Freud

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Testo

La svolta psicanalitica
Nel 1900 muore, a Weimar, Friedrich Nietzsche, mentre a Vienna Sigmund Freud pubblica l’Interpretazione dei sogni. In un breve scritto del 1916, Freud riconduce le resistenze che la sua nuova dottrina incontra nell’essere accettata alla nuova “ferita narcisistica” che essa ha inferto “all’amor proprio dell’umanità”. Prima allontanato da Copernico dal centro dell’universo, poi detronizzato da Darwin ad animale fra gli animali, l’uomo, il soggetto umano, vede ora messa in dubbio dalla psicanalisi l’assoluta padronanza dei propri contenuti concettuali e della propria volontà. “L’Io non è più padrone in casa propria” nel momento in cui viene mostrato come pensieri, volontà, comportamenti siano il risultato di una dinamica complessa in cui le istanze razionali dell’Io interagiscono con le pulsioni profonde dell’Es e i comandi sociali del Super-io.
Freud giunge a proporre un approccio Interpretativo alla personalità e alla stessa natura dell’uomo che mette in discussione le tradizionali demarcazioni fra verità e falsità, razionalità e irrazionalità, normalità e devianza, mostrando che la condotta dell’uomo è il risultato dinamico di forze solo in parte consapevoli e conosciute. Nel lavoro psicanalitico la conoscenza è ineliminabilmente connessa con la terapia, il soggetto è indissolubilmente implicato, sul piano intellettuale e affettivo, con l’oggetto dell’indagine. Quest’ultima consiste in un lungo processo di decifrazione di segni: i fatti da essa privilegiati sono proprio quelli che la psicologia sperimentale relegava ai margini, e in primo luogo i sogni, la cui logica, costruita in violazione delle tradizionali categorie spazio-temporali e del principio di non contraddizione, rivela l’incessante opera di elaborazione e di camuffamento attraverso cui la coscienza si difende dalle pulsioni profonde. L’uomo analizzato da Freud è un uomo la cui trasparenza è solo l’obiettivo, mai pienamente raggiungibile, di un faticoso lavoro interpretativo, e la cui razionalità è sempre un provvisorio e instabile equilibrio fra conosciuto e ignoto, intellettuale e affettivo.
Psicoanalisi: disciplina che ha come proprio dominio specifico d’indagine la conoscenza dell’individuo attraverso il soggetto. La psicoanalisi fu fondata alla fine del secolo scorso da Sigmund Freud e successivamente sviluppata dallo stesso Freud e dai suoi allievi e continuatori. Nella concezione freudiana la psicoanalisi presenta tre aspetti fra loro strettamente collegati: essa si pone come un procedimento per l’indagine di processi psichici; come un metodo terapeutico per il trattamento dei disturbi nevrotici; come una serie articolata e complessa di conoscenze psicologiche acquisite per questa via che gradualmente si assommano e convergono in una disciplina organica. Con Freud l’inconscio, diviene una costruzione teorica comprensiva degli aspetti motivazionali della personalità, sia sana, sia patologica. Nella teoria freudiana si distinguono un uso “descrittivo” e un uso “topico” del termine “inconscio”. Nell’uso descrittivo, che attraversa tutta l’ opera di Freud, “inconscio” è un aggettivo che indica i contenuti psichici non compresi nel campo attuale della coscienza; nell’uso topico è necessario distinguere due fasi del pensiero freudiano, la prima anteriore e la seconda posteriore al 1920, prima topica: conscio, preconscio, inconscio; seconda topica: Es, Io, Super-io.
Una nuova disciplina.
La psicoanalisi comprende sia i singoli fenomeni e processi psichici scoperti sia la teoria generale dell’individuo, la metapsicologia, che colloca la psicanalisi tra la psicologia e la biologia, dato che i poli e i limiti della ricerca psicoanalitica sono dati dai fenomeni psichici coscienti e dal corpo. All’interno di una concezione sostanzialmente solistica e materialistica, la metapsicologia raffigura a livello teorico quanto il soggetto può conoscere di se in quanto individuo e come può farlo: la distinzione tra mente e corpo perde da questo punto di vista ogni senso che non sia quello descrittivo, mentre viene accentuata la differenziazione fra conoscenza psicoanalitica e pretese conoscenze obiettive. La metapsicologia obbliga a ricostituire un fenomeno secondo vari punti di vista e a collocarlo in un insieme. Questa prospettiva ha permesso di mettere in luce molti fenomeni della vita psichica prima trascurati. L’individuazione delle caratteristiche e delle differenze tra processo primario e processo secondario di pensiero, la scoperta delle specifiche modalità della psicosessualità infantile, il conflitto edipico, i fantasmi originari, il trauma psichico, le pulsioni come termine ultimo conoscibile dal soggetto, la nascita psicologica del bambino, le vicissitudini della costituzione dell’oggetto psichico e quelle ad esse collegate sono tutti processi la cui scoperta ha mutato la concezione dell’uomo nella nostra cultura.
La psicoanalisi si è organizzata sul piano istituzionale, soprattutto allo scopo di qualificare la propria specificità nei confronti di dottrine con essa incompatibili, ma che talora ne mutuavano il linguaggio; e nei confronti di quella che lo stesso Freud definì “psicoanalisi selvaggia”, cioè una forma non autorizzata di intervento psicoanalitico.
La psicoanalisi
Nasce nel clima della crisi e del disfacimento delle teorie positivistiche. La scienza moderna aveva eretto il suo grande edificio “sostituendo al nostro mondo della qualità e delle percezioni sensibili, il mondo che è teatro della nostra vita, delle nostre passioni e della nostra morte, un altro mondo, il mondo della quantità”. Ciò che viene escluso e rimosso è il soggetto con lo spessore delle sue istanze, dei suoi bisogni, del suo desiderio, in quanto, come aveva detto Cartesio, proprio nell’esperienza del soggetto, e nella traccia che di tale esperienza si mantiene nella memoria, si annida l’errore. Contro il positivismo che aveva sottolineato con enfasi quasi religiosa questa rimozione del soggetto in favore dell’oggettività dei fatti si era gia mosso Nietzsche, sostenendo il valore conoscitivo “del corpo e della sua grande ragione”. E da Nietzsche Freud prese le mosse “spero di trovare in lui (Nietzsche) le parole per tutto quanto resta muto in me”, non per rianimare il mondo delle quantità e dei fatti, quanto piuttosto per costruire una ragione più ampia, in grado di comprendere anche ciò che fino ad allora era stato escluso. Freud non esalta un lato notturno e inconscio della vita contro la ragione e la coscienza. Egli scopre e ribadisce che non esiste una manifestazione pura del pensiero, che in ogni atto significante umano si iscrivono più forze, motivazioni e spinte , che restano perlopiù sconosciute. La psicoanalisi, deve appunto descrivere e parlare di questo: di ciò che non si sa, ma che tuttavia determina le nostre condotte affettive, intellettuali e sociali. È così che viene completamente modificata la linea di demarcazione che separava, all’interno del pensiero prefreudiano, il normale dall’anormale, ciò che è razionale da ciò che è irrazionale. Tra queste dimensioni non c’è un rapporto reciprocamente esclusivo, che è la struttura stessa del soggetto e della società che lo comprende “la psiche è un campo di lotta fra tendenze contrapposte fra loro” (Freud, Introduzione alla psicoanalisi).
Il primo atto di questa penetrazione razionale nei territori che la scienza aveva abbandonato all’arte e alla poesia, o aveva rimosso da sé come dominio della follia, è costituito dall’Interpretazione dei sogni. In quest’opera (l’opera della mia vita) Freud scopre la logica e i meccanismi del lavoro onirico, il principio del piacere che li regola e li dirige. Ne trae un vero e proprio modello di accesso all’inconscio (la via regia) che potrà essere esteso anche ad altre manifestazioni psichiche.
A livello più propriamente analitico è dopo il 1920 che Freud viene a definire la pluralità del soggetto (la scomposizione della personalità). Non abbiamo più un’opposizione fra istanze consce e inconsce con la mediazione del preconscio. Io, Es e Super-io si contendono lo spazio del soggetto. I loro confini sono sfumati. Le zone che essi ricoprono sono spesso indefinite e mutevoli. Compito dell’individuo è quello di intraprendere un lungo e faticoso, interminabile lavoro per annettere all’Io i territori dell’Es resistendo alle prepotenti istanze del Super-io. Infatti, “dove era Es deve diventare Io”. Il soggetto si costruisce proprio in questo lavoro interminabile, così come interminabile è il lavoro analitico. L’analisi non è un’arte dell’interpretazione che ci mette, attraverso un disvelamento, di fronte ai tesori sepolti nell’interiorità e nel profondo del soggetto. Essa è una pratica congetturale, che può offrire soltanto costruzioni, formazioni di compromesso provvisorie, che possono essere revocate attraverso una ulteriore scoperta di materiali rimossi. L’attacco che Freud conduce contro la filosofia e la scienza ottocentesche è più radicale. In Al di là del principio di piacere attraverso l’analisi delle nevrosi traumatiche, egli scopre una coazione a ripetere che non può essere ascritta al principio di piacere e che rinvia, al di là di esso, alla pulsione di morte: a una spinta verso lo stato originario della materia. Il conflitto psichico sarebbe allora riconducibile al conflitto originario fra Eros e Thanatos, le forze della vita e del movimento, e le forze dell’inerzia e della morte. Si tratta di una speculazione filosofica che non ha riscontro empirico. La coazione a ripetere rende pensabile una diversa concezione della temporalità. Il pensiero occidentale si era fondato su una concezione lineare del tempo: progressivo o regressivo. Tale concezione appartiene, dice Freud al sistema percezione-coscienza, quale si è prodotto all’interno di un certo pensiero e di una certa storia. Le nevrosi traumatiche e il rapporto di transfert ci mettono invece di fronte a una immagine del tempo-ripetizione, che provoca uno spaesamento rispetto alla ragione del tempo lineare e alla sua logica causale. Tutti gli ultimi anni di Freud sono dedicati a definire lo statuto epistemologico di questa sua nuova disciplina perturbante e anomala: un ermeneutica dell’ermeneutica.
Eros-Thanatos
Eros è inteso come sinonimo di pulsione sessuale e più in generale delle “pulsioni di vita”, in opposizione a Thanatos, sinonimo delle “pulsioni di morte” correlate alle prime.
Inconscio = termine che indica i contenuti psichici non presenti alla coscienza dell’individuo.
Nella storia della filosofia una prima tematizzazione della nozione di inconscio ipotizzò la presenza di piccole percezioni continuamente operanti senza essere avvertite dalla coscienza a meno di non raggiungere, integrandosi insieme, un grado d’intensità. Ma il ricorso esplicito all’idea di inconscio si fa centrale nel periodo romantico della filosofia della natura. Per molti filosofi l’inconscio diviene il fondamento dell’essere umano, la radice invisibiledell’intero universo, nella quale si trovano uniti tanto la natura che lo spirito e da cui la coscienza si differenzia. Decisiva appare la concezione di Schopenhauer che equipara l’inconscio alla volontà cieca e irrazionale operante nell’uomo attraverso gli istinti sessuale e di conservazione. Prima di Freud furono molti i filosofi che si occuparono di analizzare l’inconscio, tra i principali ricordiamo Fechner che elaborò il concetto di “soglia” e rappresentò la mente umana come un iceberg la maggior parte del quale si trova al di sotto della superficie, ovvero della coscienza. Nella seconda metà dell’ottocento la psicopatologia, soprattutto quella francese (J-M Charcot), studiò alcuni aspetti della vita psichica inconscia in relazione all’automatismo psicomotorio, alla suggestione postipnotica, al sonnambulismo e ai sintomi isterici.
Bibliografia. Ciuffi Gallo Luppi Vigorelli Zanette “Dialogos”.
AA.VV “Le Gerzantine Filosofia”.
Introduzione
Quando si parla di psicoanalisi si intende una scienza che prese le sue prime mosse dall’opera di Sigmund Freud nell’ambito delle ricerche di fisiologia e di psicologia, ma che poi estese la propria influenza in tutti i settori della cultura, dalla poesia alla filosofia, dalla pittura all’etica. Fra le acquisizioni della psicoanalisi che ebbero maggiore impatto sulla storia del pensiero contemporaneo, occorre citare la scomposizione della coscienza (l’Io, il soggetto pensante).
Freud: la vita
Sigmund Freud (1956-1939) nacque a Friburgo, in Moravia. Trasferitosi con la famiglia a Vienna, vi studiò medicina, appassionandosi soprattutto allo studio del sistema nervoso centrale. Cruciale fu il suo incontro a Parigi con Charcot, poiché segnò l’inizio del suo distacco dalle posizioni positiviste: le malattie mentali cominciarono a rivelarglisi come non necessariamente attribuibili a cause organiche. Negli studi sull’isteria, Freud rivelò la sua scoperta di forze inconscie legate a ricordi spiacevoli o dolorosi e affermò la possibilità che i disturbi psichici fossero causa dei disturbi fisici.
Quando pubblicò “L’interpretazione dei sogni” la comunità scientifica reagì con ostilità e diffidenza, con “Psicopatologia della vita quotidiana” e “Il motto di spirito” ottenne improvvisa e vasta notorietà. Dopo aver costituito la società psicoanalitica viennese, venne invitato negli Stati Uniti per tenere una serie di conferenze sui temi della psicoanalisi.
A partire dal 1933 le cose si complicarono, non solo per il fatto che la sua insistenza sui temi della sessualità urtava il moralismo di molti, ma soprattutto a causa degli sviluppi storico-politici che portarono alla II° guerra mondiale. I nazisti a Berlino bruciarono i suoi libri e, dopo l’annessione dell’Austria, arrivarono a perquisire la sua casa. Freud, ebreo, riuscì a sfuggire alle persecuzioni rifugiandosi a Londra, dove rimase fino alla morte, avvenuta nel 1939.
Il sogno e l’inconscio
La via regia che per Freud conduce alla conoscenza dell’inconscio passa attraverso l’analisi dei sogni. Le immagini dei sogni, dietro l’illogicità e l’insensatezza apparenti, rivelano un lavoro di rielaborazione dei desideri inconfessabili, attraverso un aggiramento della censura e di ciò che essa ha rimosso dalla coscienza. Per recuperare il senso profondo, che la censura ha trasfigurato nelle immagini del sogno, Freud utilizza il metodo delle associazioni libere, consistente nel lasciare che il soggetto esprima liberamente e senza avere il tempo di riflettere tutto ciò che suscitano i ricordi del sogno. In questo modo è possibile, attraverso un lavoro di analisi, evidenziare resistenze e contraddizioni che rivelano i desideri che agiscono sulla vita psichica senza che ne siamo consapevoli.
I tre regni della personalità: ES, IO e SUPER-IO.
Freud individua tre aree della personalità, distinte ma strettamente interrelate.
L’ ES corrisponde alla parte irrazionale e oscura della psiche, quella dominata dai bisogni pulsionali, istintivi, che ricercano un soddisfacimento immediato. Le pulsioni vengono descritte come forze o energie che richiedono all’organismo di essere scaricate per ristabilire l’equilibrio psichico.
Il SUPER-IO è il risultato dell’educazione che comincia già dall’infanzia e agisce come censore morale, come stimolo alla ricerca di una vita regolata da norme superiori rispetto alle sregolatezze pulsionali.
L’IO, il cui nucleo è la coscienza, rappresenta quella parte della nostra personalità che ha il compito di mediare le richieste dell’Es, in virtù del principio di realtà, le norme del superio e le esigenze del mondo esterno. Schiacciato da queste tre responsabilità, l’Io si trova spesso in difficoltà e reagisce attivando dei meccanismi di difesa, che lo proteggono dal fallimento, dalla vergogna o dalla condanna morale. I principali meccanismi di difesa sono la sublimazione e la rimozione. Con la sublimazione l’Io ottiene il soddisfacimento di una pulsione spostando l’oggetto del desiderio da una meta sconveniente o pericolosa a una meta superiore, socialmente accettata.
La Rimozione interviene quando la sublimazione non è riuscita e quando la censura non ha agito consciamente per rigettare il desiderio inaccettabile. Il desiderio rimane inconscio e dall’inconscio continua ad agire, causando anche notevoli disturbi psichici nella vita quotidiana (sintomi nevrotici).
La sublimazione è ciò che accade al bambino che diventa adulto e si libera del complesso di Edipo: identificandosi con la figura genitoriale del proprio sesso non la sente più ostile e sposta il suo amore per il genitore di sesso opposto sugli individui di sesso opposto che incontrerà nel corso della sua vita.
Freud: la nevrosi è la normalità
Il pensiero freudiano ha offerto una nuova interpretazione dell’uomo in cui le componenti psicologiche inconsapevoli e irrazionali vengono considerate determinanti per la comprensione del comportamento. Freud colloca nella psiche pulsioni e desideri inconsci il cui contenuto non appare a livello cosciente, ma la cui soddisfazione è necessaria per evitare disturbi del comportamento più o meno gravi. Secondo Freud ciò che domina nell’inconscio e costituisce la motivazione primaria del comportamento umano è la libido connessa al soddisfacimento dei desideri sessuali.
La dimensione istintuale dell’individuo non può più venire negata né cancellata; Freud teorizza, però, la necessità di reprimere la libera espressione degli istinti, in quanto antisociale e autodistruttiva. I valori morali e spirituali sono creazioni della civiltà volte al controllo e al soddisfacimento degli istinti attraverso mete socialmente accettabili: ciò non toglie che la repressione degli istinti sia fonte di un disagio inevitabile dell’individuo, che può sfociare, a determinate condizioni, nella nevrosi.
Le nevrosi
I meccanismi mentali che possono riscontrarsi nel nevrotico sono identici anche nelle persone “normali”. Ci sono differenze quantitative, non qualitative, tra il nevrotico e il normale. È necessario a questo punto fare una netta distinzione fra:
• Nevrosi: malattia mentale non grave, perché il nevrotico non perde il contatto con la realtà. L’IO è un po’ in difficoltà perché l’ES è forte, il nevrotico può vivere una vita senza problemi.
• Psicosi: malattia mentale grave perché lo psicotico perde completamente il contatto con la realtà. Il mondo interno domina tutta la vita di una persona, i contatti col mondo esterno sono fittizzi.
La psicanalisi dà un’ importanza fondamentale alle esperienze infantili perché le esperienze infantili lasciano segni indelebili nella psiche dell’individuo adulto.
I disturbi di tipo nevrotico come ansie, insicurezze, fobie, ossessioni, isterie sono esperienze molto comuni e spesso considerate normali. Le persone vengono considerate nevrotiche solo quando l’importanza di questi disturbi diventa un serio ostacolo alla vita quotidiana. A differenza delle psicosi l’interpretazione nevrotica è sostanzialmente coerente con quella dell’ambiente sociale di appartenenza, chi vive in condizione di nevrosi non teme la disgregazione del proprio Io ma avverte il contrasto fra sé stesso e gli ostacoli interiori nella realizzazione dei propri progetti di vita.
Le nevrosi vengono divise fra disturbi di tipo nevrastenico, fobie, ossessioni, isteria. La nevrastenia assume forme molto diverse, che vanno da forme moderate di depressione a crisi di panico, da fastidi e dolori corporei di origine psicologica, alla preoccupazione costante per la propria salute (ipocondria). Ciò che accomuna queste diverse manifestazione è l’insicurezza e il fatto di vivere il proprio corpo come fonte di minaccia. Nelle fobie l’ansia prende la forma di una serie di timori eccessivi e invincibili verso situazioni come luoghi aperti, chiusi, affollati, la presenza di animali, la possibilità di contrarre una malattia. Alle fobie si accompagnano spesso disturbi ossessivo-compulsivi, dove pensieri dominanti e ripetitivi si accompagnano a gesti ripetitivi con funzione di rituali compensatori. L’isteria ha una grande varietà di manifestazioni, che vanno dal piano organico a quello più connesso con la personalità, come: amnesie, dissociazioni, depersonalizzazioni.
L’insorgere della nevrosi vera e propria può dipendere da cause molteplici: esperienze infantili, situazioni familiari e relazionali, conflitti e difficoltà di identificazione, contraddizioni e contrasti sociali.
L’interpretazione dei sogni come cura delle nevrosi
Freud vede nel sogno, così come lo ricordiamo al risveglio, solo l’espressione manifesta di pensieri e vie ideative nascoste, che hanno presieduto alla sua formazione. Nel passaggio dal contenuto latente al contenuto manifesto opera il lavoro onirico, che si serve di alcuni mezzi per rendere incomprensibili le vere e proprie radici ideative e affettive del sogno. Innanzitutto la condensazione, per cui i singoli elementi latenti vengono proiettati in un numero inferiore di elementi; la conseguenza è che i singoli brani manifesti del sogno rimandano a una grande varietà di pensieri sottostanti. Vi è poi il meccanismo di spostamento, che fa sì che nel sogno compaiano dettagli irrilevanti per il sistema di valori dell’individuo. Il sogno traspone i pensieri in immagini e simboli, rendendone ardua la ritraduzione nel linguaggio verbale, per sua natura lineare. Quando riproduciamo un sogno lo sottoponiamo a un’elaborazione secondaria, volta a dare coerenza e plausibilità alle stravaganze delle nostre avventure oniriche. Tutte queste trasformazioni sono imposte dalla censura tra il conscio e l’inconscio. La necessità di difendersi dai contenuti spiacevoli e dai desideri illeciti è ciò che giustifica l’instaurarsi di un potere censurante nella nostra psiche. Il sogno manifesto è come il sintomo nevrotico, frutto del compromesso tra forze inconscie che tendono a esprimersi e forze della rimozione o censura. Il sogno manifesto è legato al contenuto latente, si arriva al significato ultimo del sogno ritrovando i pensieri latenti che lo hanno suscitato.
Il sogno è l’appagamento mascherato di un desiderio rimosso. E poiché è nell’infanzia che siamo stati costretti a rimuovere più intensamente i nostri desideri, soprattutto quelli di natura erotica, il desiderio risale a quei remoti periodi infantili. Freud attribuisce al sogno una funzione: quella di proteggere il sonno. Infatti il desiderio, risvegliatosi nell’inconscio, minaccia di imporsi alla coscienza del dormiente e costringerlo a ridestarsi. Così, legandosi a materiale recente derivante dalla veglia, nonché alle sensazioni somatiche insorte durante il sonno, esso dà forma a un sogno. Il sogno si rivela dunque il guardiano del sonno, non il suo perturbatore: mostrando il desiderio come appagato, consente la prosecuzione del sonno.
Il sogno ci permette di conoscere gli avvenimenti passati, ci offre “un brano di vita infantile”, che altrimenti rimarrebbe inconoscibile e perduta per sempre.
Ne “Il caso di Dora” si evidenzia: il valore dell’analisi dei sogni nel procedimento analitico; il valore della “disposizione corporea” nei confronti del disturbo psichico; lo stretto rapporto fra sintomo nevrotico e perversioni sessuali rimosse.
Bibliografia:
Ugo Avalle Michele Maranzana Paola sacchi “Corso di scienze sociali”
Freud “Casi clinici”.
ITALO SVEVO
La vita
Aron Hector Schimtz (Italo Svevo è uno pseudonimo) nacque a Trieste, il 19/12/1861 da un’agiata famiglia borghese, ebraica. Gli studi del ragazzo furono indirizzati dal padre verso la carriera commerciale, imparò perfettamente il tedesco. Nel 1880 il padre fallì: Svevo conobbe l’esperienza della declassazione, passando dall’agio borghese ad una condizione di ristrettezza. Fu costretto a cercar lavoro e si impiegò presso una banca, presso cui rimase per diciannove anni. Il lavoro impiegatizio era per lui arido ed opprimente, per cui cercava un’evasione nella letteratura, frequentando assiduamente la biblioteca civica, leggendo i classici italiani e i grandi narratori francesi dell’800.
Nel 1895 morì la madre. Il matrimonio segnò una svolta fondamentale nella vita di Svevo. Sul piano psicologico l’“inetto”, roso da infinite insicurezze, trovava finalmente un terreno solido su cui poggiare e poteva arrivare a coincidere con quella figura virile che era apparsa irraggiungibile, il pater familias, sereno e pacato dominatore del suo mondo domestico. Fu un salto di classe, i suoi orizzonti si allargarono a dimensioni internazionali, perché per lavoro dovette compiere numerosi viaggi in Francia e in Inghilterra. Lasciò l’attività letteraria, guardandola con sospetto, come qualche cosa di insidioso e malsano, che poteva compromettere la sua nuova vita attiva e produttiva, alla decisione contribuì probabilmente l’ insuccesso del secondo romanzo.
Negli anni tra l’ingresso nell’attività industriale e lo scoppio della guerra si verificarono due eventi capitali per la formazione intellettuale di Svevo.Il primo fu l’incontro con James Joyce: questi, esule dall’Irlanda, insegnava a Trieste, e Svevo prese da lui lezioni d’inglese. Tra il giovane scrittore Joyce e il maturo Svevo nacque una stretta amicizia. Joyce sottopose a Svevo le sue poesie e i suoi racconti, Svevo fece leggere a Joyce i due romanzi pubblicati, ottenendo giudizi lusinghieri e l’incoraggiamento a proseguire l’attività letteraria. L’altro evento fondamentale fu l’incontro con la psicanalisi, che avvenne fra il 1908 e il 1910: il cognato aveva sostenuto una terapia a Vienna con Freud, e questo fu il tramite attraverso cui Svevo venne a conoscenza delle teorie psicanalitiche, che erano in consonanza con le sue esigenze profonde. Alla fine della guerra, pose mano al suo terzo romanzo, La coscienza di Zeno, che venne pubblicato nel 1923. L’opera non suscitò alcuna risonanza. Svevo mandò il romanzo a Parigi all’amico Joyce che, riconosciutone il valore, si adoperò per imporlo all’attenzione degli intellettuali francesi. Lo scrittore triestino acquistò larga fama in Francia e su scala europea. Solo in Italia rimase intorno a lui un’atmosfera di diffidenza e di sostanziale disinteresse. Solo Eugenio Montale gli dedicò un ampio saggio, riconoscendo la sua grandezza. L’11 settembre 1929 ebbe un incidente e morì due giorni dopo, in conseguenza delle ferite riportate.
Lo scrittore adottando lo pseudonimo di Italo Svevo, vuole segnalare come in lui vengano a confluire la cultura italiana (Italo) e quella tedesca (Svevo). Non vanno trascurate le radici ebraiche della sua famiglia, radici che hanno un peso nella fisionomia culturale complessiva dello scrittore. L’ambiente in cui si forma ed opera permette a Svevo di assumere una prospettiva ben più ampia di quella di tanti scrittori italiani del suo tempo, e in più gli consente uno stretto rapporto con la cultura mitteleuropea. Vienna, infatti, è una delle capitali intellettualmente più ricche di fermenti e di aperture innovatrici, non solo in campo letterario, ma nel pensiero filosofico e scientifico, nella musica, nelle arti figurative.
Urlo di
Munch
Arte
figurativa
Impressionista.
La formazione di Svevo non fu quella rigorosamente umanistica propria del letterato italiano: i suoi studi furono commerciali, e la sua cultura letteraria e filosofica fu in buona misura quella di un autodidatta, conquistata attraverso ampie letture personali.
La cultura di Svevo
Il filosofo che ebbe un peso determinante nella sua formazione fu Schopenhauer, il pensatore che affermava un pessimismo radicale, indicando come unica via di salvezza dal dolore la contemplazione e la rinuncia. Più tardi Svevo lesse i testi originali di Nietzsche, facendosi un’idea personale del pensiero del filosofo. Altro grande punto di riferimento fu Charles Darwin, autore della teoria evoluzionistica. Svevo tendeva ad utilizzare i maestri in senso critico, come strumenti conoscitivi che fornissero risposte alle sue personali esigenze. Rifacendosi al pensiero di Shopenhauer i personaggi di Svevo tendono a smascherarsi dei propri autoinganni (togliersi il velo di Maya), mentre per influenza del determinismo positivistico darwiniano, Svevo fu indotto a presentare il comportamento dei suoi eroi come prodotto di leggi naturali immodificabili, non dipendenti dalla volontà. Verso Freud lo spingeva l’interesse per le tortuosità e le ambivalenze della psiche profonda. Ma Svevo non apprezzò la psicanalisi come terapia, bensì come puro strumento conoscitivo, capace di indagare più a fondo la realtà psichica e come strumento narrativo. Anche la psicanalisi, fu usata da Svevo non tanto per la sua parte “costruttiva”, quanto per la sua parte “critica”. Sul piano letterario gli autori che ebbero più peso nella formazione di Svevo furono i grandi romanzieri realisti francesi dell’Ottocento, importanza fondamentale per Svevo ha la conoscenza dei romanzieri naturalisti, Zolà in particolare.
La coscienza di Zeno
Viene pubblicato nel 1923, ben venticinque anni dopo Senilità. Nella sua struttura appare molto diverso dai due romanzi precedenti. Quei venticinque anni erano stati cruciali nell’evoluzione interiore dello scrittore, ma anche densi di trasformazioni radicali nell’assetto materiale della società europea, nelle concezioni del mondo, nelle correnti letterarie e artistiche.
Il cataclisma della prima guerra mondiale aveva chiuso un’epoca, sul piano culturale si era assistito all’imporsi di correnti filosofiche che superavano il positivismo, all’affacciarsi della psicanalisi e alle teorie della relatività. Il romanzo di Svevo non poteva non risentire di questa diversa atmosfera, mutando prospettive e soluzioni narrative, arricchendosi di temi e di risonanze. Per gran parte La Coscienza di Zeno è costituita da un memoriale o confessione autobiografica, che il protagonista scrive su invito del dottor S. a scopo terapeutico. Il romanzo è narrato dal protagonista stesso, dietro finzione narrativa dell’autobiografia e del diario, pertanto ha un impianto autodiegetico.
Nuovo ed originale è il trattamento del tempo, quello che Svevo chiama “tempo misto”. Il racconto non presenta gli eventi nella loro successione cronologica lineare, inseriti in un tempo oggettivo, ma in un tempo tutto soggettivo, che mescola piani e distanze, in cui il passato riaffiora continuamente e si intreccia con infiniti fili al presente. Di qui la struttura del racconto risulta costituita non da una linearità, progressiva, ma si spezza in tanti momenti distinti. La ricostruzione del passato si raggruppa intorno ad alcuni temi fondamentali che costituiscono dei veri e propri capitoli del romanzo. Gli argomenti dei vari capitoli sono: il vizio del fumo e i vari sforzi per liberarsene, la morte del padre, la storia del proprio matrimonio, il rapporto con la moglie e la giovane amante, la storia dell’associazione commerciale con il cognato Guido Speier; alla fine si colloca il capitolo Psico-analisi, in cui Zeno sfoga il proprio livore contro lo psicanalista e racconta la propria presunta guarigione.
La vicenda: Il protagonista-narratore è una figura di “inetto”. Abulico e incostante, negli anni giovanili conduce una vita oziosa e scioperata, passando da una facoltà universitaria all’altra, senza mai giungere ad una laurea e senza dedicarsi ad alcuna attività seria. Il padre, facoltoso commerciante, non ha la minima stima per il figlio, e nel testamento lo consegna in tutela al fidato amministratore Olivi, sancendo così la sua irrimediabile immaturità e la sua irresponsabilità infantile. I rapporti del figlio col padre sono improntati alla più classica ambivalenza: pur amandolo sinceramente, Zeno, con il suo ozio e la sua inconcludenza negli studi, non fa che procurargli amarezze e delusioni, rivelando così inconsci impulsi ostili ed aggressivi. Il vizio del fumo, a cui Zeno collega intollerabili sensi di colpa, ha nel suo fondo inconscio proprio l’ostilità contro il padre (U.S.),il desiderio di sottrargli le sue prerogative virili e di farle proprie. Quando già è sul letto di morte, il padre lascia cadere un poderoso schiaffo sul viso del figlio che lo assiste, e Zeno resta nel dubbio angoscioso se il gesto sia il prodotto dell’incoscienza o sia un gesto voluto, quindi cerca disperatamente di costruirsi alibi e giustificazioni per pacificare la propria coscienza, per dimostrare a se stesso di essere privo di ogni colpa nei confronti del padre e della sua morte. Privato della figura paterna, l’“inetto” Zeno, che ha sempre bisogno di appoggiarsi ad un “padre”, va subito in cerca di una figura sostitutiva, e la trova in Giovanni Malfenti, uomo d’affari che incarna l’immagine tipica del borghese, abile e sicuro nell’attività pratica, dalle poche ma incrollabili certezze, dominatore incontrastato del suo mondo, costituito dal lavoro e dalla famiglia. Malfenti è dunque il modello d’uomo con cui l’“inetto” Zeno non riesce più a coincidere, e rappresenta nel sistema dei personaggi l’antagonista. Zeno decide di sposare una delle sue figlie, si direbbe solo per “adottarlo” come padre. Si innamora della più bella, Ada, ma con il suo comportamento goffo e stravagante sembra far di tutto per alienarsi i sentimenti della ragazza. Respinto da lei, rivolge la domanda di matrimonio alla sorella minore Alberta, e, al rifiuto anche di questa, fa la sua proposta alla sorella più brutta, Augusta. In realtà Augusta era la moglie che Zeno aveva scelto inconsciamente: si rivela infatti la donna di cui egli ha bisogno, sollecita e amorevole come una madre, capace di creargli intorno un clima di affettuosa dolcezza e di sicurezza. Augusta, come il padre, ha un limitato ma solido sistema di certezze, che ne fanno un perfetto campione di “sanità” borghese.
E’ l’antitesi di Zeno, che è invece irrimediabilmente “diverso”, incapace nel suo intimo di integrarsi veramente in quel sistema di vita e di concezioni, anche se vi aspira con tutte le sue forze, in un disperato desiderio di normalità e “salute”. Zeno è “malato”: la sua malattia è la nevrosi, che simula tutti i sintomi della malattia organica. Egli proietta nella malattia la propria inettitudine, ed attribuisce la colpa dei propri malanni al fumo: la sua esistenza è pertanto costellata da tentativi di liberarsi dal vizio (U.S.), nella convinzione che solo così potrà avviarsi verso la “salute”, non solo fisica, ma morale e sociale, cioè diventare un borghese degno di questo nome, ma questi tentativi finiscono sistematicamente nel nulla. Alla moglie Zeno affianca la giovane amante Carla, una ragazza povera che egli affetta di proteggere in modo “paterno”. Il rapporto però è reso difficile ed infinitamente ambiguo dai sensi di colpa di Zeno verso la moglie, sinchè Carla non lo abbandona per un uomo più giovane. Come è inevitabile, Zeno aspira ad entrare nella normalità borghese non solo divenendo buon padre di famiglia, ma anche accorto uomo d’affari. Fonda perciò un’associazione commerciale con il cognato Guido, che ha sposato Ada. Questi è l’antitesi di Zeno, ed incarna il ruolo del rivale. Anche verso di lui Zeno nutre fortissime ambivalenze. L’amicizia e l’affetto fraterno ostentati nei suoi confronti mascherano un odio profondo, che si tradisce clamorosamente ai funerali di Guido, morto suicida per un dissesto finanziario: Zeno sbaglia corteo funebre, uno di quegli “atti mancati” che Freud ha dimostrato essere estremamente rivelatori dei nostri impulsi inconsci. Zeno, ormai anziano, decide di intraprendere la cura psicanalitica, e qui ha inizio la stesura di quel memoriale che costituisce il corpo più cospicuo del romanzo. Zeno però si ribella alla diagnosi dello psicanalista, che individua in lui il classico complesso edipico. Lo scoppio della guerra favorisce alcune sue speculazioni commerciali, che trasformano paradossalmente l’“inetto” Zeno in un abile uomo d’affari. Zeno si proclama così perfettamente guarito. Noi sappiamo bene che non è vero e che queste resistenze sono un sintomo tipico della malattia. Ma Zeno ha buon gioco, nelle pagine finali, a sottolineare il confine incerto tra malattia e salute nelle condizioni attuali, in cui la vita è “inquinata alle radici”. Il romanzo termina così in chiave apocalittica, con una riflessione di Zeno sull’uomo costruttore di ordigni, che finiranno per portare ad una catastrofe cosmica.
Bibliografia:
Guido Baldi Silvia Giusto Mario Rametti Giuseppe Zaccaria “Dal testo alla storia dalla storia al testo”.
Le persecuzioni naziste.
L’occupazione tedesca
Nel 1942 le tre potenze nazifasciste raggiunsero la loro massima espansione. L’Europa era diventata un impero tedesco.
Ovunque i tedeschi trovarono l’appoggio di una parte della popolazione legata a movimenti di destra precedentemente esistenti. Nei territori controllati, essi organizzarono un’ossessiva propaganda delle idee naziste, volta a convincere la gente della pericolosità dei comunisti, dei democratici, dei malati mentali, degli omosessuali e degli ebrei. Ogni libertà politica era abolita. La situazione peggiorò quando il compito di garantire l’ordine nei territori occupati fu affidato alle SS. Il fanatismo delle SS si rese responsabile di torture, di fucilazioni in massa della popolazione civile e di deportazioni nei campi di concentramento, Lager, dove i tedeschi rinchiudevano i prigionieri politici e gli oppositori di ogni genere. I campi di concentramento svolgevano anche una funzione economica: i prigionieri erano costretti a un durissimo lavoro forzato per sopperire alla mancanza di manodopera tedesca.
La Persecuzione antiebraica
La dottrina hitleriana esaltava il nazionalismo e la superiorità genetica, fisica e intellettuale della razza ariana, di cui i tedeschi sarebbero stati i più puri rappresentanti. Secondo Hitler una delle minacce più gravi alla purezza della razza ariana e all’integrità e alla potenza della Germania era l’“infezione ebraica”. Questa concezione si tradusse fin dagli inizi in una serie di azioni persecutorie ai danni dei cittadini ebrei. I motivi razzisti celavano motivazioni di natura economica. Le banche erano in gran parte controllate dagli ebrei; molti proprietari terrieri avevano creditori ebrei: l’eliminazione degli ebrei avrebbe risolto questi problemi economici. Hitler additò i cittadini di cultura e religione ebraica come i responsabili delle ripetute crisi economiche che continuavano ad affliggere la Germania. Il “nemico interno” responsabile del “complotto giudaico” si rivelò un collante ideologico formidabile e un eccezionale capro espiatorio.
Con le leggi di Norimberga gli ebrei furono esclusi dal diritto di voto e dagli impieghi pubblici, dall’esercizio di professioni liberali, dal commercio, dalle banche, dall’editoria. Si proibivano i matrimoni “misti” e si annullavano quelli già celebrati. Le leggi di Norimberga sancivano la validità politica dell’antisemitismo, che diventava per il cittadino tedesco un atto obbligato.
Dal 1938 la persecuzione contro gli ebrei divenne ancora più brutale e sistematica. Si diffuse la pratica della “arianizzazione” dei beni ebraici, sostanzialmente il sequestro dei patrimoni appartenenti a ebrei, a favore del Partito nazista. Nella notte tra il 9 e il 10 novembre(la notte dei cristalli) di quell’anno in Germania si svolse la più dura e violenta manifestazione di antisemitismo che l’Europa avesse mai visto.
I campi di concentramento e di sterminio
I campi di concentramento fecero la loro comparsa quasi contemporaneamente alla presa del potere da parte dei nazisti. I primi Lager furono installati già nel 1933 per rinchiudervi i dissidenti politici. A partire dal 1936 la macchina concentrazionaria fu organizzata in modo più sistematico e “scientifico”.
Il primo campo di Dachau fu ampliato, e ad esso si aggiunsero Buchenwald, Auschwitz e numerosi altri. Durante l’intero arco del regime nazista furono deportati nei lager da 8 a 10 milioni di individui.Di questi oltre il 90% furono uccisi, soprattutto dopo che Hitler, nel ‘42, varò la “soluzione finale” ordinando lo sterminio sistematico di tutti gli ebrei.
Per questo furono allestiti veri e propri campi di sterminio, come quello famigerato di Treblinka, sorta di agghiaccianti fabbriche della morte che servivano all’uccisione in serie mediante esalazione di gas letali.
Il lager, modello estremo dello stato totalitario
Il lager era parte integrante della concezione nazista dello stato. Esso divenne lo strumento di azione politica che, considerando l’avversario un nemico assoluto, ne imponeva l’annientamento. Ma il lager non serviva soltanto alla distruzione dell’avversario o alla sua riduzione a schiavo, anche a riprodurre il terrore come strumento di potere, rassicurando nel contempo chi, dando la sua piena adesione al regime e appartenendo alla “razza ariana”, riteneva di non correre rischi, anzi si sentiva protetto. Il lager era il simbolo di quella “schiavitù degli inferiori” considerata come la condizione dell’emancipazione e della felicità degli “eletti”. Sul cancello di Auschwitz campeggiava, con lugubre ironia, la scritta arbreit macht frei (il lavoro rende liberi).
Il lager rappresentava il perfetto modello della società totalitaria spersonalizzata e organizzata sulla base di un sistema di disciplina integrale in cui ogni norma è costituita dalla pura volontà dei detentori del potere.
Nel campo, ogni categoria in cui sono suddivisi i prigionieri è individuata da un contrassegno visibile e collocata in un preciso gradino della struttura gerarchica; a ogni livello corrisponde un luogo fisico in cui i prigionieri sono alloggiati e da cui non possono uscire. Alla base della piramide stavano gli ebrei, poi gli zingari e gli omosessuali, quindi gli asociali; seguivano i politici accanto ai sacerdoti e ai Testimoni di Geova. In cima alla piramide stavano i criminali comuni, i Kapo. Alle SS spettavano le esecuzioni esemplari.
A tutto ciò occorre aggiungere la denutrizione, le malattie dovute alla totale mancanza d’igiene e di riscaldamento nelle baracche, il lavoro protratto fino ai limiti fisiologici, l’umiliazione continua e brutale dei prigionieri, la degenerazione umana e morale dei carcerieri. Era uno scenario di abiezione morale, di violenza fisica quotidiana, di morte generalizzata, di degradazione, di annullamento della personalità e del senso della dignità. L’ordine concentrazionario nazista si reggeva sull’orrore elevato a categoria politica, a elemento costitutivo dell’ideologia totalitaria del regime
Bibliografia:
Alberto De Bernardi Scipione Guarrancino “La conoscenza storica”.
G. Ghiozzi A. Ruata Piazza S. Nicola “I tempi e le idee”.
ANTIPSICHIATRIA E LEGGE 180
A studiare per primi la malattia mentale sono stati, nell’Ottocento, gli anatomisti ed i fisiologi, ma è solo con Kraepelin che si è cominciato ad inquadrare e a classificare la malattia mentale poggiante su alterazioni organiche. La diffusione delle idee psicoanalitiche prima ed il contributo di nuove discipline poi come la sociologia e la psicologia sociale, contribuirono notevolmente ad un costante, ma progressivo affrancamento della nuova scienza psichiatrica dalla neurologia e dall’ambito organistico. In questo quadro culturale è nato il movimento dell’Antipsichiatria, nei primi anni Sessanta. In Italia il suo principale esponente fu Franco Basaglia. Alla base di questo modello della malattia mentale vi è un concetto di “violenza”, che il malato subirebbe nei suoi contatti sociali, sin dalla più tenera età.
La famiglia viene individuata come luogo primario di violenza, non solo nei casi di abuso sessuale o maltrattamenti, ma anche attraverso il tipo di educazione impartita dai genitori. Il malato di mente viene visto come una vittima dell’oppressione sociale.
In questo senso la follia sarebbe dovuta ad una forma di trasgressione dalla norma sociale, anche laddove si esprima attraverso l’originalità e la genialità. Con l’antipsichiatria la scienza ufficiale viene accusata di concentrare la propria attenzione sulla malattia individuale e sulle sue basi organiche, trascurando l’origine sociale dei disturbi psichici. La psichiatria tradizionale viene vista come una funzione necessaria al “sistema” per sopravvivere attraverso il trattamento di tutti i devianti, che vengono esclusi definitivamente dalla vita sociale, grazie all’istituzionalizzazione. Le cure somministrate nei manicomi del tempo vengono considerate forme di violenza sociale su persone fragili, che avevano già dovuto subire violenze da parte della famiglia e della società per il loro mancato adeguamento al conformismo sociale. L’antipsichiatria vuole tutelare i diritti di queste persone e lasciarle libere di esprimersi e di reinserirsi nel tessuto sociale. I manicomi dovevano essere aboliti.
Così fu in Italia grazie al massimo esponente di questo movimento, lo psichiatra Franco Basaglia, il quale vedeva nello psicoterapeuta, nell’assistente sociale, nello psicologo, nel sociologo, i nuovi amministratori della violenza del potere: essi consentivano di fatto il perpetuarsi della violenza ed impedivano la guarigione dei malati, operando in strutture ormai in decadenza. Lo psichiatra doveva rifiutare il suo ruolo, sottolineare l’origine sociale dei disturbi psichici impegnarsi politicamente nell’eliminazione delle contraddizioni sociali, per la trasformazione della società. Così sarebbe nata una società più libera e giusta e la malattia mentale sarebbe diminuita.
La legge n. 180 del 1978, nota come legge Basaglia, abolì gli ospedali psichiatrici ed istituì i servizi di igiene mentale, per la cura ambulatoriale dei malati di mente.
La legge 180 è stata recepita con la legge 833 dello stesso anno, si compone di diversi articoli tra i quali ricordiamo:
Art. 33 norme per gli accertamenti ed i trattamenti sanitari volontari ed obbligatori;
Art. 34 accertamenti e trattamenti sanitari volontari ed obbligatori per malattia mentale;
Art. 35 procedimento relativo agli accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori in condizioni di degenza ospedaliera per malattia mentale e tutela giurisdizionale;
Art. 64 norme transitorie per l’assistenza psichiatrica.
Con la legge Basaglia molte persone malate di mente hanno potuto vivere una vita abbastanza normale, accanto ai familiari, avendo la possibilità di muoversi liberamente, di lavorare, di essere seguiti a distanza da una equipe terapeutica che si occupava di migliorare la loro esistenza. La famiglia infatti ha un ruolo insostituibile nella vita di una persona ed i servizi sociali sono utili solo in quanto riescono ad appoggiare ed aiutare la famiglia dall’esterno. Purtroppo però non tutti i familiari hanno il tempo, la forza, le risorse, per farsi carico dei tanti problemi che sorgono quando qualche familiare si trova in condizioni di disabilità mentale e non sempre i servizi sociali si sono mostrati in grado di sopperire a queste carenze. In questo senso la legge Basaglia andrebbe rivista, in modo da ampliare l’aiuto delle istituzioni alle famiglie che hanno un malato mentale in casa e che non possono essere abbandonate a se stesse.
Bibliografia:
Articolo di Giuliana Proietti.

James Joyce
The First World War ended in 1918, but it had a deep and lasting effect either on society and on literature.
In the latter it produced something complex, a result of experimentation. The search of new forms of expression, which affected all branches of literature, was first begun in fiction. In the 20th century novelists concentrated more on man himself rather than on society, characters became all important because of their inner selves and not because of what was going on around them.
The novelists tried to experiment new forms, one of the most innovative was the “stream of consciousness” technique. It focused on the mental process that develop in the human mind, it is based on the idea that consciousness does not appear chopped in bits, but, flows like a river or stream , that is why it is called “stream of thought or of consciousness”.
This narrative technique was pioneered in England by Dorothy Richardson, but it was James Joyce and Virginia Woolf who exploited it more fully.
James Joyce’s conception of the artist.
James Joyce was one of the masters of modernism; he thought that the artist ought to be “invisibile” in his works, in the sense that he must not express his own viewpoint. He should express the thoughts and experiences of other men instead. He advocated the total objectivity of the artist and his independence from all moral, religious or political pressure.
He rejected Irish life in toto, yet at the same time he set all his novels in Dublin, the capital of the country he had grown up in and rejected; he spent adult life abroad, choosing voluntary exile in Trieste*, Zurich and Paris, becoming the most cosmopolitan of Irish writers. Like other writers he was interested in Freudian psychoanalysis, as a result of his experimentation he created a new kind of dream language, a mixture of existing words, inventive word combinations and non-existent words to provide a multilayered prose. Syntax is disordered, puntuaction non-existent.
The work which best mirrors this language is Ulysses.
*Where he met Italo Svevo,they became friends and he even taught Enghish to him.
Dubliners
The first period of his work is marked by realistic technique, the syntax is logical and the language, far from being cerebral and distorted, reflects everyday speech.
One of the most significant works of this period is “Dubliners”, a collection of fifteen stories which was written in 1905*, but published in 1914.
The longest and best story which concludes the book is called “The Dead”, in which the protagonist Gabriel Conroy, who is very satisfied with his life, experiences of sudden “insight” through which realises how tepid his soul is in comparison to his dead rival, who had died young for his wife’s love.
Gabriel becomes aware that Michael Furey (his dead rival) is more alive than himself through the great passion which killed him. Confronted with the young boy’s devastating passion, Gabriel realizes his own deficiency, his own prudence and indecision in contrast with Michael’s courage. In the end Gabriel expands his feelings of helplessness into a vision of his countrymen as the living dead. The story ends with the image of the snow falling quietly upon the city, which symbolizes the hopeless solitude and incommunicability of man or the isolation and alienation of the artist in Dublin and in Ireland.
These moments of sudden “insights” are called “epiphanies”. The original meaning of the term epiphany is, of corse, the showing of the Christ child to the Magi, but Joyce adopts this expression to refer to a moment of sudden revelation in which simple details, gestures, objects and feelings, produce a new sudden awareness.
The protagonist, Gabriel Conroy, is a sort of James Joyce.
Bibliografia:
R. Marinoni Mingazzini, L. Salmoiraghi “The new mirror of the times” 1998 Principato.
G. Thomson, S. maglioni “New literary links” CIDEB Genova
*Except for “The dead”, the longest and the most ambitious, which was written in 1907.
La svolta psicoanalitica
Psicoanalisi
Una nuova disciplina
Eros-Thanatos
L’inconscio in filosofia.
Introduzione
Freud: la vita
Il sogno e l’inconscio
I tre regni della personalità: io, es super-io
Freud: la nevrosi è la normalità
Le nevrosi
L’interpretazione dei sogni come cura delle nevrosi
Italo Svevo:
La vita
La cultura di Svevo
La coscienza di Zeno
Prima guerra mondiale
Seconda guerra mondiale
Le persecuzioni naziste
L’occupazione tedesca
La persecuzione antiebraica
I campi di concentramento e di sterminio
Il lager, modello estremo dello stato totalitario
Antipsichiatria e legge 180
James Joyce
Conception of the artist
Dubliners
ISTITUTO SUPERIORE
PROGETTO LABOR ANNO SCOLASTICO 2006/2007
SABRINA ASSOSTI

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