La condizione femminile

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Testo

I DIRITTI DELLE DONNE
Il primo articolo è tratto dal rapporto annuale 1995 di Amnesty International, l’organizzazione che si occupa della difesa dei diritti umani nel mondo e parla di tutte le violenze e abusi subiti dalle donne nell’ultimo secolo.
Questo rapporto dimostra quanto le donne, come gli uomini continuino ad essere vittime della indiscriminata repressione degli stati.
ESEMPI:
•Angun San Suu Kyi, premio nobel per la pace e agli arresti domiciliari;
•Agate Uwilingiyimana primo ministro del Ruanda vittima della carneficina;
•Angelica Mendoza de Ascarza oggetto di continue persecuzioni e accusata di terrorismo per aver lavorato in favore degli scomparsi in Perù;
•Ragazza incinta del Ruanda, flagellata da un medico Hutu durante il travaglio perché era una Tutsi;
•Donna musulmana percossa e violentata da soldati serbi mascherati davanti alla figlia ed ai genitori, nella Bosnia-Erzegovina;
•Tre sorelle, di 16, 18 e 20 anni, sono state violentate dai soldati ad un posto di blocco in Chiapas, uno stato del Messico meridionale;
•Sorella quattordicenne di un membro dell’opposizione è stata violentata da appartenenti a una milizia civile armata ad Haiti;
Questa donne sono sfruttate da persone poco affidabili la maggior parte delle volte, ma spesso vengono violentate dalle persone che al contrario dovrebbero difenderle.
Più dell’80 % dei venti milioni di rifugiati nel mondo sono donne che soffrono non solo per la povertà, l’umiliazione e lo sconvolgimento derivanti dall’abbandono del proprio paese, ma anche per la crudeltà ed abusi a cui sono obbligate sottostare.
Questo problema non è solo per le ragazze adulte o abbastanza cresciute, infatti l’UNICEF conta più di un milione di bambine appena nate uccise perché femmine.
Tutte le bambine, ragazze, donne che muoiono per queste violenze spesso muoiono per poche e ricorrenti cause:
per disturbi politici;
pper ricavarne soldi;
pper abusi;
pper “volontà” obbligata.
Donne come questa hanno contribuito ai movimenti delle donne e alle organizzazioni per i diritti umani che, negli ultimi vent’anni, hanno fatto sentire la propria voce in tutto il mondo. Alcune oggi lavorano per i familiari scomparsi; altre sono attive nelle proprie comunità e lottano per diritti fondamentali come quello alla libertà dal bisogno; altre ancora operano contro la tortura, contro la violenza domestica, per un uguale trattamento sul posto di lavoro o per i diritti dei contadini.

DONNE IN GABBIA
Questo articolo racconta ed illustra la vita di moltissime ragazze (60000) che vivono ghettizzate nel quartiere a luci rosse della megalopoli indiana Mumbai.
Queste donne, in gran parte giovanissime, vendono il loro corpo per poche rupie e trascorrono tutta loro vita dietro sbarre di gabbie sulle strade di Kamathipura dove vengono ogni giorno violentate ed usate come veri e propri oggetti di divertimento; ognuna di esse fa questo per sopravvivere dalla grandissima povertà e dal degrado urbano che incombono sulla città.
Qui la prostituzione non viene vissuta come in qualsiasi altro paese, infatti le donne non dipendono da loro stesse, ma da ben 22000 protettori a cui devono cedere gran parte del loro ricavo.
Mumbay è la città più moderna del subcontinente, ma anche quella in cui è più evidente il degrado urbano e sociale e dove il 45% della popolazione vive in vaste baraccopoli o addirittura sui marciapiedi.
Tutte le donne che vivono in questo quartiere sono continuamente sfruttate da una folla di uomini di tutte le età; è un ciclo continuo di generazioni che si avvicenda in questa città per continuare il “lavoro iniziato molto tempo fa.
I clienti più ricorrenti e assidui sono gli sceicchi ed i signori che si divertono ad usare queste donne in cerca di sopravvivenza.
L’articolo dedica anche due pagine per la prostituzione nelle città più sviluppate come Catania in Italia e Monaco dove, pur non essendoci la povertà, c’è la violenza a luci rosse.
A Monaco, in locali speciali le ragazze più belle e più sicure sanitariamente vengono vendute dai magnaccia per petrodollari per ore di piacevole sesso, ma in questa città il 60% delle prostitute è sieropositiva e l’80% è affetta da malattie veneree.
Non solo in Italia ed a Monaco sono presenti prostitute, infatti anche in Germania i bordelli, anche se illegali e camuffati sono ampliamente tollerati ed in tutto il mondo sono presenti ragazze sottoposte a queste violenze.
SCHIAVITU’ NEL 2000
Quest’articolo parla della schiavitù che ancora oggi è praticata in molti paesi dell’est e di molte sue forme di camuffaggio. Tutt’oggi numerose persone e soprattutto bambini molto giovani vengono comprati, venduti, sfruttati e uccisi in cambio di lavoro.
Il rapimento di persone per renderle schiave è ormai diventato un crimine in tantissimi paesi, ma esistono diversi metodi meno rischiosi per avere manodopera gratis. Uno di questi è il metodo dell’indebitamento molto semplice ed efficace: il ricco padrone compra persone a basso prezzo dai paesi più poveri e gli promette un lavoro sicuro e ben pagato; il lavoro è però un’attività pesante che non viene salariata abbastanza,il lavoratore, ormai schiavo del padrone deve per forza lavorare e deve comprarsi gli attrezzi di lavoro senza però avere soldi a sufficienza; questo porta lo schiavo a chiedere prestiti e di conseguenza ad indebitarsi. Il lavoratore allora per scontare il debito è obbligato a lavorare fino al saldo dei prestiti che però sono troppo alti da poter essere riparati: alcuni tra i 5 milioni di schiavi stanno andando avanti scontare il loro debito da otto generazioni continuando a lavorare sempre per la stessa famiglia di padroni.
Oggi però queste tecniche sono poco in uso, si preferiscono i contratti di lavoro che impongono condizioni molto svantaggiose per i lavoratori e i matrimoni fasulli.Spesso queste persone non vengono pagate per il lavoro che fanno e vengono rinchiuse nelle case in cui prestano servizio; come maggiore sicurezza i padroni sottraggono agli schiavi il passaporto.
Il commercio di donne, come fatto notare prima, è diffusissimo anche senza la copertura del matrimonio.Le donne con la promessa di un lavoro vengono rinchiuse nei ghetti di Calcutta e Bombay.
L’offerta però è ancora minore della domanda e questo comporta numerosi rapimenti in molti paesi.
BAMBINI, DIRITTI VIOLATI
Quest’articolo parla della situazione dei bambini in India, Nepal, Afghanistan, Pakistan Bangladesh, Indonesia, Sri Lanka, Brasile, Thailandia, Marocco, Perù, Calcutta, Nuova Delhi ed Egitto dove vengono usati come macchine da lavoro: comprati e pagati a bassissimi prezzi, sfruttati e tenuti sotto controllo come animali e poco salvaguardati.
Racconta diverse esperienze: Kasur che lavora pelli di capra in Pakistan, Sa Nguan alle prese con bicchieri di carta a Bangkok e Ashfaq che lavora argilla in una fabbrica in Pakistan.
Questo sfruttamento di giovani bambini è dato dal fatto per cui i paesi poveri per restare nel mercato internazionale devono affrontare la concorrenza e l’unica arma a loro disposizione è il baso prezzo delle merci: lo sfruttamento dei bambini diventa il metodo più rapido per accumulare profitti.
Questo secondo articolo sullo sfruttamento minorile parla della vicenda della nave con a bordo 250 bambini destinati al lavoro nero.
Lo sfruttamento di minori in Africa Occidentale è un grosso problema che coinvolge 200 bambini, 100 solo nello stato del Benin. Altri stati interessati sono: Togo, Ghana, stati poveri dove i bambini vengono usati come veri lavoratori e Nigeria, Gabon, Costa d’Avorio, paesi più ricchi dove invece svolgono lavori domestici o lavori nelle piantagioni. Esistono anche precauzioni in molti di questi paesi, ma la malavita ed il degrado rendono tutti i lavori difficili per la mancanza di fondi. L’Unicef e l’ Ilo hanno calcolato che nel mondo lavorano 250 milioni di bambini di cui 44 solo in India.
Altri paesi sono: Bangladesh, Thailandia, Filippine, Nigeria, Camerun e Brasile.
Quest’ultimo articolo parla dei bambini che vengono sfruttati per scopi militari e paramilitari (con caratteristiche affini a quelle di organismi militari).
Anche per questi scopi sono coinvolti numerosi paesi tra i quali: Nordafrica, Algeria, Egitto, Iran, Iraq, Sudan, Turchia, Yemen, Giordania e Marocco.
L’anno scorso l’Onu ha approvato un protocollo facoltativo sull’implicazione dei bambini nei conflitti armati da allegare alla Convenzione dell’Onu sui diritti del bambino del 1989 che alza da 15 a 18 anni l’età per il reclutamento di minori.
È stato firmato da oltre 70 Paesi in Medio Oriente e Nordafrica, ma solo tre membri dell’Onu , Canada, Bangladesh e Sri Lanka, lo hanno ratificato.

DISCRIMINAZIONE FEMMINILE: UNA PIAGA MONDIALE
La discriminazione a cui la donna è sottoposta nel mondo ha raggiunto il culmine. Ciò la rende inferiore a livello economico, culturale e persino sociale. In una società così evoluta come la nostra, tale situazione è inaccettabile.
Del miliardo e 300 milioni di persone che vivono in condizioni di povertà, il 70% è costituito da donne. La situazione è ancora più grave nei paesi del Terzo Mondo. Si è verificato il cosiddetto fenomeno della “femminilizzazione della povertà”. È un circolo vizioso che getta un peso enorme su milioni di donne. Infatti è aumentata del 50% la popolazione femminile che vive sotto la soglia di povertà. Ciò è dovuto in gran parte all’ingiusto trattamento riservato alle donne sul mercato del lavoro. L’occupazione delle donne è infatti molto spesso nascosta e poco retribuita. In tutti i paesi il salario medio femminile è inferiore a quello maschile, anche a parità di lavoro. Statistiche riguardanti l’Unione Europea confermano che il tasso di disoccupazione riguarda in gran parte le donne. Infatti sono meno ricercate e quindi emarginate da molti settori lavorativi. Nelle nazioni sottosviluppate il bilancio s’aggrava ulteriormente: le forse di lavoro femminili sono notevolmente concentrate nell’agricoltura. Nelle zone rurali la donna lavora in genere più dell’uomo, anche se ciò non compare nelle rilevazioni statistiche. In alcuni paesi africani le donne costituiscono il 60% della forza lavoro agricola e producono fino all’80% delle derrate alimentari. Nonostante ciò, la retribuzione è notevolmente più bassa di quella dell’uomo. In alcuni casi la mano d’opera femminile non è neppure retribuita.
Una ricerca svolta dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo afferma che i due terzi degli analfabeti nel mondo sono donne. Il problema si concentra soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Le ragazze hanno un maggior carico di lavoro e minori possibilità di frequentare la scuola. Di conseguenza il livello di alfabetizzazione e acculturazione femminile è quasi sempre più basso rispetto a quello degli uomini. C’è comunque un dato che fa sperare per il futuro. Nei paesi del Terzo Mondo, in termini di istruzione degli adulti e scolarizzazione, le donne hanno percorso tra il 1970 e il 1990 più della metà del cammino che le separa dagli uomini. Eppure ciò non è sufficiente. Ci vorrà tempo per vedere un’effettiva uguaglianza culturale nel mondo tra uomo e donna.
Forse più grave è il trattamento sociale a cui è sottoposta la donna. La storia dell’umanità è stata un susseguirsi di torti e usurpazioni da parte degli uomini a danno del mondo femminile. Le è sempre stata negata la libertà. Ancor più traumatica dell’opprimente povertà è la violenza che rovina la vita di tante donne. In Africa è ormai una tradizione che le ragazze subiscano la mutilazione dei genitali. Lo stupro è un’altra forma di abuso e gli studi indicano che in alcuni paesi una donna su sei viene violentata nel corso della vita. Per tanti uomini egoisti che pensano solo al loro piacere è divenuto normale “usare” le donne anziché amarle. Anche in contesti meno disagiati si può notare il trattamento riservato alla donna. Sin da bambina la sua posizione all’interno della famiglia è in genere subordinata a quella dei fratelli. Il sesso femminile è considerato debole. Le famiglie cercano di “liberarsi” in fretta delle ragazze. Nei paesi economicamente arretrati, le donne sono date in matrimonio persino all’età di sedici anni.
Molte persone si sono rese conto di questi fatti. Gli stati hanno promulgato leggi a favore dei diritti delle donne. Ma le leggi non possono cambiare il cuore, dove sono radicate l’ingiustizia e il pregiudizio. La maggior parte delle normative sono inadeguate a fermare le violenze. Per contribuire alla soluzione del problema bisogna fare in modo che gli attuali valori sociali e culturali cambino in meglio. Solo così, nelle future generazioni, si rimarginerà la piaga della discriminazione femminile
La condizione della donna nella società
La condizione della donna nella società passò attraverso notevoli modificazioni nel corso dei secoli, a seconda dell’ evoluzione politica e giuridica dei popoli, della diversità dei fattori geografici e storici e della sua appartenenza ai vari gruppi sociali. Ma su un piano generale e in quasi tutti i tempi e paesi la donna fu sottoposta nelle società del passato a un trattamento meno favorevole di quello dell’ uomo. L’ inferiorità della donna sul piano giuridico, economico e civile e la sua esclusione da una serie di diritti e di attività erano motivate con ragioni in tutto o in larga parte prive di fondamento, quali l’ inferiorità fisica, l’ emotività e quindi la scarsa capacità logica, il ruolo predestinato di madre e di allevatrice della prole all’ interno della famiglia e di esecutrice della faccende domestiche.
La millenaria soggezione della donna aveva i suoi aspetti più evidenti nella subordinazione al capofamiglia (padre o marito) e nella gravissime limitazioni dei suoi diritti legali. La donna infatti non soltanto era discriminata rispetto ai maschi nelle successioni ereditarie, ma non poteva amministrare il suo eventuale patrimonio personale o la propria dote, né contrarre obblighi giuridici (come ad esempio comperare e vendere case o terreni o concludere affari), senza il consenso del padre o del marito, né poteva ricoprire cariche pubbliche. Dopo la Rivoluzione francese, il Codice Napoleone del 1804 ampliò la sfera dei diritti delle donne: venne così concesso loro di mantenere il proprio cognome anche in caso di matrimonio e di esercitare autonomamente attività commerciali, e fu abolita la disparità di trattamento nella divisione per eredità del patrimonio familiare. Ma neppure l’ organica raccolta di disposizioni del Codice Napoleone, che pure in parte accoglieva le idee di uguaglianza davanti alla legge proprie dell’ età rivoluzionaria, eliminò la situazione di inferiorità dell’ universo femminile. La donna, anche se sposata, continuò a restare per molti aspetti sotto la tutela maschile, perché non poteva intraprendere azioni giudiziarie senza l’ autorizzazione del marito, e neppure poteva donare, vendere, acquistare beni senza l’ assenso scritto del coniuge.
La coscienza dell’ esistenza di una “questione femminile” – cioè di uno stato di subalternità della donna rispetto all’ uomo non voluto dalla natura ma formatosi nel corso della storia – cominciò a nascere durante la Rivoluzione francese. Infatti negli anni rivoluzionari, sull’ onda delle idee di libertà, eguaglianza e progresso, si organizzarono per la prima volta gruppi di donne che chiedevano l’ emancipazione e l’ elevazione giuridica e politica del loro sesso. Ma fu soltanto dalla metà dell’ Ottocento che l’ azione per porre fine all’ oppressione femminile e per la piena eguaglianza delle donne rispetto agli uomini acquistò un carattere organizzato e di massa (il “femminismo”). Si formarono così, a partire dai paesi anglosassoni, movimenti guidati e formati da donne che reclamavano la piena parificazione giuridica, il diritto di voto, la possibilità di frequentare tutti i tipi di scuola e le università e di accedere alle professioni sino ad allora riservate ai soli maschi (notaio, avvocato, medico, ecc.).
La spinta iniziale all’ azione femminista venne da donne appartenenti alla borghesia, fornite di un buon livello culturale e legate ai movimenti politici democratici e radicali. Ma dalla fine dell’ Ottocento, grazie all’ impegno dei socialisti, le idee di emancipazione cominciarono a penetrare anche nel mondo delle lavoratrici (operaie, impiegate, maestre), tra le quali si cominciò a discutere il problema della parità di retribuzione a parità di lavoro.
La lotta per il diritto di voto.
Le “suffragette”
Sul terreno della conquista della parità elettorale una prima battaglia fu vinta negli Stati Uniti dalle donne del territorio del Wyoming, che nel 1869 ottennero il diritto di voto nelle elezioni politiche, esteso successivamente a molte altre parti del paese, dove nel 1920 tutte le donne godevano del suffragio politico. Più dura e contrastata fu la lotta sostenuta dalle donne che si battevano per la conquista del voto in Inghilterra (le “suffragette”). Le donne inglesi avevano ottenuto nel 1869 il suffragio amministrativo (potevano cioè votare per eleggere gli amministratori locali); ma i governi britannici si opposero a lungo alla concessione del voto politico. Le suffragette dal 1905 intensificarono pertanto la loro azione, che a volte assunse aspetti violenti; così nel Novembre 1911, per reazione a una brutale carica della polizia, le militanti femministe fracassarono vetrine di negozi, distrussero dei vagoni merci e intasarono di marmellata le cassette postali.
Alla vigilia della “grande guerra” la difficile strada per la conquista della parità politica era stata aperta; e proprio il conflitto, durante il quale le donne diedero un importante contributo alle attività produttive dei paesi belligeranti, accelerò il cammino. Alla fine della guerra (1918), le donne inglesi conseguirono il diritto di voto politico, seguite – nel 1919 – da quelle della Germania e di vari altri Stati europei;mentre in Francia e in Italia le donne conquisteranno il suffragio soltanto nel 1945, dopo la conclusione della seconda guerra mondiale.
Ma i successi conseguiti dalle lotte femminili non devono far dimenticare che ancora nel 1914 le donne continuavano a essere pagate meno degli uomini per lo stesso lavoro, che l’ uguaglianza dei diritti civili non era stata ancora raggiunta, e che la grande maggioranza dell’ universo femminile era costretta a una condizione di dipendenza dall’ uomo all’ interno della famiglia.
Il femminismo
Movimento volto a conseguire eguaglianza politica, sociale ed economica tra uomini e donne. Fra i diritti per cui le donne si mobilitano vi sono: il diritto all’istruzione, il diritto al lavoro, il suffragio universale (cioè il diritto di voto) e la libertà sessuale. Nella società contemporanea, di fatto, l’eguaglianza sociale, economica e politica fra uomini e donne è ancora lontana, anche se dal punto di vista formale già dal 1970 la maggior parte delle donne nel mondo ha ottenuto il riconoscimento di pari diritti rispetto agli uomini. Come denunciato in uno studio promosso dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) nel 1996, sono però ancora numerosi e diffusi gli effetti della discriminazione sessuale.
Le origini del femminismo
Il movimento per i diritti delle donne, detto anche movimento femminista, si affermò per la prima volta in Europa nel tardo XVIII secolo, e dopo importanti conquiste ottenute a cavallo del XIX e del XX secolo passò momenti di difficoltà fino a rifiorire durante gli anni Sessanta del Novecento. Si sostenne, allora, che la subordinazione delle singole donne era espressione diretta di una generale oppressione politica contro il genere femminile. Le tre direzioni di riflessione e di impegno del femminismo sono state: la ricerca della solidarietà e la presa di coscienza dell’identità di genere, al fine di consolidare le posizioni politiche e sociali delle donne; le campagne di sensibilizzazione a favore dell’aborto, dell’eguaglianza di trattamento economico, dell’eguale responsabilità nella cura dei figli e contro la violenza domestica; il fiorire delle discipline accademiche che si raccolsero intorno all’area dei cosiddetti women’s studies (“studi delle donne o di genere”) e che fornirono argomenti teorici e dati empirici a sostegno delle tesi del movimento.
Lo status femminile nelle società tradizionali
Alcuni studiosi sostengono che la scoperta in Europa e nel vicino Oriente di statue di pietra risalenti al Paleolitico raffiguranti divinità femminili potrebbe significare che le società primitive fossero basate sul matriarcato; tutte le società fiorite all’epoca delle prime fonti scritte furono però patriarcali. La credenza secondo cui le donne erano naturalmente più deboli e inferiori agli uomini fu rafforzata dalle religioni. Nella Bibbia, ad esempio, Dio pone Eva sotto l’autorità di Adamo e san Paolo esorta le donne a obbedire ai propri mariti; anche nella tradizione induista si considera virtuosa la donna che venera il proprio marito (dall’indiano, pathivratha).
In quasi tutte le società tradizionali le donne furono tuttavia discriminate; la loro istruzione fu limitata all’apprendimento di abilità domestiche, non ebbero accesso a nessuna posizione di potere. Il matrimonio fu quasi sempre considerato un mezzo necessario per garantire alla donna sostegno e protezione. Una donna sposata solitamente assumeva lo status del marito e andava a vivere con la famiglia di lui: in caso di maltrattamenti o di mancato mantenimento aveva scarse possibilità di rivalersi. Nel diritto romano, che influenzò il successivo diritto occidentale, marito e moglie erano ad esempio considerati un’unità, nel senso che la moglie era un vero e proprio “possesso del marito”; in quanto tale, la donna non godeva del controllo giuridico né della sua persona, né dei suoi figli, né delle sue terre, né dei suoi soldi. Anche durante il Medioevo, il diritto feudale prevedeva che la terra si tramandasse per discendenza maschile. Le eccezioni dell’antica Babilonia e dell’antico Egitto, dove le donne godettero dei diritti di proprietà, e a Sparta amministravano di fatto l’economia, furono dunque fenomeni isolati; solo durante il Medioevo in alcuni paesi europei le donne poterono entrare a far parte delle corporazioni delle arti e dei mestieri. In alcuni rarissimi casi le donne godettero dell’autorità religiosa, come nel caso delle sciamane siberiane e delle sacerdotesse romane.
Primi mutamenti a favore delle donne
L’Illuminismo e la rivoluzione industriale contribuirono a creare in Europa un clima favorevole allo sviluppo del femminismo, sull’onda dell’influenza dei movimenti riformatori a cavallo fra XVIII e XIX secolo. In Francia, durante la Rivoluzione francese, le associazioni repubblicane delle donne invocarono l’estensione universale dei diritti di libertà, eguaglianza e fraternità senza preclusioni di sesso. In quegli anni Mary Wollstonecraft scrisse in Gran Bretagna la prima opera femminista, intitolata Rivendicazione dei diritti delle donne (1792), in cui denunciò la forte discriminazione della società di quel tempo, richiedendo l’eguaglianza fra i generi. Durante la rivoluzione industriale il passaggio dal lavoro artigianale (che le donne avevano svolto tradizionalmente in casa e senza essere retribuite) alla produzione di massa fece sì che le donne delle classi meno abbienti entrassero in fabbrica come salariate. Ciò rappresentò, pur tra grandi contraddizioni sociali, il primo passo verso l’indipendenza, sebbene i rischi sul lavoro fossero elevati e i salari, inferiori a quelli degli uomini, fossero amministrati dai mariti. Nello stesso periodo, le donne di classe media e alta furono invece relegate al ruolo di “angeli del focolare”. Mentre nei paesi di religione cattolica la Chiesa si oppose duramente al femminismo, in quanto riteneva che distruggesse la famiglia patriarcale, nei paesi di religione protestante (come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti d’America) il movimento femminista ebbe maggiore successo. Alla sua guida si posero donne istruite e riformiste, che provenivano dalla classe media. Nel 1848 più di cento persone tennero a New York la prima assemblea sui diritti delle donne. Sostenute dall’abolizionista Lucrezia Mott, che si opponeva alla schiavitù, e dalla femminista Elizabeth Cady Stanton, le donne chiesero eguali diritti e, in particolare, il diritto di voto e la fine della disparità di trattamento. Le femministe inglesi invece si riunirono per la prima volta nel 1855 per ottenere pari diritti di proprietà. In Gran Bretagna, inoltre, la pubblicazione dell’opera Schiavitù delle donne, del filosofo John Stuart Mill, influenzata probabilmente dalle conversazioni con la moglie Harriet Tayllor Mill, richiamò l’attenzione sulla questione femminile e portò alla concessione nel 1870, sempre in Gran Bretagna, dei diritti di proprietà alle donne sposate. In seguito furono introdotte le leggi sul divorzio, sul mantenimento e sul sostegno nella cura dei figli e la legislazione del lavoro introdusse i minimi salariali (cioè il salario minimo che doveva essere pagato per un certo lavoro) e i limiti relativi all’orario di lavoro.
Un ruolo determinante nell’affermazione dell’eguaglianza di genere ebbe il movimento delle suffragette, che fiorì dal 1860 al 1930, riunendo donne di diversa classe sociale e di diversa istruzione attorno al comune obiettivo del diritto di voto. Nonostante le mobilitazioni di massa, talvolta violente, la richiesta del diritto di voto, divenuto ormai irrinunciabile per le femministe britanniche e statunitensi, incontrò durissime resistenze. Fu la Nuova Zelanda il primo paese a estendere il diritto di voto alle donne nel 1893. In altre nazioni del mondo ciò avvenne soltanto dopo la prima guerra mondiale, anche come concreto segno di riconoscimento del contributo dato dalle donne durante la guerra sia come lavoratrici sia come volontarie. In Italia le donne iniziarono a votare soltanto nel 1945. In Svizzera invece le donne furono escluse dal voto federale sino al 1971. Ancora oggi le donne non votano in Kuwait, in Giordania e in Arabia Saudita.
I progressi del XX secolo
In Russia nel 1917 e in Cina nel 1949, dopo le rispettive rivoluzioni (Rivoluzione russa; Rivoluzione cinese), i nuovi governi comunisti sostennero l’eguaglianza fra i generi e attuarono una politica decisa a favore del controllo delle nascite, anche al fine di sradicare il modello di famiglia patriarcale. Ciò nonostante, nell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche alle donne lavoratrici furono corrisposti sempre e soltanto salari minimi e la loro rappresentanza politica fu molto ridotta; inoltre, le tecniche di controllo delle nascite adottate furono rozze, e prive del necessario supporto di pubbliche strutture, come ad esempio gli asili. In Cina continuarono a verificarsi alcune forme di discriminazione sessuale sul lavoro.
I primi a introdurre ampi programmi per i diritti delle donne, che includessero tra l’altro strutture di assistenza per i bambini, furono negli anni Trenta i governi socialisti della Svezia. Durante gli anni Sessanta i mutamenti demografici, economici e sociali portarono in tutto l’Occidente a una nuova ondata di femminismo. La diminuzione del tasso di mortalità infantile, l’aumento generalizzato della speranza di vita e la diffusione della pillola contraccettiva alleviarono il carico di responsabilità e lavoro delle donne relativamente alla cura dei figli. Questi mutamenti, combinati da una parte con l’inflazione (che comportò per molte famiglie la necessità del doppio stipendio) e dall’altra con l’aumentato numero di casi di divorzio, indussero un numero crescente di donne a entrare nel mondo del lavoro. Il movimento femminista in quegli anni mise in discussione le istituzioni sociali e i valori dominanti, fondando le proprie critiche su studi che dimostravano l’origine culturale e non biologica delle supposte differenze tra uomo e donna e sottolineando come il linguaggio stesso, in quanto “specchio linguistico” del tradizionale predominio maschile, contribuisse a perpetuare la discriminazione.
In Italia, alla fine degli anni Sessanta, si formarono numerosi gruppi per la difesa dei diritti delle donne sulle orme delle femministe storiche dei primi del Novecento: Anna Kuliscioff, Anna Maria Mozzoni, Carlotta Clerici, Linda Malnati ed Emilia Mariani. Essi si ispiravano a opere come Il secondo sesso (1949) di Simone de Beauvoir, La mistica femminile (1963) di Betty Friedan e La politica sessuale (1969) di Kate Millet. Negli anni Novanta le femministe hanno rivolto l’attenzione ai fenomeni favorevoli alla discriminazione e contrari al femminismo diffusi in molti paesi. Libri come Il mito della bellezza (1990) di Naomi Wolf e Riflusso (1992) di Susan Faludi hanno analizzato i processi attraverso cui le conquiste dei movimenti femministi vengono progressivamente erose nelle società occidentali, le uniche, o quasi, in cui le donne abbiano peraltro potuto essere parte attiva nel rivendicare i propri diritti.
Donne oggi
Indubbiamente la vita delle donne oggigiorno è molto diversa da quella immutabile delle loro antenate e non solo nell'Occidente sviluppato: le donne stanno facendo passi avanti anche in Sudamerica ed in Estremo Oriente e cercano di mantenere le loro conquiste nei difficili periodi che vivono la Russia e l'Europa orientale. Invece in zone come il Medio Oriente, l'Africa ed il subcontinente indiano la loro condizione è ancora difficile e la parità un sogno, in certi paesi come l'Afghanistan e l'Iran i loro diritti erano maggiormente tutelati nei decenni passati.
In ogni caso bisogna far attenzione: l'emancipazione, in paesi come il Marocco e la Malesia, è innegabile, ma riguarda solo le donne colte ed urbanizzate, mentre nelle campagne la secolare inferiorità continua, così come l'incredibile carico di lavoro che il genere femminile sopporta da sempre. Quindi il pianeta delle donne non è uniforme ed esamineremo tutti i suoi angoli, o quasi... inizieremo dalle donne, più o meno, emancipate dell'Occidente passando, in ordine di vincoli ancora da spezzare, dai paesi mediterranei (tra cui l'Italia) al Nordamerica fino alla Germania ed alle nazioni avanzatissime della Scandinavia.
Poi ci occuperemo della situazione del gentil sesso nell'Ex-Urss (dove nelle repubbliche islamiche la loro posizione è peggiorata) e nel mondo comunista (Cina, Cuba, Vietnam, NordCorea...). Un intero articolo sarà dedicato all'India ed ai suoi vicini ed un altro al mondo islamico, solitamente collegato all'idea di sottomissione dell'altra metà del cielo. L'obiettivo è ricordare che ancor oggi la maggioranza delle donne vede continuamente calpestati i propri diritti o che, ancor peggio, non ha mai sospettato
La donna nelle civiltà islamica
Come probabilmente sappiamo la civiltà islamica reputa la donna come una cittadina di classe inferiore, sottomessa alla volontà dell'uomo. In alcuni paesi di cultura islamica non c'è un profondo livello di discriminazione, come ad esempio in Tunisia, dove le donne sono libere di vestire come vogliono e hanno ottenuto molti diritti che le rendono quasi pari all'uomo, e in Turchia, dove un sostanzioso numero di donne sale al potere.
In altri paesi il livello di discriminazione è ben più forte: in Algeria le donne vengono violentate e uccise dai fondamentalisti islamici, in Afganistan le donne sono "sepolte" in un burqah, un abito che non lascia nemmeno intravedere gli occhi.
Possiamo quindi affermare che la condizione della donna è strettamente legata sia alla storia del paese in cui vive sia al paese stesso.
I vari paesi islamici una volta ottenuta l'indipendenza, attuarono varie strategie di modernizzazione per legittimare il potere della classe dirigente. I diritti della donna sono quindi legati a questa legittimazione.
Negli anni trenta, ad esempio, si fece promulgare una legge che proibiva l'uso del velo in Turchia e in Iraq.
Durante la lotta contro il dominio francese le donna algerine avevano ottenuto la libertà di vestire con abiti occidentali per non farsi notare, in seguito dovettero tornare a quelle che sono le loro tradizioni.
La modernizzazione e i movimenti femministi non sono però riusciti a far crollare un regime totalmente patriarcale e maschilista, comune a tutti i paesi islamici.
Le donne sono quindi considerate tuttora cittadini di seconda categoria. La Tunisia è il paese di cultura islamica che ha la legislazione più avanzata dal punto di vista dei diritti delle donne. Secondo le leggi tunisine è prevista infatti la parità fra uomo e donna nel matrimonio, l'uomo è tenuto a pagare gli alimenti alla moglie in caso di divorzio, la madre deve dare il suo consenso in caso di matrimonio di una figlia minorenne. Il codice dei lavoratori prevede la stessa paga per le stesse mansioni, la violenza sulle donne viene punita severamente. Ci sono molte donne che rivestono un ruolo importante in politica e altre che svolgono lavori eseguiti principalmente da uomini (autista d'autobus, giornalista sportivo). Le leggi non riescono però a garantire la parità, perché la mentalità popolare è ancora molto legata alle antiche tradizioni, spesso infatti una donna deve mantenere anche i fratelli e i parenti del marito.
In Algeria la condizione della donna è molto precaria. In questo paese è stata infatti applicata la svaria, la legge islamica che relega la donna in una condizione di totale inferiorità. Contro questa legge si schierarono numerose associazioni femminili tuttavia alcune di loro pagarono con la vita la loro presa di posizione.
Molto più gravi sono invece le condizioni delle donne che vivono nei paesi governati dalla teocrazia, come l'Iran, tuttavia le condizioni femminili sono
molto più dure in Afghanistan, dove le donne non possono né uscire di casa né andare a scuola. La discriminazione attuata dall'Iran è piuttosto forte, anche se questo è l'unico paese in cui viene celebrata la "settimana della donna", che in sostanza consiste in una settimana di trasmissioni radiofoniche e televisive. In questa settimana si celebra anche la festa della mamma, che coincide con il compleanno di Fatima, la figlia più giovane di Maometto. Si dice che dai figli di Fatima prese il via la corrente islamica sciita, la religione ufficiale dell'Iran. Fatima ha sempre rappresentato un modello femminile da seguire; all'inizio essa conteneva i valori di disprezzo e di protesta contro l'ingiustizia, dopo la rivoluzione del '79 Fatima rappresentò gli ideali di castità e di sottomissione.
Essa rimase comunque un modello da seguire, infatti, quando una bambina disse che il suo ideale di vita era quello rappresentato dalla protagonista di un serial televisivo giapponese, scatenò le ire dell'ayatollah.
La dichiarazione di questa bambina costò comunque alcuni anni di carcere ai redattori del programma. Alcune leggi che discriminavano la donna sono comunque state abrogate e forse la condizione della donna migliorerà. All'inizio l'Islam non era molto discriminante nei confronti della donna: le mogli di Maometto lo accompagnavano spesso in guerra e lo consigliavano riguardo le strategie da seguire. Era permessa anche la poliandria, quindi una donna poteva contrarre più matrimoni contemporaneamente. La legge del corano rappresenta in alcuni casi un progresso: essa vieta l'infanticidio delle bambine e stabilisce alcuni diritti che permettono alla donna di ottenere l'eredità. Le norme di Maometto diedero molta più libertà alle donne rispetto alle loro contemporanee europee, esse infatti potevano mantenere il loro cognome dopo il matrimonio. Oggi le donne musulmane di alcuni paesi mantengono la loro cittadinanza anche dopo aver contratto matrimonio con un uomo straniero. Questi diritti potevano rappresentare un privilegio nel settimo secolo d.C., ma non alle soglie del duemila.
La religione islamica ammette la poligamia, infatti un uomo può sposarsi con quattro donne contemporaneamente, a patto che egli sia in grado di trattarle tutte allo stesso modo. Proprio per questo motivo la poligamia non viene più accettata in alcuni paesi, perché il "trattare allo stesso modo" non significa dare ad ognuna la stessa quantità di ricchezze, ma significa anche dedicare ad ognuna lo stesso affetto e le stesse attenzioni, equità che non potrebbe essere garantita da nessun essere umano. L'islam è però sempre basato su un antico sistema patriarcale, le donne devono quindi riuscire a farlo crollare. Per questo obiettivo le donne hanno molte più "armi" di quanto credono. Per prima cosa occorre dare una nuova educazione alle donne: sono infatti le madri che allevano le figlie nella subordinazione e che abituano i figli maschi ad essere sempre serviti. Spesso le stesse madri costringono le loro figlie a subire pratiche molto violente come, ad esempio, la mutilazione genitale femminile la quale viene praticata sia dai musulmani, sia dai cristiani, sia dagli animisti, anche se questa pratica non viene prescritta né dalla Bibbia né dal Corano.
Nel paese dei talebani, le donne sono considerate e trattate come feccia, usate per perpetuare la specie, soddisfare i bisogni sessuali degli uomini e occuparsi delle pulizie domestiche; in base ad alcuni “illuminanti” versetti del corano – come : “le vostre donne sono come un seme da coltivare e quindi potete farne quello che volete” (2:223) – o a interpretazioni delle scritture che altri islamici non fondamentalisti non ritengono verosimili, gli uomini hanno potere assoluto sulle donne e queste sono private di ogni diritto: dietro ai loro burqa, i soffocanti veli integrali che le ricoprono da capo a piedi, non possono neanche vedere, respirare, parlare, ridere liberamente e se malauguratamente i loro passi giungono all’udito di un uomo, rischiano di essere fustigate pubblicamente per il ludibrio delle folle.

Private di un volto, di una voce, di libertà di movimento, della stessa dignità di essere umano, non paghi i talebani vorrebbero privarle anche del pensiero e della volontà. Spesso ci riescono: le donne che fino al 1994, anno in cui i talebani hanno preso il potere, esercitavano la professione di medico, ingegnere, infermiera o qualunque altro mestiere, sono state nascoste dietro il burqa e segregate in casa sotto lo stretto ed asfissiante controllo degli uomini, con i vetri oscurati per evitare che qualcuno, da fuori, possa scorgerle, picchiate brutalmente per ogni minima violazione della particolare legge cranica riconosciuta dai talebani. Costrette a queste insostenibili condizioni di vita, molte donne si lasciano morire, altre si suicidano, anche dandosi fuoco – quando ad appiccarlo non è lo stesso marito – oppure muoiono per mancanza di cure mediche, visto che non possono più studiare e lavorare…altre sono afflitte da comprensibili problemi psichici.
Schiacciate tra fondamentalisti talebani e jehadi, le donne afgane non riescono a scorgere una via d’uscita: i fondamentalisti jehadi hanno commesso i peggiori crimini contro le donne, e sempre più aree vanno sotto il loro controllo.
Le restrizioni e i maltrattamenti dei talebani verso le donne includono:
1) Completo divieto di lavorare fuori di casa, il che vale anche per insegnanti, ingegneri e per la maggior parte delle professioniste. Solo alcune donne medico e infermiere hanno il permesso di lavorare in alcuni ospedali a Kabul.
2) Completo divieto per le donne di attività fuori della casa se non accompagnate da un mahram ( padre, fratello o marito).
3) Divieto di trattare con negozianti maschi ( negozianti femmine non esistono).
4) Divieto di essere curate da dottori maschi ( Ciò vuol dire che nella maggior parte dei casi non vengono curate affatto, poiché le donne non possono studiare, né lavorare e le donne medico, rarità ereditaria dal periodo che precede la dominazione talebana, lavorano solo negli ospedali dei centri urbani. Ricordiamo che recentemente l’ospedale italiano di EMERGENCY a Kabul è stato chiuso dai talebani proprio perché non tolleravano che le donne e gli uomini lavorassero e mangiassero insieme).
5) Divieto di studiare in scuole, università o altre istituzioni educative ( I talebani hanno convertito le scuole per ragazze in seminari religiosi).
6) Obbligo di usare il burqa, con la vista permessa da dei forellini minuscoli all’altezza del viso. Se a causa della difficoltà visiva, le donne inciampano e lasciano intravedere mani o caviglie, vengono fustigate.
7) Lapidazione pubblica per le donne accusate di avere relazioni sessuali al di fuori del matrimonio.
8) Divieto di uso di cosmetici (a molte donne con le unghie dipinte sono state tagliate le dita).
9) Divieto di palare o di dare la mano a uomini non mahram (praticamente tacciono sempre).
10) Divieto di ridere ad alta voce (Hanno ben pochi motivi per ridere).
11) Divieto di portare i tacchi perché producono rumore.
12) Divieto di praticare sport.
13) Divieto di andare in motocicletta o in bici.
14) Divieto di indossare vestiti colorati vivaci.
15) Pittura obbligatoria di tutte le finestre cosicché le donne non possano essere viste da fuori delle loro case.
Ma anche gli uomini sono privati di alcuni diritti:
1) Vietato ascoltare musica, guardare film, celebrare il capodanno, l’1 Maggio (considerate comuniste).
2) Obbligo per i giovani di tagliarsi i capelli, d’indossare il cappello.
3) Non si possono radere e non devono ornare le barbe.

Esempio



  


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