Tesina sul tempo

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Testo

Filosofia

Il problema del tempo è stato sempre uno dei motivi principali della speculazione filosofica e ogni corrente di pensiero ne ha proposto svariate interpretazioni e soluzioni. Il concetto di tempo nella filosofia antica si definiva come “ordine oggettivo misurabile del movimento”. Questa definizione presentava però diversi punti di riferimento: cosmologici (filosofia pitagorica) e metafisici (filosofia platonica).Aristotele riuscì a sintetizzare queste differenze definendo il tempo come “numero del movimento secondo il prima e il poi”: Aristotele allo stesso tempo accettava il principio pitagorico dell’ordine cosmico come riferimento oggettivo per la misura del tempo ma si rifaceva anche alla dottrina platonica nel distinguere il mondo, eterno, dal primo motore immobile che è fuori dal tempo. Il tempo aristotelico è quindi una caratteristica oggettiva della sostanza ed è strettamente relazionato al concetto del “divenire”. Sant’Agostino risolse il problema in maniera diversa. Escludendo le definizioni classiche del tempo, come moto degli astri e come misura del movimento, egli definì il tempo come “misura dell’estensione dell’anima” (distensio animae) poiché è nell’anima stessa che noi riusciamo a misurare la fuggevolezza del tempo, identificato come entità lineare: il futuro non c’è ancora ma v’è nell’anima l’attesa di esso; il passato non c’è più ma permane nell’anima la memoria di esso. Il presente è privo di durata e trapassa in ogni istante ma dura nell’anima l’attenzione per le cose presenti. Pertanto il tempo, inteso come fluire, passaggio, trova la sua realtà nell’anima, nel ricordo, nell’attenzione, nell’aspettazione. La soluzione aristotelica influì profondamente sul pensiero medievale e rinascimentale, dove nonostante le polemiche contro le dottrine fisiche di Aristotele, il concetto di tempo rimase pressoché indiscusso. Nella stessa tradizione empirista inglese da Hobbes a Berkeley a Locke, l’attenzione si concentra sull’accentuazione del carattere mentale della costruzione dell’idea di tempo, che si costruisce proprio sulla base del fluire uniforme delle idee nell’intelletto. Tanto forte rimase il peso della tradizione aristotelica per la definizione del concetto di tempo che Newton dovette utilizzare, per la sua distinzione tra tempo assoluto e tempo relativo, il concetto di durata. Sulle orme di Cartesio, Newton concepisce il tempo assoluto (o durata) come una dimensione oggettiva e metafisica che, con lo spazio contiene gli oggetti naturali e di cui il tempo relativo, il tempo “numero” della tradizione aristotelica, è misura sensibile ed estesa mediante il movimento. Newton vedeva quindi nel continuum spazio-temporale (spazio assoluto-tempo assoluto) la manifestazione compiuta di uno spazio onnipresente ed eterno contenitore della realtà. Leibniz assunse una posizione polemica nei confronti della concezione newtoniana. Leibniz contestava il carattere oggettivo di ente metafisico attribuito da Newton al tempo, contrapponendovi una concezione tutta “relativa” del tempo negando che essi potessero avere una realtà in se stessi e considerandoli come semplici relazioni tra corpi. Contro ambedue le concezioni realistiche del tempo, sia quella di Newton, che concepisce il tempo come un ente reale esistente di per sé, sia quella di Leibniz, che concepisce il tempo come rapporto reale di successione tra i fenomeni, polemizza Kant. Egli affronta questo problema tentando di conciliare le due ipotesi e giunge alla conclusione che spazio e tempo non sono né delle realtà oggettive in se stesse, né semplici relazioni tra oggetti, ma piuttosto forme a priori della sensibilità umana (vale a dire le conoscenze raggiungibili mediante l’esercizio della pura ragione che in Kant s’identificano con la forma, intesa come la “determinazione del determinabile”). Il tempo è condizione universale e oggettiva d’ogni fenomeno in generale perché, a differenza dello spazio, che è norma pura di tutte le intuizioni esterne, essendo il tempo condizione formale dell’intuizione interna vale per ogni fenomeno che entri a far parte dell’esperienza. Kant affronta la problematica nella prima parta della Critica della Ragion Pura, detta Estetica trascendentale. L’Estetica trascendentale è in Kant “l’apprensione immediata dei dati sensibili e ordinati nelle varie forme a priori”. Quest’intuizione è la sintesi del contenuto extraoggettivo che deriva dalle impressioni sensibili, e della forma, propria del soggetto che colloca i dati nello spazio e nel tempo. Nell’intuizione si costituisce dunque un mondo dell’esperienza organizzato nelle forme dello spazio e del tempo. Più precisamente si deduce che il tempo non è un concetto empirico tratto da qualche esperienza. La simultaneità o la successione delle esperienze non si presenterebbe neppure se come fondamento a priori non vi fosse la rappresentazione del tempo. Il tempo, a differenza dello spazio, ha una sola dimensione: tempi differenti non sono simultanei ma successivi (mentre spazi differenti non sono successivi ma simultanei). Pertanto per determinare oggettivamente l’ordine di successione nel tempo è necessario che la relazione fra i due stati (il prima e il poi), successivi nella percezione, risponda ad una regola per la quale l’avvenimento successivo segua sempre e necessariamente il precedente e, il tempo sia quindi irreversibile. Questa regola è il concetto di rapporto di causa effetto che determina quale, fra i due stati, deve essere posto necessariamente prima e quale dopo e non inversamente. Il tempo come ordine di successione è, così, asservito da Kant all’ordine casuale secondo un principio che avrà gran fortuna nell’epistemologia moderna fino ad Einstein e Reichenbach. Completamente differente, nonché radicalmente antiscientifica, è la concezione del tempo di Bergson. Egli afferma che il tempo della scienza è una schematizzazione e spazializzazione del tempo vero che, come assoluto, altro non è che la durata della coscienza. Il tempo vero è, infatti, per Bergson un fluire non spazializzato di stati della coscienza in cui non ha alcun senso la distinzione del prima e del poi e quindi, il concetto di irreversibilità. Il tempo della coscienza è composto di momenti indistinguibili che trapassano l’uno nell’altro, si mescolano, e costituiscono un tutto unitario in cui ogni istante è assolutamente nuovo che costruisce la “valanga”, via via ingrossantesi della memoria. Questo tempo non spazializzato è la dimensione principale della coscienza come flusso ininterrotto è “slancio vitale”. Pertanto il tempo della durata coincide con il fluire autocreativo della coscienza. Il conclusione bisogna analizzare la posizione nicciana che propone la dottrina dell'Eterno ritorno dell'uguale. Questo concetto è presentato come il risultato di un’intuizione improvvisa: il tempo non ha fine, il divenire non ha scopo. Il tempo non procede in modo rettilineo né verso un fine trascendente (come sostiene la tradizione ebraico - cristiana) né verso un fine immanente (come crede lo storicismo). L'uomo occidentale è prigioniero di un’errata concezione lineare del tempo, secondo cui ogni cosa ha un inizio e una fine, un principio e uno scopo. A questa concezione ebraico - cristiana che scandisce il tempo in istanti unico - creazione, peccato, redenzione, fine dei tempi - Nietzsche oppone invece una concezione ciclica, secondo la quale gli eventi sono destinati eternamente a ripetersi in un tempo circolare. In questa visione il mondo è dominato dalla ripetizione. Ogni istante vissuto, ogni piacere e ogni dolore sono già esistiti infinite volte e infinite volte, in eterno, esisteranno. Se tutto ritorna, ogni istante non è né un passo avanti né un passo indietro, in quanto non vi sono più direzioni prescritte: cade la possibilità di orientarsi nel tempo rispetto a scopi o principi assoluti; si svela così il fondamento ontologico fallace di ogni progetto etico, religioso o metafisico. Questa concezione circolare del tempo potrebbe essere interpretata in chiave fatalistica: se ogni istante è destinato a ripetersi, se il tempo non è che l'eterno rincorrersi degli eventi stessi, è facile concludere che nulla accade di nuovo, che la vita è inutile. Nietzsche risponde negativamente. L'amor fati non è l'accettazione rassegnata delle cose così come esse accadono: il superuomo è proprio colui che volontariamente vuole per sé quella legge universale che gli altri esseri si limitano a seguire ciecamente. Così facendo trasforma il caso in una necessità consapevolmente assunta e voluta: "Così io volli che fu, così io voglio che sia, così io vorrò che sia". Nella visione lineare del tempo ogni istante acquista significato solo se legato agli altri che lo precedono e lo seguono: il corso del tempo muove verso un fine che trascende i singoli momenti di cui è costituito. Nella visione di Nietzsche, invece, ogni momento del tempo e dunque ogni esistenza singola in ogni suo attimo di vita, possiede tutto intero il suo senso. L'attimo presente perciò merita di essere vissuto per se stesso, come se fosse eterno. Infatti, in una struttura del tempo rettilinea nessun istante vissuto può realmente avere in sé una pienezza di senso, in quanto tale istante ha senso solo in funzione di altri istanti che lo precedono e lo seguono. Questi attimi così intensi da desiderare che ritornino eternamente, sono possibili solo se l'uomo felice che ne è il protagonista, il superuomo, aderisce alla legge suprema dell'eterno ritorno dell'uguale. L'eterno ritorno può essere voluto solo dal superuomo che può realizzarsi solo in un mondo ordinato secondo l‘eterno ritorno. In questo modo diventa possibile l'avvento di una nuova e felice umanità, libera di dispiegare la propria creativa volontà di potenza sul mondo.

LATINO
“Non riceviamo una vita breve ma tale la rendiamo: e non siamo poveri quanto alla vita, ma la sprechiamo con prodigalità” (De Brevitate Vitae).
Questa frase è stata scritta da uno dei più grandi scrittori latini, Lucio Anneo Seneca (4 a.C.-65 d.C.). il problema del tempo e quello della morte sono stati sempre presenti nella sua sensibilità. Ha scritto che gli uomini perdono il loro tempo in cose vane e si accorgono di quanto il tempo sia prezioso solo quando si vedono la morte sul capo: “Il saggio impegnerà bene il suo tempo se rifuggirà al mescolarsi alla folla e coltiverà quegli studi che elevano l’animo alla contemplazione delle cose divine e alla pratica delle virtù”. La strada del perfezionamento morale ha inizio col prendere possesso del proprio essere e di ciò che gli compete, sottraendolo all’illusorietà e all’innaturalità di una vita abbandonata a se stessa e imposta dalle convenzioni. Tra tutte le cose che ci sono sottratte sia per incuria nostra sia per condizionamento altrui, la sottrazione più grave riguarda il tempo perché “omnia aliena sunt: tempus tantum nostrum est” (tutto appartiene ad altrui, solo il tempo è veramente nostro).Il tempo occupato pertanto non ci appartiene più ma è riempito da forze esterne, l’unico bene nostrum è diventato pure esso alienum. A quest’occupazione deve sostituirsi la liberazione e questo tempo liberato va utilizzato immediatamente per le più nobili attività: è proprio questo il messaggio principale del De Brevitate Vitae e cioè la conversione da un tempo illusorio che l’uomo crede di possedere, che è invece occupato e alienato, a un tempo reale, da usare vivendolo appieno. La brevità della vita non va intesa come un problema di quantità, bensì come un problema di qualità: la vita aliena scorre via inavvertita mentre la vita consapevole è esistenza reale e intensa. Chiunque, per quanto vecchio possa essere, non sia riuscito a realizzare questa conversione, dice Seneca, non diu vixit, sed diu fuit, non è vissuto a lungo ma a lungo è stato al mondo. Protinus vive è pertanto l’invito di Seneca: vivi adesso, non più tardi. La pienezza della vita può essere colta solo nell’usare il presente. Sia per non dipendere dal futuro, ma anche per avere il senso pieno dell’esistenza, di aver vissuto, non di essere stati soltanto nel tempo. Qui l’esortazione si fa più viva e pesante del Carpe Diem oraziano ma Seneca non dà importanza solo al giorno guadagnato ma anche al recupero del passato all’aggiunta dell’avvenire. A una concezione del tempo suddiviso in istanti, Seneca oppone una concezione dinamica connaturata all’idea di continuità psichica, anticipando uno dei motivi principali della speculazione filosofica di Sant’Agostino.

SCIENZE
L’universo è nato da un’immane esplosione di energia circa 15 miliardi di anni fa. Da quell’energia si sono materializzate prima le particelle elementari, poi gli atomi, e infine le stelle e le galassie. Almeno a grandi linee, questo scenario da trent’anni è condiviso dalla maggioranza della comunità scientifica. E’ lo scenario del Big Bang, il “grande scoppio” che diede origine al cosmo. Ironicamente a coniare l’espressione Big Bang fu il maggior oppositore di questa teoria, Fred Hoyle, sostenitore di una teoria alternativa fondata sulla creazione continua di materia (Universo stazionario basato sul Principio Cosmologico) che compenserebbe la progressiva diminuzione della densità media dell’universo determinata dal reciproco allontanamento delle galassie (legge di Hubble). Parlando di Big Bang durante una trasmissione radiofonica degli anni 50, Hoyle credeva di coprire di ridicolo gli avversari ma fu invece l’inventore di uno slogan molto efficace che ben presto gli si rivolse contro. L’idea del Big Bang è relativamente recente. L’universo di Newton e, inizialmente, dello stesso Einstein mantiene la prerogativa aristotelica dell’immutabilità. L’elemento veramente nuovo introdotto dalla cosmologia contemporanea è quello evolutivo. Con le riflessioni su base teorica del russo A. Friedman (1922) si affaccia l’idea di un universo in espansione: quindi mai uguale a se stesso e con un’origine ben identificabile se s’immagina di percorrere a ritroso il cammino dell’espansione. Poco dopo (1929) l’astronomo statunitense E. Hubble fornisce la prima chiara prova osservativa di un generale moto di allontanamento delle galassie a velocità crescente in proporzione alla loro distanza, in accordo con le teorie sull’espansione. Il concetto di “storia” entrava così nella cosmologia. Oggi dunque sappiamo che l’universo ha avuto un’origine, che probabilmente avrà una fine e sappiamo persino, più o meno, quanti ha grazie all’applicazione della legge di Hubble. Questa legge inoltre indica che, in realtà, non sono le galassie ad allontanarsi, ma lo spazio a espandersi trascinandole con sé. D’altra parte non bisogna farsi trarre in inganno da un’idea ingenua del Big Bang come un “grande scoppio” che sia avvenuto in un certo punto e in un dato momento. In realtà con il Big Bang nascono insieme lo spazio e il tempo. Pertanto se ci si domandasse dove sia avvenuto il Big Bang, la risposta sarebbe qui, laggiù e in ogni luogo perché tutti i punti dell’universo attuale coincidevano all’inizio dello spazio-tempo. E’ con il Big Bang che si crea la “freccia del tempo”: le stelle nascono e muoiono, le galassie si formano e si disperdono, dal Big Bang ad oggi l’universo non ha fatto altro che evolversi e cambiare connotati. Purtroppo, sebbene questo modello evolutivo rimanga la teoria migliore che abbiano sull’origine dell’universo, la teoria del Big Bang presenta sul piano teorico numerose perplessità nell’applicare a tempi e a spazi cosmologici conoscenze fisiche accertate soltanto in un ambito di tempo e di spazio enormemente più ristretto quale è il nostro. Inoltre in cosmologia vengono a mancare alcuni parametri fondamentali della scienza convenzionale: non solo l’esperimento del Big Bang non può essere replicato, ma non può nemmeno essere osservato se non nelle sue remote conseguenze. Alla luce di queste problematiche, benché esso continui a essere largamente condiviso, questo modello andrà presto incontro a accurate revisioni critiche che ci riserveranno non poche sorprese.

ARTE
Fino all’Ottocento la pittura ha tentato di riprodurre sulla tela una realtà a tre dimensioni. Utilizzando, infatti, magistralmente la prospettiva e il chiaroscuro cercava di dare l’illusione della profondità e della distanza tra gli oggetti senza avere la pretesa né la volontà di rappresentare lo scorrere del tempo o i movimenti ma piuttosto voleva fissare nell’immagine l’attimo di un gesto o di un’azione. Agli inizi del Novecento la rappresentazione esatta e particolareggiata della realtà è sentita come limitazione alla libera creatività artistica. Nascono quindi nuovi modi di rappresentare la realtà, sia esterna che interiore, cambiano i criteri di rappresentazione dello spazio e delle cose nello spazio, si tenta incessantemente di rendere vivo sulla tela il mutare e il fluire del tempo, il movimento e il ritmo della vita moderna. Per cogliere appieno queste nuove tendenze esaminiamo: Manet, Monet e l’Impressionismo e Picasso a il Cubismo. L’esempio di apertura mentale e di libertà stilistica che Manet seppe offrire ai colleghi più giovani e le suggestioni che indubbiamente ricevette dal loro più poeticamente spericolato spirito di ricerca, non bastano ad identificare la sua pittura in ciò che di più vivo e di più nuovo è nella problematica formale impressionista. Manet schiuse nuove strade alla pittura con l’intento di indicare ai pittori più giovani due mete precise: un franco rinnovamento formale che spazzasse via non soltanto il vecchiume del quadro storico ma anche il pregiudizio di una pittura che attinge validità da un’elaborazione lunga e paziente; l’attenzione alla vita contemporanea, soprattutto agli aspetti di essa che la rendevano incomparabilmente fresca e nuova rispetto al passato e che soltanto una pittura rapida ed essenziale nella pienezza del risultato visivo, poteva sperare di cogliere con sincerità e immediatezza. Ciò spiega in un certo senso anche quel tanto di ripulsa moralistica che ebbe parte negli scandali dei “Salons” nei quali furono esposti alcuni suoi quadri. (Dejeuner sur l’herbe; Olympia). Reazioni violente si ebbero anche contro le opere di Sisley, Renoir e Monet ed è noto che fu proprio il titolo di uno dei quadri di quest’ultimo (Impression, soleil levant) a mettere in voga la definizione di “impressionisti” pronunciata con intenzioni spiccatamente ironiche. A rendere anche più aspra di quanto non fosse stata con Manet la riprovazione di gran parte del pubblico anche colto, era la sensazione che i pittori impressionisti avessero tagliato tutti i ponti con la tradizione, violentando ogni consuetudine tecnica per far trionfare il loro anarchico senso del colore e della materia pittorica. Tutti i movimenti d’avanguardia che si erano succeduti dal 1874, anno della prima mostra degli impressionisti, avevano puntato con particolare insistenza nella loro polemica antitradizionalista sul significato completamente nuovo che essi assegnavano al colore. Quell’inarrestabile cammino verso un’integrale autonomia del linguaggio artistico, cui fatalmente portavano lo spirito e la logica interna dell’avanguardia, doveva ora passare attraverso lo smantellamento di ciò che ancora restava in piedi della sintassi formale propriamente detta; passare, in una parola, attraverso la “rivoluzione” cubista. Il Cubismo, un altro termine nato da una battuta ironica e subito insediatosi nella nomenclatura storica, nasce dal radicale riesame del rapporto arte-oggetto, compiuto con una ricerca solidale e comune, a partire dal 1907, da Pablo Picasso e Georges Braque. I cubisti si lamentavano dell’etichetta data al loro movimento ma è proprio nell’essenza volumetrica della realtà che i cubisti inquadrano la loro volontà riformatrice, intendendo soprattutto risolvere in modo nuovo il problema di trasferire la realtà tridimensionale su una superficie a due dimensioni qual è il quadro. L’assorbimento nell’atmosfera che la realtà aveva subito nell’Impressionismo non soddisfa i cubisti perché delude il loro desiderio di una “realizzazione integrale della pittura”, di una conoscenza totale dell’oggetto. Dalla volontà di rappresentare l’oggetto non nella sua apparenza ma nella sua verità scaturivano nuove, straordinarie possibilità di svolgimento formale dell’immagine che poteva proiettare attorno a sé la sua intera esistenza I cubisti anelavano quindi un pieno possesso della realtà che coincideva con un integrale controllo di quell’altra realtà che è il quadro. Questo anelito si configurava appieno nelle parole di Cézanne: “… la natura è sempre la stessa, ma nulla resta di essa, di ciò che appare. La nostra arte deve dare il brivido della sua durata”, ma questo può avvenire solo se la tela “non vacilla, è vera, è densa, è piena”.

STORIA
Il periodo storico in cui meglio si inquadrano tutte le sfaccettature del tempo finora analizzate è il cosiddetto “ventennio fascista”.
La fine della guerra vede un’Italia in grave crisi economica, sfiduciata, lacerata da contrasti sociali. La guerra, benché vittoriosa, ha significato investimento di capitali, calo della produzione agricola per l’assenza materiale della forza-lavoro, arricchimento di pochi industriali e ulteriore impoverimento dei lavoratori. La disoccupazione, le misere condizioni di vita del dopoguerra, segnato da epidemie, inflazione e carovita, dalla delusione per la mancata attuazione delle promesse ai soldati al fronte, alimentano la protesta popolare. Questa si manifesta in varie forme, dalla rabbia insurrezionale del cosiddetto “biennio rosso”, al nazionalismo esasperato degli ex combattenti. Accanto alla crisi sociale ed economica si vive anche una crisi politica. La vecchia classe dirigente liberale è in declino. Avanzano i partiti di massa, quello socialista e quello cattolico (partito popolare fondato da don Luigi Sturzo). Ma comincia ad affermarsi anche un nuovo movimento politico: il Fascismo. L’ascesa del Fascismo a partire dal 24 ottobre 1922, giorno della storica marcia su Roma ad opera delle squadre fasciste, legata sicuramente alla forte personalità di Benito Mussolini, è frutto di una combinazione di eventi e di mancate analisi della classe dirigente. Elementi, questi, che portano lo Stato italiano a subire una dittatura ventennale che dalla consacrazione del Partito Fascista arriva allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Ecco una breve cronologia degli eventi caratterizzanti quel ventennio tanto negativo per la storia italiana: il 24 ottobre 1922 le squadre fasciste organizzano la marcia su Roma. Immediatamente il re Vittorio Emanuele III convoca Mussolini e gli conferisce l’incarico di formare il nuovo governo. Nelle elezioni del 1924 Mussolini riscuote un grande successo e si libera immediatamente della scomoda figura di Matteotti che aveva denunciato alla Camera le violenze e i brogli elettorali dei fascisti. Nel discorso alle Camere del 3 gennaio 1925 il duce preannuncia la soppressione delle libertà costituzionali e l’instaurazione della dittatura. Nell’aprile del ’26 sono vietati gli scioperi e qualsiasi forma di agitazione sindacale. Nel 1927 è approvata la Carta del Lavoro che regola i rapporti tra le classi e subordina gli interessi individuali a quelli dello Stato. Nel 1929 sono sottoscritti i Patti Lateranensi che riconoscono alla Chiesa il libero esercizio del potere spirituale e del culto. Nel 1936 l’esercito italiano entra in Addis Abeba in Etiopia e Mussolini proclama la fondazione dell’Impero. Nell’ottobre del ’36, dopo l’intervento congiunto con Hitler nella Spagna devastata dalla guerra civile, Mussolini sottoscrive un accordo con la Germania, il cosiddetto Asse Roma-Berlino. Nel dicembre del ’37 l’Italia si ritira dalla Società delle Nazioni, istituita nel 1919. L’estate del 1938 vede l’approvazione delle leggi razziali che tendono a perseguire l’elemento ebraico. Nel 1939 Mussolini stipula con l’alleato tedesco il Patto d’Acciaio che sancisce un impegno reciproco ad aiutarsi in caso di guerra. Il 1° settembre 1939 Hitler ordina alle truppe tedesche di invadere la Polonia dando il via al secondo conflitto mondiale. L’Italia dapprima dichiara la proprio non belligeranza ma il 10 giugno 1940 entra a piena regola nel conflitto dichiarando guerra alla Francia e all’Inghilterra.

ITALIANO
Nel Sentimento del Tempo di Giuseppe Ungaretti (1888-1970) il punto focale della raccolta è, come ci suggerisce il titolo, il sentimento che il poeta ha del tempo. Alla poetica dell’attimo si sostituisce una diversa percezione del tempo che viene adesso inteso bergsonianamente come pura durata interiore ed evocato in una dimensione mitologica, “sentito” nella violenza e nel torpore dei momenti estivi della giornata e assunto nel fluire delle stagioni. E’ “sentimento del tempo” anche l’approdo a un universo ancestrale e primigenio, alieno da colpe e da peccati, ove la realtà viene sublimata nell’incontro metafisico tra il contingente e l’eterno. E’ ancora il tempo religioso della difficile ricerca del divino convissuta però con meditazioni sulla morte. Il poeta individua nell’opera, divisa in sette parti, tre momenti fondamentali nel suo modo di avvertire il tempo: “Nel primo mi provavo a sentire il tempo nel paesaggio come profondità storica; nel secondo, una civiltà minacciata di morte mi induceva a meditare sul destino dell’uomo e a sentire il tempo, l’effimero in relazione con l’eterno; l’ultima parte del Sentimento del Tempo ha per titolo L’amore, e in essa mi vado accorgendo dell’invecchiamento e del perire della mia carne stessa”. Ungaretti sente profondamente il veloce scorrere del tempo, il rapido fluire delle cose, delle persone amate e questo sentimento produce, per contrasto, la nostalgia del passato e un più tenace attaccamento alla vita. Ma accanto al fluire delle cose appare l’altro tema della raccolta, il sentimento di Dio, in cui si placa l’angoscia esistenziale del poeta. La ricerca ungarettiana di un’autenticità del vivere, trasfigurando il potere rievocativo della memoria, che da storica si fa archetipica, si nutre del senso del divino. E’ un elevarsi in una dimensione mitico-metafisica alla conquista di una purezza originaria, è un penetrare nelle atmosfere impalpabili dell’onirico e dell’evocativo. La parola poetica dell’opera diventa un atto vibratorio puro, un “miracolo” teso a far risuscitare nella sua purezza originaria un mondo sepolto nella memoria. Ne deriva una totale dilatazione del tempo, le cui parabole sono trasfigurate come eterne figure dell’armonia universale e vengono recepite con una disposizione onirico impressionistica.

INGLESE
Virginia Woolf was author of important literary essays (Modern Fiction and Mr Bennet & Mrs Brown) and a very acute interpreter of female condition (A Room of One’s Own, Three Guineas). But she expressed her exceptional artistic talent in the novels. The true and discarnate protagonist of her works is the time. Time, as perpetual stream, threatens person’s integrity and the reality of the concrete experience. So Virginia Woolf records in what she calls “moments” or “moments of existence” the authenticity of the life. The relation between the “moment” and the stream of the time is, in her novels, analogous to that between personal identity and external world. This is evident in the novel “To The Lighthouse”. This novel is divided into three “temporal panels” united by the symbolic thread of a trip, planned by Ramsay family during an holiday. The central character is Mrs Ramsay, a very beautiful and malinconic woman. The multiple angles by which Mrs Ramsay is observed, or rather the various cosciences, the various persons around her and the “stream of consciousness” of the Mrs Ramsay herself, constitute a very taching polyphonic representation of the difference between cronological and interior time. A representation of the flight of the memory that connects the fragments of the existence and closes them in a circle ( destinated to shatter in the following instant).

PREMESSA

Nel nostro secolo il rapporto dell’uomo col tempo assume una particolare e nuova importanza. Cambia radicalmente, infatti, il modo di concepire la “dimensione tempo”. Essa s’identifica, infatti, con il tempo che trapassa di momento in momento, con quello che è già trascorso appartenente ad un passato più o meno vicino o più o meno remoto, e con quello che sarà. Questi tre momenti sono caratterizzati da una rigorosa oggettività della normale successione cronologica, nonché da un’indiscutibile soggettività nel cogliere e nel fissare l’essenza di tali momenti. Agli inizi del’900 la società europea versava in uno stato di profonda inquietudine spirituale. La crisi del positivismo e del liberalismo, infatti, determinò la formazione di svariate ideologie irrazionalistiche che porteranno poi l’Europa alle due sanguinose guerre mondiali. Il positivismo, che aveva come cardine una completa e assoluta fiducia nella scienza, era stato messo in crisi dalla nuova fisica di Einstein che, evidenziando la relatività dei fenomeni naturali, privava le scoperte della scienza del valore di verità assolute, infondendo una profonda sfiducia nella ragione e l’insorgere di nuove filosofie (intuizionismo di Bergson e il superomismo di Nietzsche) che, assegnando alla volontà il primato sulla ragione, riconoscevano all’individuo la capacità di realizzarsi secondo i suoi desideri. Dalla radicale trasformazione del sapere, divenuto relativo dopo aver perso le caratteristiche assolute, prendono spunto le nuove teorie astrofisiche sull’origine dell’universo (Hubble, Hoyle, Friedman). Il ventennio che intercorre tra le due Guerre Mondiali vede in Italia l’avvento e la consacrazione del Fascismo. Inoltre, in questo periodo, s’inquadra la figura di Giuseppe Ungaretti, un poeta che esprime appieno, nelle sue opere, la profonda crisi dell’individuo esasperata dalla fine del primo conflitto mondiale. In questo ristagnante periodo di crisi, le riflessioni bergsoniane sul tempo inteso come durata, che hanno notevolmente influenzato una parte della produzione ungarettiana, si ritrovano anche nelle opere della scrittrice inglese Virginia Woolf e nelle opere del pittore spagnolo Pablo Picasso.

FILOSOFIA

Il problema del tempo è stato sempre uno dei motivi principali della speculazione filosofica e ogni corrente di pensiero ne ha proposto svariate interpretazioni e soluzioni. Il concetto di tempo nella filosofia antica si definiva come “ordine oggettivo misurabile del movimento”. Questa definizione presentava però diversi punti di riferimento: cosmologici (filosofia pitagorica) e metafisici (filosofia platonica).Aristotele riuscì a sintetizzare queste differenze definendo il tempo come “numero del movimento secondo il prima e il poi”: Aristotele allo stesso tempo accettava il principio pitagorico dell’ordine cosmico come riferimento oggettivo per la misura del tempo ma si rifaceva anche alla dottrina platonica nel distinguere il mondo, eterno, dal primo motore immobile che è fuori dal tempo. Il tempo aristotelico è quindi una caratteristica oggettiva della sostanza ed è strettamente relazionato al concetto del “divenire”. Sant’Agostino risolse il problema in maniera diversa. Escludendo le definizioni classiche del tempo, come moto degli astri e come misura del movimento, egli definì il tempo come “misura dell’estensione dell’anima” (distensio animae) poiché è nell’anima stessa che noi riusciamo a misurare la fuggevolezza del tempo, identificato come entità lineare: il futuro non c’è ancora ma v’è nell’anima l’attesa di esso; il passato non c’è più ma permane nell’anima la memoria di esso. Il presente è privo di durata e trapassa in ogni istante ma dura nell’anima l’attenzione per le cose presenti. Pertanto il tempo, inteso come fluire, passaggio, trova la sua realtà nell’anima, nel ricordo, nell’attenzione, nell’aspettazione. La soluzione aristotelica influì profondamente sul pensiero medievale e rinascimentale, dove nonostante le polemiche contro le dottrine fisiche di Aristotele, il concetto di tempo rimase pressoché indiscusso. Nella stessa tradizione empirista inglese da Hobbes a Berkeley a Locke, l’attenzione si concentra sull’accentuazione del carattere mentale della costruzione dell’idea di tempo, che si costruisce proprio sulla base del fluire uniforme delle idee nell’intelletto. Tanto forte rimase il peso della tradizione aristotelica per la definizione del concetto di tempo che Newton dovette utilizzare, per la sua distinzione tra tempo assoluto e tempo relativo, il concetto di durata. Sulle orme di Cartesio, Newton concepisce il tempo assoluto (o durata) come una dimensione oggettiva e metafisica che, con lo spazio contiene gli oggetti naturali e di cui il tempo relativo, il tempo “numero” della tradizione aristotelica, è misura sensibile ed estesa mediante il movimento. Newton vedeva quindi nel continuum spazio-temporale (spazio assoluto-tempo assoluto) la manifestazione compiuta di uno spazio onnipresente ed eterno contenitore della realtà. Leibniz assunse una posizione polemica nei confronti della concezione newtoniana. Leibniz contestava il carattere oggettivo di ente metafisico attribuito da Newton al tempo, contrapponendovi una concezione tutta “relativa” del tempo negando che essi potessero avere una realtà in se stessi e considerandoli come semplici relazioni tra corpi. Contro ambedue le concezioni realistiche del tempo, sia quella di Newton, che concepisce il tempo come un ente reale esistente di per sé, sia quella di Leibniz, che concepisce il tempo come rapporto reale di successione tra i fenomeni, polemizza Kant. Egli affronta questo problema tentando di conciliare le due ipotesi e giunge alla conclusione che spazio e tempo non sono né delle realtà oggettive in se stesse, né semplici relazioni tra oggetti, ma piuttosto forme a priori della sensibilità umana (vale a dire le conoscenze raggiungibili mediante l’esercizio della pura ragione che in Kant s’identificano con la forma, intesa come la “determinazione del determinabile”). Il tempo è condizione universale e oggettiva d’ogni fenomeno in generale perché, a differenza dello spazio, che è norma pura di tutte le intuizioni esterne, essendo il tempo condizione formale dell’intuizione interna vale per ogni fenomeno che entri a far parte dell’esperienza. Kant affronta la problematica nella prima parta della Critica della Ragion Pura, detta Estetica trascendentale. L’Estetica trascendentale è in Kant “l’apprensione immediata dei dati sensibili e ordinati nelle varie forme a priori”. Quest’intuizione è la sintesi del contenuto extraoggettivo che deriva dalle impressioni sensibili, e della forma, propria del soggetto che colloca i dati nello spazio e nel tempo. Nell’intuizione si costituisce dunque un mondo dell’esperienza organizzato nelle forme dello spazio e del tempo. Più precisamente si deduce che il tempo non è un concetto empirico tratto da qualche esperienza. La simultaneità o la successione delle esperienze non si presenterebbe neppure se come fondamento a priori non vi fosse la rappresentazione del tempo. Il tempo, a differenza dello spazio, ha una sola dimensione: tempi differenti non sono simultanei ma successivi (mentre spazi differenti non sono successivi ma simultanei). Pertanto per determinare oggettivamente l’ordine di successione nel tempo è necessario che la relazione fra i due stati (il prima e il poi), successivi nella percezione, risponda ad una regola per la quale l’avvenimento successivo segua sempre e necessariamente il precedente e, il tempo sia quindi irreversibile. Questa regola è il concetto di rapporto di causa effetto che determina quale, fra i due stati, deve essere posto necessariamente prima e quale dopo e non inversamente. Il tempo come ordine di successione è, così, asservito da Kant all’ordine casuale secondo un principio che avrà gran fortuna nell’epistemologia moderna fino ad Einstein e Reichenbach. Completamente differente, nonché radicalmente antiscientifica, è la concezione del tempo di Bergson. Egli afferma che il tempo della scienza è una schematizzazione e spazializzazione del tempo vero che, come assoluto, altro non è che la durata della coscienza. Il tempo vero è, infatti, per Bergson un fluire non spazializzato di stati della coscienza in cui non ha alcun senso la distinzione del prima e del poi e quindi, il concetto di irreversibilità. Il tempo della coscienza è composto di momenti indistinguibili che trapassano l’uno nell’altro, si mescolano, e costituiscono un tutto unitario in cui ogni istante è assolutamente nuovo che costruisce la “valanga”, via via ingrossantesi della memoria. Questo tempo non spazializzato è la dimensione principale della coscienza come flusso ininterrotto è “slancio vitale”. Pertanto il tempo della durata coincide con il fluire autocreativo della coscienza. Il conclusione bisogna analizzare la posizione nicciana che propone la dottrina dell'Eterno ritorno dell'uguale. Questo concetto è presentato come il risultato di un’intuizione improvvisa: il tempo non ha fine, il divenire non ha scopo. Il tempo non procede in modo rettilineo né verso un fine trascendente (come sostiene la tradizione ebraico - cristiana) né verso un fine immanente (come crede lo storicismo). L'uomo occidentale è prigioniero di un’errata concezione lineare del tempo, secondo cui ogni cosa ha un inizio e una fine, un principio e uno scopo. A questa concezione ebraico - cristiana che scandisce il tempo in istanti unico - creazione, peccato, redenzione, fine dei tempi - Nietzsche oppone invece una concezione ciclica, secondo la quale gli eventi sono destinati eternamente a ripetersi in un tempo circolare. In questa visione il mondo è dominato dalla ripetizione. Ogni istante vissuto, ogni piacere e ogni dolore sono già esistiti infinite volte e infinite volte, in eterno, esisteranno. Se tutto ritorna, ogni istante non è né un passo avanti né un passo indietro, in quanto non vi sono più direzioni prescritte: cade la possibilità di orientarsi nel tempo rispetto a scopi o principi assoluti; si svela così il fondamento ontologico fallace di ogni progetto etico, religioso o metafisico. Questa concezione circolare del tempo potrebbe essere interpretata in chiave fatalistica: se ogni istante è destinato a ripetersi, se il tempo non è che l'eterno rincorrersi degli eventi stessi, è facile concludere che nulla accade di nuovo, che la vita è inutile. Nietzsche risponde negativamente. L'amor fati non è l'accettazione rassegnata delle cose così come esse accadono: il superuomo è proprio colui che volontariamente vuole per sé quella legge universale che gli altri esseri si limitano a seguire ciecamente. Così facendo trasforma il caso in una necessità consapevolmente assunta e voluta: "Così io volli che fu, così io voglio che sia, così io vorrò che sia". Nella visione lineare del tempo ogni istante acquista significato solo se legato agli altri che lo precedono e lo seguono: il corso del tempo muove verso un fine che trascende i singoli momenti di cui è costituito. Nella visione di Nietzsche, invece, ogni momento del tempo e dunque ogni esistenza singola in ogni suo attimo di vita, possiede tutto intero il suo senso. L'attimo presente perciò merita di essere vissuto per se stesso, come se fosse eterno. Infatti, in una struttura del tempo rettilinea nessun istante vissuto può realmente avere in sé una pienezza di senso, in quanto tale istante ha senso solo in funzione di altri istanti che lo precedono e lo seguono. Questi attimi così intensi da desiderare che ritornino eternamente, sono possibili solo se l'uomo felice che ne è il protagonista, il superuomo, aderisce alla legge suprema dell'eterno ritorno dell'uguale. L'eterno ritorno può essere voluto solo dal superuomo che può realizzarsi solo in un mondo ordinato secondo l‘eterno ritorno. In questo modo diventa possibile l'avvento di una nuova e felice umanità, libera di dispiegare la propria creativa volontà di potenza sul mondo.

STORIA

Il periodo storico in cui meglio si inquadrano tutte le sfaccettature del tempo finora analizzate è il cosiddetto “ventennio fascista”. La fine della guerra vede un’Italia in grave crisi economica, sfiduciata, lacerata da contrasti sociali. La guerra, benché vittoriosa, ha significato investimento di capitali, calo della produzione agricola per l’assenza materiale della forza-lavoro, arricchimento di pochi industriali e ulteriore impoverimento dei lavoratori. La disoccupazione, le misere condizioni di vita del dopoguerra, segnato da epidemie, inflazione e carovita, dalla delusione per la mancata attuazione delle promesse ai soldati al fronte, alimentano la protesta popolare. Questa si manifesta in varie forme, dalla rabbia insurrezionale del cosiddetto “biennio rosso”, al nazionalismo esasperato degli ex combattenti. Accanto alla crisi sociale ed economica si vive anche una crisi politica. La vecchia classe dirigente liberale è in declino. Avanzano i partiti di massa, quello socialista e quello cattolico (partito popolare fondato da don Luigi Sturzo). Ma comincia ad affermarsi anche un nuovo movimento politico: il Fascismo. L’ascesa del Fascismo a partire dal 24 ottobre 1922, giorno della storica marcia su Roma ad opera delle squadre fasciste, legata sicuramente alla forte personalità di Benito Mussolini, è frutto di una combinazione di eventi e di mancate analisi della classe dirigente. Elementi, questi, che portano lo Stato italiano a subire una dittatura ventennale che dalla consacrazione del Partito Fascista arriva allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Ecco una breve cronologia degli eventi caratterizzanti quel ventennio tanto negativo per la storia italiana: il 24 ottobre 1922 le squadre fasciste organizzano la marcia su Roma. Immediatamente il re Vittorio Emanuele III convoca Mussolini e gli conferisce l’incarico di formare il nuovo governo. Nelle elezioni del 1924 Mussolini riscuote un grande successo e si libera immediatamente della scomoda figura di Matteotti che aveva denunciato alla Camera le violenze e i brogli elettorali dei fascisti. Nel discorso alle Camere del 3 gennaio 1925 il duce preannuncia la soppressione delle libertà costituzionali e l’instaurazione della dittatura. Nell’aprile del ’26 sono vietati gli scioperi e qualsiasi forma di agitazione sindacale. Nel 1927 è approvata la Carta del Lavoro che regola i rapporti tra le classi e subordina gli interessi individuali a quelli dello Stato. Nel 1929 sono sottoscritti i Patti Lateranensi che riconoscono alla Chiesa il libero esercizio del potere spirituale e del culto. Nel 1936 l’esercito italiano entra in Addis Abeba in Etiopia e Mussolini proclama la fondazione dell’Impero. Nell’ottobre del ’36, dopo l’intervento congiunto con Hitler nella Spagna devastata dalla guerra civile, Mussolini sottoscrive un accordo con la Germania, il cosiddetto Asse Roma-Berlino. Nel dicembre del ’37 l’Italia si ritira dalla Società delle Nazioni, istituita nel 1919. L’estate del 1938 vede l’approvazione delle leggi razziali che tendono a perseguire l’elemento ebraico. Nel 1939 Mussolini stipula con l’alleato tedesco il Patto d’Acciaio che sancisce un impegno reciproco ad aiutarsi in caso di guerra. Il 1° settembre 1939 Hitler ordina alle truppe tedesche di invadere la Polonia dando il via al secondo conflitto mondiale. L’Italia dapprima dichiara la proprio non belligeranza ma il 10 giugno 1940 entra a piena regola nel conflitto dichiarando guerra alla Francia e all’Inghilterra.

LATINO

“Non riceviamo una vita breve ma tale la rendiamo: e non siamo poveri quanto alla vita, ma la sprechiamo con prodigalità” (De Brevitate Vitae).
Questa frase è stata scritta da uno dei più grandi scrittori latini, Lucio Anneo Seneca (4 a.C.-65 d.C.). il problema del tempo e quello della morte sono stati sempre presenti nella sua sensibilità. Ha scritto che gli uomini perdono il loro tempo in cose vane e si accorgono di quanto il tempo sia prezioso solo quando si vedono la morte sul capo: “Il saggio impegnerà bene il suo tempo se rifuggirà al mescolarsi alla folla e coltiverà quegli studi che elevano l’animo alla contemplazione delle cose divine e alla pratica delle virtù”. La strada del perfezionamento morale ha inizio col prendere possesso del proprio essere e di ciò che gli compete, sottraendolo all’illusorietà e all’innaturalità di una vita abbandonata a se stessa e imposta dalle convenzioni. Tra tutte le cose che ci sono sottratte sia per incuria nostra sia per condizionamento altrui, la sottrazione più grave riguarda il tempo perché “omnia aliena sunt: tempus tantum nostrum est” (tutto appartiene ad altrui, solo il tempo è veramente nostro).Il tempo occupato pertanto non ci appartiene più ma è riempito da forze esterne, l’unico bene nostrum è diventato pure esso alienum. A quest’occupazione deve sostituirsi la liberazione e questo tempo liberato va utilizzato immediatamente per le più nobili attività: è proprio questo il messaggio principale del De Brevitate Vitae e cioè la conversione da un tempo illusorio che l’uomo crede di possedere, che è invece occupato e alienato, a un tempo reale, da usare vivendolo appieno. La brevità della vita non va intesa come un problema di quantità, bensì come un problema di qualità: la vita aliena scorre via inavvertita mentre la vita consapevole è esistenza reale e intensa. Chiunque, per quanto vecchio possa essere, non sia riuscito a realizzare questa conversione, dice Seneca, non diu vixit, sed diu fuit, non è vissuto a lungo ma a lungo è stato al mondo. Protinus vive è pertanto l’invito di Seneca: vivi adesso, non più tardi. La pienezza della vita può essere colta solo nell’usare il presente. Sia per non dipendere dal futuro, ma anche per avere il senso pieno dell’esistenza, di aver vissuto, non di essere stati soltanto nel tempo. Qui l’esortazione si fa più viva e pesante del Carpe Diem oraziano ma Seneca non dà importanza solo al giorno guadagnato ma anche al recupero del passato all’aggiunta dell’avvenire. A una concezione del tempo suddiviso in istanti, Seneca oppone una concezione dinamica connaturata all’idea di continuità psichica, anticipando uno dei motivi principali della speculazione filosofica di Sant’Agostino.

ITALIANO

Nel Sentimento del Tempo di Giuseppe Ungaretti (1888-1970) il punto focale della raccolta è, come ci suggerisce il titolo, il sentimento che il poeta ha del tempo. Alla poetica dell’attimo si sostituisce una diversa percezione del tempo che, adesso, è inteso bergsonianamente come pura durata interiore ed evocato in una dimensione mitologica, “sentito” nella violenza e nel torpore dei momenti estivi della giornata e assunto nel fluire delle stagioni. E’ “sentimento del tempo” anche l’approdo ad un universo atavico e primigenio, alieno da colpe e da peccati, ove la realtà è sublimata nell’incontro metafisico tra il contingente e l’eterno. E’ ancora il tempo religioso della difficile ricerca del divino convissuta però con meditazioni sulla morte. Il poeta individua nell’opera, divisa in sette parti, tre momenti fondamentali nel suo modo di avvertire il tempo: “Nel primo mi provavo a sentire il tempo nel paesaggio come profondità storica; nel secondo, una civiltà minacciata di morte m’induceva a meditare sul destino dell’uomo e a sentire il tempo, l’effimero in relazione con l’eterno; l’ultima parte del Sentimento del Tempo ha per titolo L’amore, e in essa vado accorgendomi dell’invecchiamento e del perire della mia carne stessa”. Ungaretti sente profondamente il veloce scorrere del tempo, il rapido fluire delle cose, delle persone amate e questo sentimento produce, per contrasto, la nostalgia del passato e un più tenace attaccamento alla vita. Ma accanto al fluire delle cose appare l’altro tema della raccolta, il sentimento di Dio, in cui si placa l’angoscia esistenziale del poeta. La ricerca ungarettiana di un’autenticità del vivere, trasfigurando il potere rievocativo della memoria, che da storica si fa archetipica, si nutre del senso del divino. E’ un elevarsi in una dimensione mitico-metafisica alla conquista di una purezza originaria, è un penetrare nelle atmosfere impalpabili dell’onirico e dell’evocativo. La parola poetica dell’opera diventa un atto vibratorio puro, un “miracolo” teso a far risuscitare nella sua purezza originaria un mondo sepolto nella memoria. Ne deriva una totale dilatazione del tempo, le cui parabole sono trasfigurate come eterne figure dell’armonia universale e sono recepite con una disposizione onirico impressionistica.

SCIENZE

L’universo è nato da un’immane esplosione di energia circa 15 miliardi di anni fa. Da quell’energia si sono materializzate prima le particelle elementari, poi gli atomi, e infine le stelle e le galassie. Almeno a grandi linee, questo scenario da trent’anni è condiviso dalla maggioranza della comunità scientifica. E’ lo scenario del Big Bang, il “grande scoppio” che diede origine al cosmo. Ironicamente a coniare l’espressione Big Bang fu il maggior oppositore di questa teoria, Fred Hoyle, sostenitore di una teoria alternativa fondata sulla creazione continua di materia (Universo stazionario basato sul Principio Cosmologico) che compenserebbe la progressiva diminuzione della densità media dell’universo determinata dal reciproco allontanamento delle galassie (legge di Hubble). Parlando di Big Bang durante una trasmissione radiofonica degli anni 50, Hoyle credeva di coprire di ridicolo gli avversari ma fu invece l’inventore di uno slogan molto efficace che ben presto gli si rivolse contro. L’idea del Big Bang è relativamente recente. L’universo di Newton e, inizialmente, dello stesso Einstein mantiene la prerogativa aristotelica dell’immutabilità. L’elemento veramente nuovo introdotto dalla cosmologia contemporanea è quello evolutivo. Con le riflessioni su base teorica del russo A. Friedman (1922) si affaccia l’idea di un universo in espansione: quindi mai uguale a se stesso e con un’origine ben identificabile se s’immagina di percorrere a ritroso il cammino dell’espansione. Poco dopo (1929) l’astronomo statunitense E. Hubble fornisce la prima chiara prova osservativa di un generale moto di allontanamento delle galassie a velocità crescente in proporzione alla loro distanza, in accordo con le teorie sull’espansione. Il concetto di “storia” entrava così nella cosmologia. Oggi dunque sappiamo che l’universo ha avuto un’origine, che probabilmente avrà una fine e sappiamo persino, più o meno, quanti ha grazie all’applicazione della legge di Hubble. Questa legge inoltre indica che, in realtà, non sono le galassie ad allontanarsi, ma lo spazio a espandersi trascinandole con sé. D’altra parte non bisogna farsi trarre in inganno da un’idea ingenua del Big Bang come un “grande scoppio” che sia avvenuto in un certo punto e in un dato momento. In realtà con il Big Bang nascono insieme lo spazio e il tempo. Pertanto se ci si domandasse dove sia avvenuto il Big Bang, la risposta sarebbe qui, laggiù e in ogni luogo perché tutti i punti dell’universo attuale coincidevano all’inizio dello spazio-tempo. E’ con il Big Bang che si crea la “freccia del tempo”: le stelle nascono e muoiono, le galassie si formano e si disperdono, dal Big Bang ad oggi l’universo non ha fatto altro che evolversi e cambiare connotati. Purtroppo, sebbene questo modello evolutivo rimanga la teoria migliore che abbiano sull’origine dell’universo, la teoria del Big Bang presenta sul piano teorico numerose perplessità nell’applicare a tempi e a spazi cosmologici conoscenze fisiche accertate soltanto in un ambito di tempo e di spazio enormemente più ristretto quale è il nostro. Inoltre in cosmologia vengono a mancare alcuni parametri fondamentali della scienza convenzionale: non solo l’esperimento del Big Bang non può essere replicato, ma non può nemmeno essere osservato se non nelle sue remote conseguenze. Alla luce di queste problematiche, benché esso continui a essere largamente condiviso, questo modello andrà presto incontro a accurate revisioni critiche che ci riserveranno non poche sorprese.

ARTE

Fino all’Ottocento la pittura ha tentato di riprodurre sulla tela una realtà a tre dimensioni. Utilizzando, infatti, magistralmente la prospettiva e il chiaroscuro cercava di dare l’illusione della profondità e della distanza tra gli oggetti senza avere la pretesa né la volontà di rappresentare lo scorrere del tempo o i movimenti ma piuttosto voleva fissare nell’immagine l’attimo di un gesto o di un’azione. Agli inizi del Novecento la rappresentazione esatta e particolareggiata della realtà è sentita come limitazione alla libera creatività artistica. Nascono quindi nuovi modi di rappresentare la realtà, sia esterna che interiore, cambiano i criteri di rappresentazione dello spazio e delle cose nello spazio, si tenta incessantemente di rendere vivo sulla tela il mutare e il fluire del tempo, il movimento e il ritmo della vita moderna. Per cogliere appieno queste nuove tendenze esaminiamo: Manet, Monet e l’Impressionismo e Picasso a il Cubismo. L’esempio di apertura mentale e di libertà stilistica che Manet seppe offrire ai colleghi più giovani e le suggestioni che indubbiamente ricevette dal loro più poeticamente spericolato spirito di ricerca, non bastano ad identificare la sua pittura in ciò che di più vivo e di più nuovo è nella problematica formale impressionista. Manet schiuse nuove strade alla pittura con l’intento di indicare ai pittori più giovani due mete precise: un franco rinnovamento formale che spazzasse via non soltanto il vecchiume del quadro storico ma anche il pregiudizio di una pittura che attinge validità da un’elaborazione lunga e paziente; l’attenzione alla vita contemporanea, soprattutto agli aspetti di essa che la rendevano incomparabilmente fresca e nuova rispetto al passato e che soltanto una pittura rapida ed essenziale nella pienezza del risultato visivo, poteva sperare di cogliere con sincerità e immediatezza. Ciò spiega in un certo senso anche quel tanto di ripulsa moralistica che ebbe parte negli scandali dei “Salons” nei quali furono esposti alcuni suoi quadri. (Dejeuner sur l’herbe; Olympia). Reazioni violente si ebbero anche contro le opere di Sisley, Renoir e Monet ed è noto che fu proprio il titolo di uno dei quadri di quest’ultimo (Impression, soleil levant) a mettere in voga la definizione di “impressionisti” pronunciata con intenzioni spiccatamente ironiche. A rendere anche più aspra di quanto non fosse stata con Manet la riprovazione di gran parte del pubblico anche colto, era la sensazione che i pittori impressionisti avessero tagliato tutti i ponti con la tradizione, violentando ogni consuetudine tecnica per far trionfare il loro anarchico senso del colore e della materia pittorica. Tutti i movimenti d’avanguardia che si erano succeduti dal 1874, anno della prima mostra degli impressionisti, avevano puntato con particolare insistenza nella loro polemica antitradizionalista sul significato completamente nuovo che essi assegnavano al colore. Quell’inarrestabile cammino verso un’integrale autonomia del linguaggio artistico, cui fatalmente portavano lo spirito e la logica interna dell’avanguardia, doveva ora passare attraverso lo smantellamento di ciò che ancora restava in piedi della sintassi formale propriamente detta; passare, in una parola, attraverso la “rivoluzione” cubista. Il Cubismo, un altro termine nato da una battuta ironica e subito insediatosi nella nomenclatura storica, nasce dal radicale riesame del rapporto arte-oggetto, compiuto con una ricerca solidale e comune, a partire dal 1907, da Pablo Picasso e Georges Braque. I cubisti si lamentavano dell’etichetta data al loro movimento ma è proprio nell’essenza volumetrica della realtà che i cubisti inquadrano la loro volontà riformatrice, intendendo soprattutto risolvere in modo nuovo il problema di trasferire la realtà tridimensionale su una superficie a due dimensioni qual è il quadro. L’assorbimento nell’atmosfera che la realtà aveva subito nell’Impressionismo non soddisfa i cubisti perché delude il loro desiderio di una “realizzazione integrale della pittura”, di una conoscenza totale dell’oggetto. Dalla volontà di rappresentare l’oggetto non nella sua apparenza ma nella sua verità scaturivano nuove, straordinarie possibilità di svolgimento formale dell’immagine che poteva proiettare attorno a sé la sua intera esistenza I cubisti anelavano quindi un pieno possesso della realtà che coincideva con un integrale controllo di quell’altra realtà che è il quadro. Questo anelito si configurava appieno nelle parole di Cézanne: “… la natura è sempre la stessa, ma nulla resta di essa, di ciò che appare. La nostra arte deve dare il brivido della sua durata”, ma questo può avvenire solo se la tela “non vacilla, è vera, è densa, è piena”.

INGLESE

Virginia Woolf was author of important literary essays (Modern Fiction and Mr Bennet & Mrs Brown) and a very acute interpreter of female condition (A Room of One’s Own, Three Guineas). But she expressed her exceptional artistic talent in the novels. The true and discarnate protagonist of her works is the time. Time, as perpetual stream, threatens person’s integrity and the reality of the concrete experience. So Virginia Woolf records in what she calls “moments” or “moments of existence” the authenticity of the life. The relation between the “moment” and the stream of the time is, in her novels, analogous to that between personal identity and external world. This is evident in the novel “To The Lighthouse”. This novel is divided into three “temporal panels” united by the symbolic thread of a trip, planned by Ramsay family during an holiday. The central character is Mrs Ramsay, a very beautiful and malinconic woman. The multiple angles by which Mrs Ramsay is observed, or rather the various cosciences, the various persons around her and the “stream of consciousness” of the Mrs Ramsay herself, constitute a very taching polyphonic representation of the difference between cronological and interior time. A representation of the flight of the memory that connects the fragments of the existence and closes them in a circle ( destinated to shatter in the following instant).

MATEMATICA

La teoria degli infiniti e degli infinitesimi
Concetto di limite

FISICA

La teoria della relatività di Einstein unifica i due tradizionali concetti fisici di spazio e tempo in un unico concetto spazio – temporale. Nei diversi modi in cui si manifesta il mondo reale, sin dall’antichità la materia ha rappresentato la “sostanza” mentre lo spazio e il tempo hanno rappresentato la “forma”. Da questo modo di percepire il mondo ebbe origine la geometria. Presupposto irrinunciabile per ogni riflessione scientifica divenne l’esistenza di uno spazio assoluto e di un tempo altrettanto assoluto, indispensabile per descrivere il mutamento della realtà. In questo schema, ogni fenomeno fisico (“evento”) fu caratterizzato mediante variabili che individuano il luogo (“spazio”) e l’istante (“tempo”) in cui esso avviene. Lo spazio è determinato rispetto ad un sistema di riferimento arbitrario e allo stesso modo il tempo.
La definizione di spazio e di tempo, così delineata, pone due importanti problemi:

• Tra tutti i sistemi di riferimento che si possono scegliere esiste un sistema privilegiato, ovvero esiste un sistema di riferimento assoluto?
• L’intervallo di tempo che intercorre tra due eventi dipende dallo stato di moto del sistema di riferimento cui appartiene l’orologio, ovvero, esiste un tempo assoluto?

Il problema dell’equivalenza dei sistemi di riferimento fu affrontato, per la prima volta, da Galileo che individuò i sistemi di riferimento (sistemi inerziali o sistemi galileani) rispetto ai quali i fenomeni meccanici possono essere descritti mediante i principi della dinamica. Galileo enunciò anche l’equivalenza tra due sistemi di riferimento inerziali in moto uniforme l’uno rispetto all'altro (principio di relatività galileiana). Il problema del tempo assoluto (in particolare il problema della “simultaneità” tra due eventi lontani) non venne invece mai messo in discussione. Quando, nel XIX° secolo, J.C. Maxwell unificò i fenomeni elettrici e quelli ottici nella sua teoria dell’elettromagnetismo, stabilì anche che gli stessi fenomeni si propagano nello spazio attraverso onde: nella visione meccanicistica dell’epoca, occorreva quindi un “mezzo” che riempisse tutto lo spazio per consentire la propagazione di tali onde. Questo mezzo - individuato nel mitico etere - veniva così ad assumere il ruolo di riferimento spaziale assoluto, rispetto al quale - misurando la velocità della luce - doveva essere possibile misurare, per esempio, anche il movimento della Terra. Agli inizi del XX° secolo, quindi, mentre la meccanica ne escludeva l’esistenza, l’elettrodinamica e l’ottica sembravano richiedere l’esistenza di un riferimento assoluto (che però sfuggiva all’osservazione). Nel 1905 A. Einstein diede un taglio netto alla questione del riferimento assoluto (e, quindi, dell’etere) attraverso due ipotesi rivoluzionarie che costituivano la base della cosiddetta “Relatività Speciale” (o “Ristretta”):

• Le leggi dell’elettrodinamica e dell’ottica sono valide per gli stessi sistemi di riferimento per cui è valida la meccanica (generalizzazione della relatività galileiana);
• La velocità della luce nel vuoto è costante e non dipende dallo stato di moto della sua sorgente (si elimina così ogni riferimento all’etere).

Da queste due ipotesi derivano due conseguenze importanti:

• La relatività della simultaneità (e quindi l’assenza di un tempo assoluto);
• La relatività delle lunghezze.

Applicando la teoria della relatività alle leggi della meccanica, Einstein giunse, tra l’altro, a dimostrare l’equivalenza tra massa ed energia racchiusa nella famosa formula: E=mc2. Partendo dal presupposto che le leggi della natura devono essere valide anche nei sistemi non inerziali, alcuni anni dopo Einstein allargò la sua teoria anche ai sistemi di riferimento in moto qualsiasi (Relatività Generale). Questo allargamento della teoria portò a confermare l’equivalenza tra la massa valutata rispetto all’inerzia (massa inerziale) e la massa valutata rispetto alla gravitazione (massa gravitazionale). Ma portò anche a stabilire che lo spazio è curvo e che la sua curvatura, punto per punto, dipende dalla presenza o meno di masse. Dalla curvatura dello spazio deriva anche la questione della struttura dell’universo, che risulterebbe chiuso ma in espansione, in accordo con le scoperte astronomiche fatte proprio in quegli stessi anni. La teoria della relatività generale ha ricevuto ulteriori innumerevoli conferme ed è oggi pienamente accettata, tanto da costituire il linguaggio di tutta la fisica moderna.

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