverso il riconoscimento conflittuale della coscienza altrui.
Questa figura è rappresentata dalla dialettica servo-padrone: nel conflitto fra due diverse coscienze, l’una accetta di mettere a repentaglio la propria stessa vita, l’altra indietreggia davanti al pericolo della morte. La prima diviene allora padrona della seconda. Ma il rapporto di dominio è destinato a rovesciarsi: il padrone si acquieta nell’ozio, laddove la coscienza servile, mantenendo un rapporto concreto col mondo - cioè lavorando per conto del padrone rovescia dialetticamente il rapporto di sudditanza. Come i greci nell’età ellenistica, ridotti in servitù, ellenizzarono il mondo, così la coscienza servile supera la propria condizione accidentale e prende possesso del mondo.
Questo rovesciamento dà luogo alla dialettica fra stoicismo e scetticismo che sfocia nella "coscienza infelice". Nella coscienza stoica si manifesta l’astratta libertà dell’autocoscienza che si è svincolata dall’accidentalità: "in tempi di generale paura e servitù", essa concepisce se stessa come coscienza pensante, libera dall’agire come dal patire. Che sia coscienza servile o padronale, essa è libera. Questa libertà si rovescia nella figura opposta: la coscienza scettica, nella quale la libertà di pensiero si manifesta nell’annichilimento di ogni realtà e di ogni certezza. L’infelicità che ne risulta è la molla che spinge l’autocoscienza a farsi ragione e a verificare la propria presenza nel mondo.
Il tema dell’infelicità è una delle chiavi di volta dell’intero sistema hegeliano: dopo questa prima comparsa, l’infelicità ricompare ogni qual volta lo spirito sembra sul punto di acquietarsi in se stesso. L’infelicità è dunque ciò che muove lo spirito al superamento continuo di se stesso.

Fenomenologia: dalla ragione al sapere assoluto
Il percorso della ragione giunge al suo apice con la "ragione esaminatrice delle leggi". Applicando la propria potenza critica alle leggi dell’uomo, la ragione le trova limitate dall’arbitrarietà e dal timore che determina l’obbedienza alla legge, ed è quindi spinta a superare questo momento con la ricerca di una legge eterna, a fronte della quale l’obbedienza non sia sentita come obbligo, ma come libertà. Questa legge è illustrata da Hegel coi versi dell’Antigone: "Non oggi né ieri ma sempre/ essa vive, e nessuno sa quando sia apparsa".
La citazione dall’Antigone non è casuale: lo spirito è infatti giunto a comprendere la propria verità nel "vivente mondo etico", costituito dalla vita etica di un popolo. E’ a questo punto che si riproduce quel conflitto fra la legge degli uomini e la legge divina che è la chiave dell’Antigone, tanto da far pen
sare alla Fenomenologia come al tentativo di risolvere filosoficamente i problemi messi in evidenza dal dramma di Sofocle.
In un primo momento la ricerca di una legge eterna produce, entro la "sostanza etica dello spirito", la scissione fra la ragione illuministica (Creonte) e la fede (Antigone). L’iniziale prevalere della prima a danno della seconda determina l’avvento di quel regno dell’arbitrio che è, all’indomani della Rivoluzione francese, il Terrore. In esso vige una libertà assoluta che, proprio in quanto assoluta, si pone come sovrana e non può tollerare alcuna opposizione.
Il superamento di quest’ultima figura dà luogo allo spirito morale che realizza la "visione morale del mondo" secondo la dottrina kantiana dei postulati morali. Ma la verità della coscienza non può essere rappresentata mediante postulati: essa deve concretarsi come "coscenziosità". Quest’ultimo passo comporta l’attraversamento di un’ulteriore figura, l’"anima bella", che concepisce se stessa come intuizione del divino: timorosa di sporcarsi con l’azione, l’anima bella (palese riferimento a Hölderlin) "arde consumandosi in se stessa" e ricade nuovamente nell’infelicità.
Siamo ormai al termine delle vicende dello spirito. Superata la pura coscenziosità, allo spirito resta da compiere un cammino attraverso l’evoluzione storica della religione (dall’astratta religiosità orientale sino alla religione rivelata) che prelude alla definitiva conciliazione dello spirito con se stesso. Perché ciò possa darsi, lo spirito deve ripercorrere la storia della propria alienazione nella forma della rammemorazione (Erinnerung): questa riepilogazione, sotto forma di sapere concettuale, costituisce il sapere assoluto, l’ultima figura della Fenomenologia.

L’Enciclopedia
La conclusione della Fenomenologia costituisce la premessa al lavoro filosofico dell’Hegel maturo che si impegna a mostrare come la filosofia - nella misura in cui riepiloga ogni altro sapere entro un disegno razionale e nel contempo espone il principio di razionalità insito in ogni specifico sapere determinato - è per sua propria natura un sapere enciclopedico. Il manuale che Hegel pubblica nel 1817 ha infatti per titolo Enciclopedia delle scienze filosofiche.
Lo schema generale dell’Enciclopedia comprende tre sezioni: 1) Logica - il sapere colto nella sua astratta universalità - in questa sezione Hegel riepiloga la Scienza della logica, opera pubblicata fra il 1812 e il 1816; 2) Filosofia della natura, il sapere esposto nel suo scindersi nelle differenti scienze particolari; 3) Filosofia dello spirito (ripartita in spirito soggettivo, oggettivo e assoluto), al culmine della quale lo spirito trova nella filosofia la propria interna conciliazione e scopre la circolarità della propria natura.

La logica
Nella sezione dell’Enciclopedia dedicata alla logica, Hegel esamina le categorie filosofiche colte nella loro astrattezza, indipendentemente dalla loro applicazione concreta e soprattutto astratte dal loro carattere filosofico. Si tratta di una mossa preliminare di grande rilevanza: per Hegel il punto di avvio della filosofia non può essere un gesto filosofico, com’è invece in Descartes o Kant. L’inizio dev’essere necessariamente arbitrario, privo di un presupposto filosofico: solo al termine del processo lo spirito può dar ragione della fondatezza del movimento iniziale.
La logica si conclude con la dottrina del concetto. Il concetto è inteso da Hegel in un senso prossimo alla sua etimologia latina, cum capio (cogliere assieme): in esso le determinazioni particolari della totalità sono colte nel loro insieme. Il concetto, quindi, non è astratto: esso è "ciò che è in tutto e per tutto concreto". Attraverso il giudizio il concetto si pone come relazione fra i suoi momenti particolari, soggetto e oggetto, che trapassano l’uno nell’altro. Il sillogismo, infine, è ciò che consente l’unità del concetto col giudizio: esso è "il razionale, e tutto ciò che è razionale".
Infine il concetto, unito alla sua forma di esistenza esterna (l’oggetto del concetto), determina l’idea. L’idea è l’unità di soggetto e oggetto, di finito e infinito. In essa sono contenute tutte le relazioni dell’intelletto: dunque l’idea è "ciò la cui natura può essere concepita solo come esistente".

Diritto e storia
Lo spirito oggettivo è compiutamente descritto da Hegel nella Filosofia del diritto. Hegel esamina dapprima il diritto astratto, per trovarlo dotato di un’intrinseca razionalità e in grado di sussistere autonomamente (come vuole Kant). Ma e qui sta la critica a Kant - il diritto astratto trova la sua ratifica nella legge del taglione e nella pura e semplice pena come vendetta. La crudezza del diritto suscita un sentimento morale che lacera la coscienza e la ricomposizione di tale lacerazione è possibile solo laddove il diritto si unisce alla legge morale, incarnandosi in una istituzione vivente: lo Stato etico.
Nell’analizzare lo Stato etico, Hegel passa in rassegna le principali istituzioni sociali e politiche, con particolare attenzione alla famiglia (che dev’essere fondata sull’amore, e non sul contratto) e al mondo del lavoro. Nell’esame di questa realtà, Hegel fa ampio uso delle risultanze della recente scienza dell’economia politica (Smith, Say, Ricardo). Per Hegel lo Stato è ciò che rende possibile la libertà del cittadino e perciò deve essere rispettato e riverito: al di fuori dello Stato, secondo Hegel, esiste solo la condizione ferina dello stato di natura. Infatti i singoli stati, presi come soggetti, si comportano fra loro come l’homo homini lupus hobbesiano, né è possibile altra composizione dei conflitti fra gli stati che non sia la guerra: non è qui che lo spirito può trovare la propria conciliazione.
Nondimeno la storia, attraverso le sue vicende prevalentemente belliche, mostra l’evoluzione di un’idea: l’idea di libertà che, resa universale dall’evangelizzazione cristiana e interiorizzata nel cuore degli uomini dalla Riforma, può ora trovare concreta esistenza nello Stato etico. Questo processo non è casuale, ma è un aspetto della storia dello spirito. Lo spirito, afferma Hegel, si incarna di volta in volta nei grandi uomini, per realizzare attraverso la loro opera i propri fini, salvo rigettarli - una volta esaurita la loro funzione - come inutili fantocci: i "grandi uomini" sono solo strumento dell’"astuzia della ragione".

Lo spirito assoluto: arte, religione, filosofia
Nelle forme del sapere assoluto lo spirito giunge a quella conciliazione che gli è negata nella dimensione della storia: esso si eleva al di sopra delle particolarità in cui l’epoca moderna si è scissa e le ricompone in forma di perfetto sillogismo.
La prima forma dello spirito assoluto è l’arte che è per Hegel una forma d’intuizione religiosa. Tuttavia l’artista, pur intuendo la verità dello spirito, è costretto entro i limiti del materiale specifico e particolare con cui l’arte necessariamente si esprime: l’arte non può esprimere in modo adeguato l’assolutezza dello spirito e l’artista è costretto a rivivere la lacerazione della coscienza infelice nella forma dell’infelicità conoscitiva.
La seconda forma dello spirito assoluto è la religione. Nella religione cristiana la dialettica si scopre connaturata all’eterno movimento trinitario entro il quale Dio, nella sua universalità (il Padre) si aliena in ciò ch’è altro da sé, nella sua creatura (il Figlio), per ritornare in sé e per sé nella figura dello Spirito. Questa forma di sapere è però anch’essa limitata dalla propria forma espressiva; la religione, infatti, è costretta a pensare l’assolutezza di Dio attraverso una forma di pensiero mondana che contempla necessariamente l’esistenza di un "prima" e un "poi". Così la creazione del mondo, che riepiloga la creazione del Figlio da parte del Padre, è concepita come evento, laddove non v’è altro che un eterno movimento trinitario.
La religione dev’essere dunque superata da un sapere assoluto che si esprima attraverso un mezzo adeguato al proprio contenuto: la filosofia. Secondo Hegel, la filosofia si mostra attraverso un triplice sillogismo. Il primo sillogismo (Enciclopedia, § 575) è espresso dal passaggio dell’idea, attraverso la filosofia della natura, nello spirito assoluto. Il secondo sillogismo (§ 576) esprime il compenetrarsi di arte, religione e filosofia. Il terzo sillogismo (§ 577) è "l’idea della filosofia", entro cui lo spirito scopre la verità di quel passaggio dal concetto all’idea che la logica descrive preliminarmente: la verità vivente dell’idea come parte dell’autoriflessione di Dio su se stesso. In tal modo l’idea si ricongiunge circolarmente al suo cominciamento, e nella eternità "si produce e gode sé stessa eternamente come spirito assoluto".

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