Il viaggio come metafora di vita

Materie:Appunti
Categoria:Italiano

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Testo

Viaggiare come atto di umiltà.



In tutta la storia letteraria il tema del viaggio ha sempre avuto un grande valore. La narrativa ha sfruttato frequentemente questa struttura e la scrittura stessa è stata spesso rappresentata e definita attraverso la metafora del viaggio.
Nelle società preindustriali viaggiare era una eccezionale occasione di conoscenza. Un viaggio era una avventura memorabile, da cui il viaggiatore usciva fortemente segnato e modificato. Nella letteratura dell'Ottocento, ma possiamo dire già a partire dal Settecento, il viaggio rappresentò una possibilità di evasione, di ricerca di luoghi lontani dalla città, dalla banalità del quotidiano. Da un certo momento in poi, che storicamente possiamo identificare con la costruzione delle ferrovie, viaggiare divenne più facile, meno pericoloso, e accessibile a tutti. Ai giorni nostri, con il perfezionamento dei mezzi di trasporto, il viaggio è diventato una esperienza abituale e diffusa. La comunicazione simultanea attraverso i nuovi media permette di raggiungere realtà molto distanti senza nessuno sforzo, né fisico, né, aggiungerei, intellettivo.
Questa quotidianità del viaggio, questa sua normalità e facilità, hanno determinato una perdita di quel suo peculiare carattere di esperienza essenziale ed esistenziale, una perdita che la letteratura ha denunciato sottolineando la crescente delusione lasciata da questa esperienza.
Partire per conquistare uno spazio e per farsi conquistare, per cercare qualcosa di assoluto diviene un'esperienza solo frustrante, perché ci si accorge che si ritrovano ovunque i segni di quella civiltà da cui si vuole evadere. Il viaggiatore attraversa luoghi che si somigliano tutti tra loro. Il turismo è un modo per trasportare inevitabilmente ovunque il proprio mondo, le proprie abitudini di consumatore. Per questo motivo la recente letteratura parla del viaggio come di una esperienza perduta.
Molti degli autori più celebri della nostra recente letteratura hanno registrato, appunto denunciato, la "fine del viaggio", narrando le trasformazioni che ha subito la vita dell'uomo moderno. Non a caso il termine "villaggio globale" di cui si fa uso di frequente fa pensare che "dappertutto" si è sempre nello stesso posto.
Occupandoci in questo lavoro in particolare di Guido Piovene e delle pubblicazioni dei resoconti dei suoi numerosi viaggi, dobbiamo registrare un diverso approccio al viaggio e all'idea che di esso propone. Per molti anni la vita di Guido Piovene è stata nomade, ma "con calma", senza voli d'uccello, i suoi spostamenti avevano i tempi lunghi della vera conoscenza. Nella sua valigia c'era sempre il Vocabolario della lingua italiana "Palazzi", il dizionario dei sinonimi di Tommaseo, Il giornale del viaggio in Italia di Montaigne, lo Zibaldone di Leopardi, la Divina Commedia, e I Promessi Sposi.
Guido Piovene è ricordato in letteratura per essere soprattutto un romanziere, e le pubblicazioni dei suoi numerosi viaggi sono legate alla sua esperienza di giornalista e di corrispondente dall'estero. Le due attività pur senza essere legate hanno, parallelamente ed in diverso modo, lasciato esprimere l'ostinato impegno di Piovene verso l'analisi del mondo circostante, con la diffidenza che lo distingueva dinanzi a valori e realtà definite. In lui il narratore, il saggista, il giornalista, sono sfumature di una stessa realtà di scrittore ed ogni itinerario che percorre è orientato alla ricerca di conoscenza, a quel bisogno di scoprire la verità nascosta nella ambiguità del reale. La critica gli ha sempre rimproverato la contraddizione che si manifestava nell'oscillazione tra culto della ambiguità ( che appartiene soprattutto al primo Piovene, e da lui stesso in seguito superato) e la ricerca della verità.
Questa critica così avida di muri divisori (siamo nell'immediato secondo dopoguerra) male accettava la sua assenza di chiarezza, di prese di posizione nette e definite. Così avevano quasi un sapore sarcastico dichiarazioni del tipo:

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