Nietzsche-Freud-Schopenaur

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Testo

Sigmund Freud
Segna la rivoluzione del 900 e completa la declamazione dell’uomo facendo emergere in esso una natura limitata. La vera natura dell’uomo è l’irrazionalità, l’inconscio..
Ebreo di Vienna, dopo l’annessione alla Germania, fugge in Inghilterra. E’ medico un medico specializzato in neuropsichiatria e dà origine alla psicoanalisi, che però, nonostante il suo impegno, non venne accetta come scienza. Inizia come neuropsichiatra, accanto al prof. Breuer studiando l’isteria. Il primo studio fu il “Caso di Anna O.”.
Prima delle innovazioni apportate da Freud, l’isteria veniva studiata somministrando al paziente dei psicofarmaci che inducevano il sonno; nel sonno si facevano della domande e il paziente inconsciamente rispondeva. Quando però finiva l’effetto del farmaco, il malato i ritrovava nelle stese condizioni di partenza.
Freud capì che i farmaci non erano una cura adeguata, infatti per curare il problema psichico dell’ammalato bisognava scavare alla radice, attraverso i sogni o l’ipnosi. All’ammalato da sveglio venivano poste delle domande a cui lui rispondeva facendo delle associazioni libere.
Da ciò Freud capì che la psiche umana ha delle zone nascoste che devono essere scoperte e fatte venire alla luce per poter capire il comportamento di ogni individuo.
Secondo lui la struttura della psiche è triatica:
· La zona es oppure id in cui risiede l’inconscio;
· La zona super ego o (super ich) in cui risiedono gli insegnamenti sociali e culturali
· La zona Ego in cui risiede la coscienza.
La zona Es
Nell’es, l’inconscio, è la parte più ricca di noi. Esso si divide in tre parti:
1) pre oppure sub conscio
2) inconscio
3) inconscio biologico ereditario
Nell’inconscio biologico ci sono le pulsioni che appartengono alla stirpe ereditaria. Le pulsioni ereditarie:
· Pulsioni sessuali (cerchiamo di riprodurci)
· Pulsioni di conservazione (cerchiamo di salvarci)
· Pulsioni Gregario (cerchiamo di stare con gli altri)
Nell’inconscio ci sono le nostre esperienze personali rimosse e represse. Rimosse significa messe da parte volontariamente, mentre represse quando ce ne dimentichiamo casualmente. Noi non dimentichiamo niente, specialmente dai 0 ai 5 anni.
Il preconscio è il guardiano che controlla tutte le nostre esperienze, le pulsioni; quando dormiamo si apre la porta e vengono fuori dai nostri pensieri i sogni.
Tutta la nostra vita cosciente è solo un campo di battaglia tra la spinta dell’eroe (che rappresenta gli impulsi: il piacere , l’affermazione) e Thanatos (distruzione, superego) Questa è la spinta di Eros (subconscio).
Nella vita quotidiana “Patologia della vita quotidiana”, abbiamo tanti piccoli gesti che non facciamo, ma non per dimenticanza, ma perché non la volevamo fare. Anche i lapsus (penso una cosa ne dico un’altra), in realtà volevamo dire la cosa “sbagliata”. Quello che ricordiamo è solo quello che vogliamo ricordare.
Scriverà pure “Totem e tabù” sul significato della religione e sul desiderio della morte del padre.
Freud istituisce quello che ormai e “il rito” della psicoanalisi: il lettino, il dottore seduto dietro il paziente e gli formula delle domande o indaga i suoi sogni interpretando ciò che il paziente ricorda (che è ciò che vuole ricordare). Fu una novità la sua impostazione sessuale, interpretare la vita solo dall’ottica dell’affettività (piacere – dispiacere) (affettività non è interesse, esso c’è se è motivato).
La vita di ciascuno di noi è segnata dalle nostre motivazioni affettive. Adesso si parla di psicologia dinamica (cioè azione e reazione, stimolo e risposta che avvengono nella psiche). Noi ci andiamo via via strutturando.
Stadi di vita dell’uomo
Per Freud la vita comincia nel grembo materno. Già nel ventre materno, il bambino avverte se è voluto o meno e se è amato. Quindi il primo è un rapporto di accettazione, tra madre e figlio si realizza uno scambio di emozioni oltre che fisiologico.
Durante il parto c’è il momento dell’angoscia, perché siamo abbandonati nel mondo. Il pianto del bambino è il pianto dell’angoscia, perché prima ha vissuto un contatto psicologico con la madre, e adesso è solo nel mondo e si sente abbandonato. Oggi sappiamo che il bimbo, non piange per angoscia, ma per il dolore dovuto al fatto che respira per la prima volta con i suoi polmoni. Il pianto è vita. Questo primo momento è quello del vagito.
Durante tutto il primo anno di vita si deve ristabilire l’unione psicologica che c’era tra madre e figlio, e bisogna ristabilirlo all’inizio per avere quella fiducia basica che serve al bambino per non sentirsi più angosciato. Questa fiducia si realizza on le sensazioni termiche; il bambino riconosce il battito del cuore della madre, ma soprattutto con l’allattamento che ricostituisce l’unione che c’era con la madre prima del parto. La prima soddisfazione che prova il bambino appartiene alla “fase orale”, ossia portando tutto in bocca, succhiando e mordendo.
Verso i 3 mesi (Spitz) il bambino ha un modo suo i comunicare: il sorriso, come se sorridesse al viso materno (visto solo frontalmente e non di profilo) e contemporaneamente ha l’angoscia per i visi estranei (piange se non conosce qualcuno).
Al 1° anno inizia la fase “autonoma”, il bambino inizia a camminare, scopre gli oggetti e li esamina. Importante per lui sarà sempre la figura che gli parlerà e gli lancerà messaggi.
Ai 2 anni si ha la fase “Anale”: se prima il bimbo teneva il pannolino ora impara ad andare in bagno, riconosce lo stimolo: la gratificazione è quella di saper controllare i propri sfinteri. La fase anale prepara il bambino alla fase “fallica”(periodo omosessuale: il bambino scopre se stesso). Dopo essere riuscito a controllare i propri sfinteri scopre i propri organi sessuali.
Fase omosessuale (zero – cinque anni) Fase eterosessualeFase orale Fase anale Fase fallicaDopodiché inizia la fase eterosessuale. Scoprendo i genitali, sposta l’oggetto del desiderio da sé al sesso opposto. La prima donna della sua vita è la madre, il primo amore. (Per la bambina sarà il padre). Qui si innesca quel processo che prende il nome di “complesso di Edipo” o, per la bambina “complesso di Elettra”.
Il bambino ha sentimenti sessuali verso la madre, ma comprende che appartiene al padre. Il bambino introietta (fa sua) la figura paterna, perché ritiene che somigliando al padre potrà avere la madre. Se invece intrometta la figura materna, diventerà omosessuale.
Dai 5 ai 10 anni c’è la fase “produttiva”, il bambino va a scuola, è indaffarato e non pensa più alla tempesta sessuale che ha avuto dai 0 ai 5 anni. E’ una fase di “Plateau” o latenza.
Dopo i 10 anni si ha la “fase puberale” e “prepuberale”: tutto ciò che era in latenza riaffiora di nuovo. E’ una fase di ricerca della propria identità, si avverte che si cresce e ci si sente dibattuti e incerti, non ci si riconosce neanche esteriormente, fisicamente.
Dai 15 ai 18 anni si cerca di riordinare le proprie idee: è la fase della “Maturità”. Può durare fino ai 24, ma anche fino ai 90. Per Freud essere maturi vuol dire dare una risposta a tutti i problemi della vita. Se riusciamo a rispondere a queste domande, noi siamo maturi e siamo pronti a formare una famiglia.
Verso i 50 anni si attraversa una fase di II immaturità, diffusa nella società.
Freud era laico, ma rigoroso contro tutto ciò che era contro un ordine naturale.
Il vivere in società ci procura disagio: l’uomo non può esprimere se stesso (“il disagio della civiltà”). Il motto del cristianesimo: “ama il prossimo tuo come te stesso” è contro natura, anzi dovrebbe essere “odia il prossimo tuo con tutto te stesso”. Tutto il romanzo del 900 sarà di tipo psicologico.

Friedrich Wilhelm Nietzsche
Friedrich Wilhelm Nietzsche nacque nel 1844 a Röcken in Germania, figlio del pastore Karl Ludwig e di Franziska Oehler, anch'essa figlia di un pastore. Rimasto orfano del padre in tenera età, crebbe affidato alle cure della madre, donna di solide qualità morali ma di cultura limitata.
A Naumburg, dove la famiglia si era trasferita, ricevette i suoi primi insegnamenti di religione, latino e greco e imparò a suonare il pianoforte. Dopo avere abbandonato la celebre scuola teologica di Pforta, con disappunto della madre, la quale sperava di vedere il figlio diventare ecclesiastico, Nietzsche studiò filologia classica alle università di Bonn e Lipsia, diventando professore della disciplina all'università di Basilea a soli 24 anni; in quell'epoca si delinearono sempre più chiaramente le sue inclinazioni filosofiche. In questo periodo entrò in relazione con Richard Wagner, del quale divenne amico ed estimatore. Il loro rapporto in seguito degenerò progressivamente fino a rompersi nel 1878. Ma a quel tempo, Nietzsche era già malato da alcuni anni e soffriva di crisi nervose.
Nel 1876 abbandonò l'insegnamento per motivi di salute e iniziò la sua vita solitaria e errabonda, che lo condusse a soggiornare a lungo anche in Italia. Guastati i rapporti anche con la famiglia, egli vide peggiorare sempre più il suo stato di salute.
Nel 1889 a Torino cade in preda a un accesso di follia che non lo avrebbe abbandonato fino alla morte, avvenuta a Weimar nel 1900. Negli ultimi anni visse errando per l'Europa, spesso ospite di amici e protagonista di complicate vicende umane e sentimentali.
IL PENSIERO
Studioso della cultura greca, in particolar modo di Platone e di Aristotele, Nietzsche attinse ispirazione anche dalle opere di Arthur Schopenhauer e dalla musica di Richard Wagner.
Nietzsche non espose il suo pensiero in forma sistematica ma in frammenti, quai in poesia; anche per questo le sue opere si sono prestate ad interpretazioni differenti esercitando un grande fascino. Lo stesso autore, consapevole dell'«inattualità» delle sue parole aveva detto: "Mi si comprenderà dopo la prossima guerra europea".
Egli cercò di ricostruire la genesi del pensiero e della civiltà moderna, individuando nell'antichità classica le radici di due fondamentali atteggiamenti culturali: quello, simboleggiato da Apollo, che si esprime nella ricerca dell'armonia, dell'equilibrio, della bellezza formale, della serenità dello spirito, della razionalità; e quello, che trova il suo simbolo in Dioniso ed è quello originario nell'uomo, che invece è espressione dell'istinto, della volontà, dell'irrazionalità, del desiderio di trasgredire a ogni ordine e a ogni legge.
Fino a questo momento della storia, sostenne Nietzsche, è stato seguito principalmente il principio apollineo, nel quale il filosofo tedesco scorge i segni di una decadenza dell'umanità, testimoniata dalle menzogne e dal dogmatismo delle scienze sul piano culturale e dal conformismo, dalla passività, dall'ipocrisia delle leggi e della politica sul piano sociale. Perciò, egli concludeva, è necessario tornare al dionisiaco, restituire all'uomo la libertà di gioire dei suoi istinti e delle sue passioni; di qui l'esigenza di abbandonare la "morale degli schiavi", l'etica della rinuncia, dell'obbedienza passiva alle leggi professata dal Cristianesimo per esaltare l'indomabile volontà di potenza dell'individuo.
L'espressione più elevata di questa liberazione è il superuomo, un essere totalmente libero, incarnazione della volontà di potenza, che sta "al di là del bene e del male", che non sottostà alle regole e che è libero dalla morale cristiana. Su un piano filosofico egli si caratterizza per la sua fedeltà alla terra: poiché Dio è morto, l'unica realtà è ora la vita terrena, non essendoci più Dio non esiste più un "mondo dietro il mondo" in cui trovare consolazione al pensiero della morte.
Tra le sue opere, le più significative sono: La nascita della tragedia dallo spirito della musica (1872) Considerazioni inattuali (1872-74) Così parlò Zarathustra (1883-85) Al di là del bene e del male (1886) Genealogia della Morale (1887) L'Anticristo (1988) La gaia scienza (1882) Ecce Homo (1889).

IL SUPERUOMO
Il superomismo è la dottrina di Nietzsche (1844-1900) per la quale il «superuomo» diventa protagonista della storia. Tutti i valori della civiltà occidentale - religione, scienza, morale - per Nietzsche sono mistificazioni volute dal gregge degli «schiavi», dalla massa per ostacolare il cammino degli uomini superiori; e sono il risultato dello spegnersi nel corso dei millenni dell'originaria «volontà di potenza», ossia dell’energia creatrice dell’uomo e dei suoi valori vitali. Incarnazione della volontà di potenza è il superuomo (Übermensch): «L’uomo deve essere superato. Il superuomo è il senso della terra. L’uomo è una corda tesa fra la bestia e il superuomo, ma corda sull’abisso».
Nietzsche fu un critico spietato degli ideali e dei valori tradizionali dell'Europa dell'Ottocento. Nelle sue opere filosofiche si scagliò contro il Positivismo e la sua fiducia nel fatto scientifico e oggettivo, demolendo il concetto di progresso da lui definito come un'idea "moderna" e "falsa", e contro ogni tipo di spiritualismo proclamando la morte di Dio. In particolare egli criticò il cristianesimo che riteneva un "vizio". La morale cristiana è per Nietzsche la «morale degli schiavi» che deriva dal «dire di sì ad un altro»: ad essa egli contrappose la «morale aristocratica» che ha inizio nel momento in cui «si dice di sì a se stessi».
In Così parlò Zarathustra (1883), una delle sue opere più importanti, il filosofo tedesco propone tre temi fondamentali: la morte di Dio, il superuomo e l'eterno ritorno. Soprattutto il concetto di superuomo è stato spesso male interpretato. Il superuomo nietzschiano, infatti, non è l'archetipo nazista ma piuttosto colui che, avendo preso coscienza del fatto che tutti i valori tradizionali sono crollati, è in grado di ritornare ad essere "fedele alla terra", liberandosi dalle cristallizzazioni della cultura. Il superuomo ha in sé una forza creatrice che gli permette di operare la traslazione dei valori e di sostituire ai vecchi doveri la propria volontà.
LA MORTE DI DIO
Il superuorno nietzschiano vive la tragedia della sua solitudine con ben altra profondità e con ben più lancinante disperazione rispetto a tutti gli esteti decadenti. Alla base della concezione nietzschiana della vita c'è il tentativo di considerare l'esistenza nella sua sana ebbrezza primitiva e di restituirla alle sue sorgenti originarie dopo aver estirpato "il posto Dio". L'atto di liberazione dalla schiavitù della religione è un atto tragico che viene vissuto attraverso il delirio del pazzo, il quale accusa se stesso e gli altri di aver ucciso Dio. Il vuoto lasciato dalla "morte di Dio" potrà essere colmato solo dall'Uomo e da nessun'altra ideologia tirannica. Ma il travaglio della cultura che tenta di costruire un ateismo umanistico è tutt'altro che semplice da definirsi: Nietzsche vive, in questo come in altri brani (vi sono nelle sue opere diverse "morti di Dio"; questa è forse la più suggestiva), il dramma del pensiero che cerca in se stesso un assoluto criterio di giudizio e di libertà. La cultura contemporanea si sta ancora misurando con questo problema; ma il fatto che da parte di Nietzsche esso sia posto in maniera così drammatica e diremmo "teatrale" è indice dello spostarsi della filosofia verso il racconto o l'aforisma, verso la divulgazione letteraria. Indubbiamente si tratta di una bella pagina, di convincente presa emotiva: anche in questo si può ritrovare un aspetto tipico della sensibilità decadente.
L`«uomo pazzo» e il suo delirio
Non avete mai sentito parlare di quell'uomo pazzo che, in pieno mattino, accesa una lanterna, si recò al mercato e incominciò a gridare senza posa: "Cerco Dio! Cerco Dio!". Trovandosi sulla piazza molti uomini non credenti in Dio, egli suscitò in loro grande ilarità. Uno disse: "L'hai forse perduto?", e altri: "S'è smarrito come un fanciullo? Si è nascosto in qualche luogo? Ha forse paura di noi? Si è imbarcato? Ha emigrato?". Così gridavano, ridendo fra di loro... L'uomo pazzo corse in mezzo a loro e fulminandoli con lo sguardo gridò: "Che ne è di Dio? Io ve lo dirò. Noi l'abbiamo ucciso – io e voi! Noi siamo i suoi assassini! Ma come potemmo farlo? Come potemmo bere il mare? Chi ci diede la spugna per cancellare l'intero orizzonte? Che facemmo sciogliendo la terra dal suo sole? Dove va essa, ora? Dove andiamo noi, lontani da ogni sole? Non continuiamo a precipitare: e indietro e dai lati e in avanti? C'è ancora un alto e un basso? Non andiamo forse errando in un infinito nulla? Non ci culla forse lo spazio vuoto? Non fa sempre più freddo? Non è sempre notte, e sempre più notte? Non occorrono lanterne in pieno giorno? Non sentiamo nulla del rumore dei becchini che stanno seppellendo Dio? Non sentiamo l'odore della putrefazione di Dio? Eppure gli Dei stanno decomponendosi! Dio è morto! Dio resta morto! E noi l'abbiamo ucciso! Come troveremo pace, noi più assassini di ogni assassino? Ciò che vi era di più sacro e di più potente, il padrone del mondo, ha perso tutto il suo sangue sotto i nostri coltelli. Chi ci monderà di questo sangue? Con quale acqua potremo rendercene puri? Quale festa sacrificale, quale rito purificatore dovremo istituire? La grandezza di questa cosa non è forse troppo grande per noi? Non dovremmo divenire Dei noi stessi per esserne all'altezza? Mai ci fu fatto più grande, e chiunque nascerà dopo di noi apparterrà per ciò stesso a una storia più alta di ogni altra trascorsa". A questo punto l'uomo pazzo tacque e fissò nuovamente i suoi ascoltatori; anch'essi tacevano e lo guardavano stupiti. Quindi gettò a terra la sua lanterna che andò in pezzi spegnendosi. "Vengo troppo presto", disse, "non è ancora il mio tempo. Questo evento mostruoso è tuttora in corso e non è ancor giunto alle orecchie degli uomini. Per esser visti e riconosciuti lampo e tuono hanno bisogno di tempo, la luce delle stelle ha bisogno di tempo, i fatti hanno bisogno di tempo anche dopo esser stati compiuti. Questo fatto è per loro ancor più lontano della più lontana delle stelle e tuttavia sono loro stessi ad averlo compiuto!". Si racconta anche che l'uomo pazzo, in quel medesimo giorno, entrò in molte chiese per recitarvi il suo Requiem aeternam Deo. Condotto fuori e interrogato non fece che rispondere: "Che sono ormai più le chiese se non le tombe e i sepolcri di Dio?".
SCHOPENHAUER
La forma del trattato Schopenhaueriano: filosofia e sistema
L’opera più importante di Schopenhauer è Il mondo come volontà e rappresentazione (che ebbe varie edizioni ma non prima d’oggi non fu mai riconosciuta come un’opera di valore), scritto sotto forma di sistema. Attraverso la forma di sistema Schopenhauer mostra di condividere:
che il sistema è la forma scientifica della filosofia;
il collegamento con Kant;
la tendenza a trasformare la filosofia negativa di Kant in una filosofia positiva.
Il sistema filosofico può essere, dice, di due tipi:
sistema organico: tutte le parti si sostengono a vicenda e hanno valore come “tutto”. Questo sistema è proprio dei veri filosofi, quelli che si interessano al mondo per lo stupore che provano nell’osservarlo;
sistema architettonico: le parti si ordinanao su una astratta gerarchia. E’ un sitema proprio dei filosofi che si interessano al mondo in modo indiretto ( cioè dopo aver letto un libro).
Il sitema di Schopenhauerpenhaue è organico. Questa scelta deriva dal bisogno metafisico dell’uomo. La metafisica, che ha il suo padre in Aristotele, dichiara che la filosofia nasce dalla meraviglia, ossia un atteggiamento contemplativo di fronte al mondo. Per Schopenhauer invece la filosofia nasce dallo stupore di fronte al dolore e al male del mondo.
L’opera del filosofo risponde alla domanda per cui ogni vivere è un soffrire (tema fondamentale del mondo). E’ divisa in quattro libri, che cercano di tradurre il movimento del pensiero (a spirale) in un unico nucleo. I punti di vista della rappresentazione e della volontà sono le due prospettive che il pensiero può assumere di fronte al mondo.
Primo libro: prima considerazione del mondo come rappresentazione. Mostra come la scienza possa pensare che il mondo è un fenomeno globale sensato;
Secondo libro: prima considerazione del mondo come volontà. Mostra come dietro la forma sensata del mondo se ne trovi una oscura e irrazionale;
Terzo libro: seconda considerazione del mondo come rappresentazione. Mostra che attraverso l’arte si svela la presenza del fenomeno nella cosa in sé, ossia nella volontà.
Quarto libro: seconda considerazione del mondo come volontà. Espone la dialettica della volontà, attraverso cui la conoscenza si libera dalla servitù alla volontà e può superare il dolore.
Lo stile di Schopenhauer è chiaro e trasparente, in armonia con il suo pensiero per cui la filosofia debba essere espressione precisa dell’intuizione metafisica. Per questo critica molto lo stile torbido di Hegel e dei romantici.
Schopenhauer e l’eredità kantiana
A Kant Schopenhauer riconosce il merito di aver individuato il valore del cosiddetto principio di ragione sufficiente (cioè di aver scoperto le leggi di causalità che reggono il mondo fenomenico). Dopo Kant, egli crede, non si può più pensare che tutto esiste con una ragione, ma bisogna credere che questo è solo ciò che a noi appare osservando i fenomeni. Dunque non è possibile studiare la “cosa in sé”, ma soltanto i modi in cui il soggetto si mette in rapporto con l’oggetto, ossia i modi attraverso cui il soggetto si crea un mondo.
Si formano così quattro classi di oggetti per il soggetto, che danno una spiegazione razionale del mondo come rappresentazione:
rappresentazioni intuitive, attraverso cui si forma la nozione di esperienza (insieme di fenomeni retti da leggi). L’esperienza si forma dalla relazione tra sensibilità, mediante cui conosciamo il nostro corpo, e intelletto, mediante il quale riferiamo ad un’azione una causa oggettiva: è così che si applica il principio di ragione sufficiente, che qui è una legge di causalità. Le rappresentazioni intuitive sono spazio, tempo e causa.
rappresentazioni astratte o concetti: formano il contenuto totale della ragione. In questo caso il principio di ragione sufficiente è principio del conoscere. La conoscenza astratta è subordinata a quella intuitiva perché solo questa le può dare un contenuto.
rappresentazioni di spazio e tempo, non applicate alla realtà ma intese in forma astratta. Per questo il principio di ragione sufficiente è principio dell’essere. Spazio e tempo sono applicate alla matematica, la cui pensabilità degli enti è condizionata da un’estensione nello spazio e da una successione temporale.
rappresentazioni delle azioni: il principio di ragione sufficiente diventa legge di motivazione. Come nella prima classe vigeva il principio di causa-effetto, qui eiste quello motivo-azione, che esplica un atto volontario del soggetto. A prima vista l’azione può sembrare determinata da circostanze esterne e non dalla volontà (libertà) del soggetto. Ma poiché la volontà non si esplica mai completamente nell’azione, non si può negare che esista una libertà relativa al carattere intellegibile dell’azione: l’uomo è libero nella scelta dell’azione, ma vincolato rispetto al modo di esplicarla.
Mentre con le quattro classi si spiega il mondo come rappresentazione, non si accede alla cosa in sé (risultato negativo, come Kant). Ma il bisogno dell’uomo di trovare una spiegazione totale della realtà spinge a cercare una soluzione positiva. Come?
La metafisica dell’esperienza di Schopenhauer
Con la sua opera Schopenhauer vuole costruire una metafisica dell’immanenza, che non vada al di là dell’esperienza. Dunque si tratta non di un sapere a priori, fatto di concetti, ma di un sapere concreto.
Il merito principale di Kant sta nella distinzione tra fenomeno e cosa in sé, che ha posto un muro invalicabile tra il conoscere obiettivo e il pensare soggettivo. Il suo errore principale, viceversa, è stato quello di precludere in questo modo la conoscenza della cosa in sé. Ciò ha portato alla fondazione di filosofie che, più che analizzare la conoscenza effettiva, si sono operare a studiare le possibilità del conoscere.
Schopenhauer crede di aver trovato una via d’accesso alla cosa in sé, identificata con la volontà: così crea una nuova metafisica, su basi kantiane.
Il mondo come rappresentazione e come volontà
Schopenhauer distingue fra mondo come rappresentazione e mondo come volontà. Se il soggetto si rivolge all’esterno vede il mondo solo come sua rappresentazione e gli conferisce validità applicandogli le forme a priori della sensibilità: spazio, tempo, causa. In tal modo viene conosciuto il fenomeno.
Egli accetta l’idea idealista che il mondo percepito dai sensi sia solo un’illusione. Tale idea è condivisa dai saggi indiani, che considerano i sensi come il velo di maya, il velo dell’illusione. Questo principio era stato posto alla base della filosofia kantiana.
Kant aveva però ignorato che per ridurre il mondo ad un semplice fenomeno conoscitivo c’era bisogno di astrazione, atto attraverso il quale si arriva all’esclusione della volontà.
Ma se il soggetto si rivolge all’interno, all’autocoscienza, scopre che il mondo è la sua volontà. Viene qui sostituito l’Io penso con l’Io voglio. Il soggetto è esso stesso una cosa in sé, perché può accedere al proprio essere (autocoscienza).
L’unione tra il mondo della volontà e il mondo come rappresentazione è rappresentata dal corpo, che può essere considerato in due modi: fenomeno, che ha il privilegio di costituire per il soggetto l’oggetto primo e immediato; movimento, all’interno dell’autocoscienza: basta un “io voglio” per tradurre un atto in movimento del corpo. Ma la volontà non è movimento: questo è un atto completamente distinto: noi non possiamo sapere cosa sia la volontà, ma solo come si manifesta.
I gradi di oggettivazione della volontà
Il mondo è studiato dalla natura in maniera eziologica, ricercandso cioè le cause del mutamento dei fenomeni. Tuttavia la spiegazione scientifica deve ammettere la presenza di forze che restano non spiegabili scientificamente: per non cadere nell’irrazionale deve ricorrere alla filosofia.
Questa metafisica empirica, della natura, parte dall’ipotesi che tali forze siano identiche alla volontà, che è conoscibile soltanto dal soggetto stesso nell'autocoscienza. Schopenhauer non dona la pietra di volontà, ma dà al suo movimento verso il basso causato dalla forza di gravità una spiegazione analoga a quella della volontà degli esseri organici.
La natura, in senso metafisico, sarà allora un’unica manifestazione di volontà, che è identica per tutti gli esseri viventi. Chi media fra le innumerervoli manifestazioni della volontà (i corpi) e la volontà stessa sono le idee.
Le idee sono gli archetipi a cui la volontà si riferisce per manifestarsi nella realtà. La legge naturale media tra l’idea e il fenomeno: essa determina l’esplicazione della forza.
I gradi dei oggettivazione della volontà sono rappresentati dalla natura inorganica, organica, il mondo vegetale, animale e l’uomo. Presetnata in questo modo, la volontà sembra caratterizzata dalla conflittualità: ogni livello della natura è mostra lotta e dolore. Le forze naturali lottano per quandagnarsi uno spazio di materia, le forme viventi sembrano poter vivere solo con l’eliminzaione di altre forme simili.
Sollevato il velo di maya, ecco mostrarsi una volontà irrazionale, che vuole solo sé stessa, vuole solo vivere e cerca ogni mezzo per riuscirci.
Dalla metafisica alla morale: servitù dell’intel-letto e liberazione estetica
Ultimo gradino a cui vuole arrivare Schopenhauer è l’identificazione di metafisica ed etica. Non vuole cadere nella solita divisione fra filosofia teoretica e pratica.
Come nella metafisica, anche nella morale si attiene al metodo dell’immanenza, che consiste nell’ibdicare come si svolge realmente la condotta umana, non come dovrebbe svolgersi.
E’ assurdo prescrivere un comportamento tipo per l’uomo: si predica la libertà della volontà e poi gli si impone per legge di volere certe cose!
Dunque tutto il problema si risolve nella libertà di volere: se ci fosse, sarebbe possibile unire filosofia etica e metafisica. Ma esiste davvero?
Nel Mondo si sviluppa la teoria della servitù dell’intelletto alla volontà, la quale ci è incomprensibile ed è senza scopo, dunque irrazionale. Si oggettiva in singoli corpi e organismi, per cui anche nel cervello, al cui funzionamento è legata la coscienza. Dunque anche la coscienza è un fenomeno della volontà e comprende l’intelletto, ossia la capacità di trovare il nesso causale fra i fenomeni (dell’uomo e degli animali) e la ragione, ossia la capacità del pensiero astratto (dell’uomo).
L’intelletto offre alla volontà la possibilità di attuare razionalmente ciò che essa vuole a tutti i costi. La volontà è infatti irrazionale e non riuscirebbe da sola a farlo.
A questo punto Schopenhauer introduce il concetto di arte. Lìarte è una froma di conoscenza che si riassume nella nozione di genio. La conoscenza dell’uomo comune si rivolge ai sensi ed è al servizio della volontà; quella dell’artista è rivolta all’idea: l’artista dunque, ponendosi al di là del fenomeno, trova l’oggettività della volontà.
Scopo dell’arte è di esprimere la realtà come volontà trascurando il fenomeno. La conoscenza dell’arte è puramente contemplativa, e con questa affermazione Schopenhauer riprende da Kant la definizione di bello come oggetto di piacere disinteressato. Viene eliminato ogni rapporto con l’io e il resto del mondo, e per questo l’arte è considerata superiore della scienza. Di fronte all’arte, il corpo perde il suo senso, cosicchè il soggetto diventa un soggetto puro e universale, non più sottomesso alla volontà, allo spazio e al tempo, ma coincide con la volontà stessa.
In poche parole, l’arte è l’unico momento in cui l’intelletto può elevarsi sulla volontà.
Il problema della libertà e della liberazione dalla volontà
Il conceto di libertà è negativo, in quanto indica l’assenza di necessità.
L’uomo non è libero, ma si libera superando il mondo fenomenico e scoprendosi sempre più parte del mondo noumenico. Abbiamo già visto l’applicazione di questo concetto con l’identificazione, nell’estetica, del soggetto con la volontà. Solo la moralità può rendere perenne questa conquista enon limitarla all’ambito dell’arte.
L’azione morale consiste nella scelta etica fondamentale, quella che deciderà le nostre azioni future. L’uomo è libero solo se si identifica con la volontà, ma questa è sinonimo di vita. La scelta etica fondamentale sarà allora il vivere o non vovere.
Due sono allora gli atteggiamenti: quello di chi afferma la vita perché ha capito che il mondo è solo fenomeno e che la volontà è l’unica realtà e dunque decide di identificarsi con essa; l’atteggiamento di chi rinuncia alla vita, l’asceta, che ha compreso che l’essenza del mondo è la volontà, ha paura della realtà di dolore che tale affermazione porta e dunque non vuole identificarsi con la volontà.
Qual è l’atteggiamento da prendere?
La volontà si trova subito, fin dalla nascita, in lotta con sé stessa: essa è volontà di vivere, ma il vivere implica anche il morire e spesso provoca la morte di altri esseri viventi: la vita è sofferenza. L’uomo invece tende al piacere, ma per questo deve sentire un bisogno e dunque soffrire. Il bisogno può essere soddisfatto solo momentaneamente e subito dopo subentra la noia. Dunque bisogna affermare la vita, con il suo dolore e la sua noia, o negarla? La conoscenza deve essere un motivo di vita o un motivo per negarla?
La risposta a questa domanda si trova solo nell’ascetismo, che abolisce ogni distinzione tra l’io e l’altro e viene definito morale della compassione, perché soffre con l’altro (com-passione). L’ascetismo abolisce anche l’egoismo, in quanto forma tipica di cui si serve la volontà di vivere, e assolutamente non mira all’annullamento dell’uomo quanto alla sua trasformazione.
I gradi dell’ascesi sono diversi: castità, povertà volontaria, autoabnegazione, sacrificio eroico di sé.
La castità libera l’individuo dalla subordinazione alla volontà di vivere che usa le armi dell’amore per garantirsi vita attraverso la riproduzione.

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