Scienze umane e tramonto dell'episteme

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Testo

LE SCIENZE UMANE E IL TRAMONTO DELL’EPISTÉME
Tutte le forme del sapere scientifico nascono rivendicando la propria autonomia rispetto al sapere filosofico. I contenuti della natura (Hume), dei rapporti economico-politici (A. Smith, Marx) e della psiche, sono già stati indagati dalla filosofia. Però le scienze moderne rivendicano un diverso metodo conoscitivo rispetto alla filosofia: quello sperimentale. Il metodo sperimentale elaborato nell’ambito della fisica astronomica, della meccanica e della fisica, estende il suo campo di applicazione ai fenomeni chimici, biologici e alla realtà umana nel suo complesso. Nella cultura umana viene per la prima volta formulato il concetto di scienze umane, inteso come conoscenza scientifica e non filosofica dell’uomo. Questo tentativo di interpretare ogni aspetto della realtà sulla base del modello meccanicistico sta a fondamento del processo di separazione dalla matrice metafisica dell’economia, della psicologia, della linguistica, della sociologia, dell’antropologia, dell’etnologia. Queste discipline si costituiscono come scienze (scienze umane). È una lenta trasformazione che si svolge fra il XVIII e il XX secolo.
La matematica e la geometria nascono come scienze epistemiche all’interno delle prime forme di pensiero (filosofi ionici, pitagorici); si sviluppano nell’ambito della filosofia platonica e aristotelica (ricordati sempre che gli Analitici Secondi di Aristotele sono il primo tentativo di assiomatizzazione euclidea della geometria, cioè della costruzione scientifica della geometria). L’intero sviluppo della razionalità occidentale è legato al tentativo della scienza di staccarsi dalla filosofia.
Le scienze umane presentano uno sviluppo simile a quello delle scienze fisiche. Il primo passo è di isolare un campo particolare di oggetti (società, psiche, linguaggio), per analizzarlo in base ai metodi della scienza moderna. In questa prima fase anche le scienze moderne come la fisica, la geometria e la matematica conferiscono un valore epistemico ai principi e alle leggi che sono portati alla luce dalla filosofia. In un secondo momento, però, con la riflessione sul fondamento concettuale, si liberano a loro volta dalla pretesa iniziale di valere come verità incontrovertibili, cioè come epistéme.
Nella filosofia contemporanea e nella cultura attuale, l’epistéme non è più sentita come lo strumento che permette all’uomo di salvarsi dall’angoscia suscitata dal divenire, e quindi di avere potenza sul mondo.
Il filosofo francese Paul Ricoeur considera l’opera di Sigmund Freud (Freiberg, 1856 – Londra 1919) come una “rivoluzione culturale”, nel senso che riconduce le scelte, i valori, i comportamenti, al di là dei motivi espliciti e riconosciuti dalla cultura di appartenenza.
Freud, insieme a Marx e a Nietzsche, è indicato come uno dei maestri del sospetto, perché considera la coscienza come un prodotto di processi che poco o nulla hanno a che fare con l’intenzione e con la volontà manifestate.
La psicanalisi rappresenta quindi una terza rivoluzione culturale, paragonabile a quella prodotta dalla teoria darwiniana della discendenza e dalla teoria copernicana, che hanno ribaltato la centralità dell’uomo rispetto all’universo fisico.
FREUD
La psicanalisi ha messo in crisi alcune certezze morali dell’Occidente, come l’asessualità dell’infanzia; la psicanalisi freudiana ha svelato, ad esempio, l’esistenza di dinamiche violentemente rifiutate dalla morale comune, in particolare il “complesso di Edipo”. La teoria psicanalitica della sessualità ha modificato il modo di considerare la moralità, i valori, l’individuo stesso.
L’uomo è un essere che tende al conseguimento del proprio piacere, ma spesso ciò è inconciliabile con la vita associata. L’uomo maschera allora la propria rinuncia con una serie di giustificazioni e di ragioni etiche; l’individuo tenta di indirizzare la “libido” verso oggetti leciti, attraverso la “sublimazione”: l’individuo, cioè, rimuove il ricordo stesso delle proprie pulsioni infantili, dimenticandoli (il tema della maschera, svelata attraverso lo strumento dell’ironia, è uno dei temi centrali nell’opera di Luigi Pirandello).
La psicanalisi freudiana smaschera questo inganno della mente e della cultura, perché scopre che i comportamenti e le motivazioni che di esso si danno è riconducibile al soddisfacimento o alla repressione di impulsi sessuali.
Le conseguenze più importanti della posizione freudiana sono riconducibili a due punti fondamentali:
1. le cause reali del comportamento umano sono profondamente diverse dalle finalità proclamate;
2. l’individuo non è consapevole di queste cause profonde, quindi egli deve essere considerato non come soggetto morale (cioè che sceglie e determina le proprie azioni), ma come il risultato di dinamiche inconsce che subisce.
Questo cambio di prospettiva produce la considerazione che l’Io cosciente non è più il centro dal quale parte l’azione: l’Io è invece il prodotto di un meccanismo psichico che il soggetto non controlla. La psicanalisi offre allora il metodo per comprendere processi sociali e morali che risultavano oscuri all’analisi scientifica. Freud scopre una nuova dimensione, paragonata a quella “subatomica” che negli stessi anni diveniva oggetto della fisica.
Le varie esposizioni freudiane sono simili agli enunciati teorici (ipotesi) che si confrontano con l’assolutezza dei fatti osservati, per un’interpretazione antimetafisica della realtà: è un procedimento che si distacca dal metodo positivista, perché si avvicina alla nuova epistemologia che si stava diffondendo tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento (Mach, Einstein).
Nell’opera fondamentale di Freud, L’interpretazione dei sogni (1900), la struttura della personalità si forma a partire dalle esperienze infantili che vengono interiorizzate e dalla repressione sociale.
La società, a livello generale, svolge una funzione “educativa”: significa che la società, con i suoi modelli culturali, induce all’interiorizzazione di norme, divieti, inibizioni verso l’individuo.
Alcune caratteristiche della personalità, come il complesso di Edipo, sono riconducibili a una dinamica psichica comune a ogni società.
Freud propone un’interpetazione della civiltà già dal 1912-’13, con Totem e tabù, che interesserà l’analisi della religione e degli ideali collettivi.
Secondo l’analisi di Freud, la prima forma di organizzazione sociale è l’orda, dove il maschio dominante (il padre) controlla le femmine, proibendo ai figli di unirsi ad esse. I giovani infine si ribellano, uccidendo il padre e cibandosi delle sue carni. Dopo l’uccisione, sorge nei maschi un senso di colpa, che li porta a interiorizzare le proibizioni provenienti in passato dal padre. Scatta così la interdizione a unirsi con le donne dell’orda (tabù dell’incesto). La figura del padre viene così sostituita dal totem, animale o pianta la cui uccisione è proibita.
Dal senso di colpa, che fa seguito all’uccisione del padre, hanno origine i tabù. I tabù, (proibizioni), rendono possibile l’organizzazione sociale. Il senso colpa induce all’introiezione dell’autorità paterna, e questo processo dà luogo alla coscienza morale.
L’uccisione del padre spiega l’origine della civiltà e la nascita della religione totemica, ma anche di ogni altra religione. Il Dio ebraico, secondo Freud, è la figura idealizzata del padre ucciso: l’eucarestia è una sorta di rievocazione del pasto totemico.
Il complesso edipico è considerato da Freud come la variabile esplicativa fondamentale della morale, della religione e della civiltà. Il complesso edipico è la comune origine della psiche collettiva.
Questo significa che alcune dinamiche fondamentali sono trasmesse fra tutti gli individui, all’interno di ogni società, così che questa si presenta in modo apparentemente unitario. La società manifesta un comune atteggiamento verso l’esistenza.
L’esistenza di una psiche collettiva è il presupposto per lo studio scientifico dei fenomeni sociali.
Wundt aveva già ipotizzato l’esistenza di una psicologia dei popoli, analoga alle “rappresentazioni collettive” teorizzate anche da Emile Durkheim.
Nel Disagio della civiltà (1927), Freud parte dalla considerazione che il fine dell’agire umano dovrebbe essere la felicità; però, il mondo naturale è fatto in modo tale da rendere problematico il soddisfacimento della felicità. L’individuo preferisce allora evitare o a ridurre la sofferenza e il dolore: la storia della civiltà si costruisce controllando l’ambiente. L’individuo può scegliere anche di controllare se stesso, cioè di limitare il soddisfacimento delle pulsioni sessuali, e questo freno genera un conflitto senza soluzione tra il senso di colpa e la sofferenza. La conclusione è che la civiltà allontana sempre più l’individuo dalla possibilità stessa della felicità. Anche il nostro organismo risulta trasformato in questa direzione. Il pieno soddisfacimento della pulsione sessuale distoglierebbe grandi energie da scopi ritenuti socialmente utili alla collettività. Secondo Freud, il progresso scientifico e tecnologico sarebbe dunque accompagnato dall’aumento della repressione e dell’infelicità.
L’intero comportamento umano, allora, dovrebbe essere interpretato come la ricerca di un compromesso fra il principio di piacere e il principio della realtà (=autoconservazione).
In questa prospettiva, l’etica è soltanto una maschera di motivazioni del comportamento, che sono sempre da riferire all’individuo, che si nasconde dietro le convenzioni sociali accettate per autoconservarsi.
La natura umana è però caratterizzatada Freud da pulsioni aggressive, che esplodono indipendentemente dalla difesa contro le minacce all’autoconservazione, non riconducibili al principio di piacere o al principio di realtà (Eros + Thanatos).
L’aggressività naturale non può essere cancellata: la civiltà prevede tutta una serie di strumenti per tenerla sotto controllo, dalle proibizioni morali (il Super-Io), alla repressione esplicita.
La conseguenza è che l’uomo non può realizzare la propria natura, ed è quindi condannato alla rinuncia della felicità. Rinunciare alla felicità è la condizione per il sorgere e la conservazione della civiltà.
L’uomo ha quindi due impulsi opposti dentro di sé: quello che lo avvicina agli altri; e l’impulso che lo porta all’aggressività. L’aggressività naturale giustifica in qualche modo l’affermazione di Hobbes, secondo la quale l’uomo è “lupo” per gli altri uomini. Questa aggressività distruttiva, di solito tenuta sotto controllo dalla società, può esplodere in situazioni particolari. La repressione a questo impulso garantisce a ogni individuo una maggior sicurezza, ma conduce alla rinuncia della felicità.

LE LETTERE SULLA GUERRA FRA EINSTEIN E FREUD (1931)
Nel 1931 l’Istituto Internazionale per la Cooperazione Intellettuale promosse, su iniziativa della Società delle Nazioni, una serie di dibattiti tra le personalità più importanti dell’epoca, su temi di attualità.
Einstein suggerì il nome di Freud, che accettò uno scambio epistolare con lui sul tema:
Perché la guerra?
Le lettere furono poi pubblicate nel 1933.
Einstein apre la sua lettera individuando alcuni fattori come possibile spiegazione del fenomeno: il nazionalismo e la sete di potere dei diversi Stati. Questi elementi, però, non sarebbero sufficienti secondo lo scienziato di Ulm: il problema è di capire come masse intere possano accettare la distruzione degli altri e il sacrificio di sé (è uno dei temi fondamentali della costruzione del consenso nei regimi totalitari, affrontato poi da Anna Arendt).
Einstein suggerisce a Freud l’ipotesi che l’uomo sia aggressivo per natura: in periodi normali, l’aggressività è controllata, ma a volte prevale e si trasforma in psicosi di massa.
Lo scienziato termina la sua lettera chiedendo a Freud se ci sono dei mezzi per eliminare queste dinamiche e scongiurare guerre future.
Freud apre la sua lettera con una risposta sociologica sulla guerra. Tra i primi uomini prevaleva il più forte; i deboli, che erano più numerosi, si unirono, per instaurare il diritto come potere della comunità sui singoli, in grado di controllare la violenza degli individui. Nonostante ciò le guerre e i conflitti continuano.
Freud allora riprende la considerazione di Einstein sull’esistenza di una tendenza naturale alla violenza.
Questa inclinazione è interpretata alla luce della propria teoria delle pulsioni. Nell’uomo sono presenti una pulsione di vita (Eros), e una pulsione di morte (Thanatos). La pulsione di morte si indirizza verso l’esterno come aggressività, e verso l’interno come repressione e autocontrollo.
Queste due pulsioni sono sempre implicate in ogni comportamento, che non è mai soltanto erotico o soltanto distruttivo. Come nella fisica, il comportamento è la risultante delle due pulsioni opposte.
L’aggressività verso oggetti esterni assume la funzione di scaricare le proprie energie pulsionali, e quindi ha un effetto benefico per l’individuo.
Da queste premesse, Freud propone di ribaltare la questione: la domanda da porsi non è perché c’è la guerra, bensì per quali dinamiche profonde l’uomo riesce a evitare la distruzione di sé e della civiltà in tempo di pace.
L’aggressività è vista da Freud come una parte insopprimibile della natura umana. Non c’è modo di eliminare l’aggressività. Bisogna quindi individuare le condizioni affinché l’aggressività non si manifesti nella guerra e nella distruzione.
Per evitare il pericolo della guerra, occorre sviluppare nell’individuo l’antagonista naturale di essa, cioè l’Eros. Il rafforzamento dell’Eros si può ottenere in due modi:
1. potenziando i legami affettivi ed emotivi all’interno della comunità, nazionale e internazionale;
2. favorendo il processo di identificazione, cioè la condivisione di sentimenti comuni nei quali tutti i membri della comunità si riconoscono.
Queste condizioni, secondo Freud, si possono realizzare in tempi molto lunghi, perché le due soluzioni contrastano con la pulsione aggressiva che è sempre parte della natura umana.
Tempi talmente lunghi che rischiano di essere «mulini che macinano talmente adagio che la gente muore di fame prima di ricevere la farina».

FREUD E LEONARDO DA VINCI
Freud iniziò un tentativo di interpretare la personalità di Leonardo da Vinci, attraverso l’enigmatico sorriso di Monna Lisa. Leggi questo brano tratto da Un ricordo d’infanzia di Leonardo:
“Il sospetto che nel sorriso di Monna Lisa si congiungano due elementi diversi si è destato in parecchi critici. Essi scorgono nell’espressione mimica della bella fiorentina la più compiuta raffigurazione dei contrasti che governano la vita amorosa: il riserbo e la seduzione... La peculiarità mimica della Gioconda si può avvertire anche nel quadro San Giovanni Battista, ma soprattutto nei tratti di Maria del quadro Sant’Anna, la Vergine e il Bambino. Le belle teste dei bambini potrebbero riprodurre lui stesso com’era nell’infanzia, mentre le donne che ridono sono le repliche della madre di Leonardo...Così, partendo da un’altra opera di Leonardo, siamo giunti a confermare il nostro sospetto che il sorriso di Monna Lisa del Giocondo risvegliasse nel Leonardo della maturità il ricordo della madre vista nei primi anni del pittore”.

REICH E L’ANALISI PSICOANALITICA DEI TOTALITARISMI
Wilhelm Reich (1897-1957) considera fortemente centrale la componente sessuale, molto più di Freud.
Il rapporto fra repressione politica e sessuale è l’argomento fondamentale della sua opera più importante: “Psicologia di massa del fascismo”, (1933).
La struttura psichica dell’individuo è composta da tre strati:
1. uno superficiale, di cui l’individuo è consapevole, che lo guida nel rapporto formale con gli altri e al rispetto delle regole;
2. uno intermedio, che deriva dalla repressione sessuale operata dalla società, composto da tendenze aggressive e autolesionistiche;
3. uno profondo, legato al “nucleo biologico”, orientato verso il puro soddisfacimento delle pulsioni sessuali.
Il nazismo, secondo Reich, ha fatto cadere il velo superficiale, e ha dato libero sfogo allo strato violento, fatto di aggressività irrazionale e di sottomissione altrui.
LA PSICOANALISI IN ITALIA
La diffusione della psicoanalisi in Italia comincia da Trieste. Questa città all’inizio del ‘900 aveva conosciuto un rapido sviluppo economico, e si presentava come importante sbocco sul mare dell’Impero austro-ungarico. I numerosi immigrati slavi, tedeschi, ungheresi, turchi, greci, albanesi si assimilavano al popolo italiano. Trieste si prestava a luogo ideale per accogliere i primi riflessi della psicoanalisi. Per prima cosa, Trieste era legata a Vienna, quindi si tratta di un’influenza culturale, amministrativa e linguistica. Inoltre, la presenza di una forte borghesia ebraica facilitava la diffusione dell’analisi psicoanalitica.
Gli intellettuali triestini che introducono le idee freudiane nella città sono: Edmond Weiss, laureato in medicina; Vittorio Benussi e Ferruccio Benissoni. Tutti avevano frequentato le Università di Graz e Vienna.
Nel campo della letteratura, Umberto Saba si avvicinò alla psicoanalisi, e cominciò una terapia con Weiss, nel 1929. Italo Svevo legge le opere di Freud in tedesco, già nel 1910: l’autore della “Coscienza di Zeno” durante la Prima Guerra Mondiale comincia anche a tradurre L’interpretazione di Freud.

FREUD NEL CINEMA
Già dalla prima metà del ‘900, si trovano nel cinema alcune tracce significative che testimoniano l’interesse per il freudismo. Il regista Pabst documenta un caso di nevrosi curato con l’analisi psicoanalitica, nel film
I misteri di un’anima, 1926.
I film di Hitchcock elaborano il senso di colpa, il tema dell’incubo e della persecuzione, mentre Pier Paolo Pasolini focalizza l’attenzione dello spettatore sul rapporto morte-eros-società.
Nikita Michalkov esamina in chiave psicanalitica la personalità di Oblomov, il personaggio centrale del romanzo omonimo scritto da Ivan Goncarov nel 1857-1858.
Numerosi registi impostano il montaggio dei film secondo un approccio caratterizzato dall’aspetto psicoanalitico: Bergman, Antonioni, Tarkovskij, Bertolucci, Woody Allen.
LA PSICOANALISI NELLA CULTURA DEL NOVECENTO
L’influenza della psicoanalisi è enorme, utilizzata per interpretare la letteratura, l’arte, il mito, la storia, le leggende e le tradizioni popolari. Otto Rank (1884 – 1939) scrisse un’analisi psicoanalitica del personaggio Don Giovanni, prendendo spunto dall’opera di Mozart e dalla biografia del musicista.
La psicoanalisi influenzò in maniera decisiva l’antropologia statunitense, attraverso la scuola di «cultura e personalità», grazie soprattutto a Abram Kardiner (1891-1981).
Tra gli studiosi più recenti è importante ricordare Jacques Lacan (1901-1981), che sviluppa un’interpretazione strutturalistica della psicoanalisi (strutturalismo).
Le teorie freudiane hanno avuto una grande influenza sul modo di intendere l’uomo, fino a diventare un luogo comune in certe espressioni quotidiane. La psicoanalisi ha un’importanza anche nella sociologia con Fromm e nella Filosofia Politica con Marcuse.

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