Anfitrione - Plauto

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Testo

AMPHITRUO T.M.Plauto

L’Anphitruo rappresenta l’unico caso di fabula ad argomento mitologico tra quelle superstiti, in esso sono presenti, cioè, le divinità dell’Olimpo; per questo, come Plauto stesso precisa nel prologo, l’Anfitrione è una tragicommedia, un’opera in cui compaiono personaggi “alti” propri della tragedia (dei), e personaggi “bassi” tipici della commedia (schiavi e soldati).

TRAMA
Tebe. Approfittando dell’assenza di Anfitrione, occupato nella guerra contro i nemici Telèboi, Giove si camuffa con le sembianze dell’uomo per passare una notte con Alcmena, la moglie del condottiero. Mercurio, per aiutare il padre, assume l’aspetto di Sosia, il servo di Anfitrione, anche lui assente perché al seguito del suo padrone. Alcmena è presa in questa trappola, ignara di ciò che le sta accadendo. Quando i due assenti ritornano, Sosia per primo s’incammina verso la casa del padrone per annunciarne l’arrivo, ma sulla soglia trova Mercurio con le sue stesse sembianze che lo confonde su quale sia la sua vera identità affermando di essere lui l’unico vero Sosia, lo prende a pugni e quindi lo scaccia. In seguito arriva anche Anfitrione, il quale, non credendo al racconto di Sosia sulla sua doppia identità, accusa la moglie Alcmena di adulterio e fra i due nasce un diverbio che dura fino al ritorno di Giove; questo prima calma Alcmena e poi in presenza di Blefarone (chiamato a chiarire le cose) viene alle mani col vero Anfitrione (già ingannato anche da Mercurio). Il povero generale è indeciso su cosa sia meglio fare, quando Bromia, un’ancella di Alcmena, gli racconta che la donna ha partorito miracolosamente due gemelli con una sola doglia, uno dei quali tanto forte da uccidere due serpenti; infine appare Giove nel suo vero aspetto, tra un risuonare di fulmini e tuoni, confessa l’adulterio e spiega come si sono svolti i fatti confessando che dei gemelli uno, Ercole, è suo figlio, l’altro, Ificle, di Anfitrione.

SITUAZIONE INIZIALE / ESITO FINALE
È Mercurio nel prologo a presentare la situazione iniziale: Giove, preso d’amore per Alcmena, ha assunto le sembianze del suo marito, Anfitrione, mentre costui si trova a combattere contro i Telèboi; per aiutarlo lo stesso Mercurio si traveste da Sosia. L’esito finale è individuabile nella scena in cui Giove riprende le proprie sembianze e chiarisce l’accaduto con Anfitrione, promettendogli che il figlio generato dal suo seme con le sue gesta gli procurerà la gloria eterna.

FABULA-INTRECCIO
Fabula e intreccio non coincidono, poiché, nonostante la narrazione proceda in successione cronologica, si presentano moltissimi flash-backs ed anticipazioni che sono in misura maggiore rispetto al succedersi cronologico egli eventi. Per esempio, un flash-back si trova quando Alcmena narra ad Anfitrione come lo abbia accolto la sera precedente o quando Mercurio descrive a Sosia il suo comportamento durante la battaglia. Anche l’ancella Bromia fa un flash-back quando, nell’ultimo atto, racconta ad Anfitrione ciò che è appena successo in seguito all’apparizione di Giove tra tuoni e saette. Ci sono anche delle anticipazioni, come nel caso in cui, nell’atto primo, Mercurio racconta sommariamente prima dello sviluppo reale ciò che accadrà tra Alcmena, Giove ed il marito, la nascita dei gemelli e la scoperta dell’adulterio.
LUOGHI
Tutta la storia si svolge nella casa di Anfitrione, a Tebe, in Beozia. Non vi sono particolari cambiamenti di luogo, né essi sono presentati in dettaglio, perché a Plauto non interessava fornire
una rappresentazione realistica di Tebe (è evidente anche quando la presenta come una città fornita di porto, quando si sa che in realtà questa città si trova nell’entroterra greco). Quindi, la scelta di questo luogo non è necessaria per lo svolgimento della storia, perché i fatti si sarebbero potuti svolgere in qualsiasi altro ambiente senza cambiare il senso dell’opera.
Allo stesso tempo il luogo non ha nemmeno valore reale poiché Plauto non dà una rappresentazione fedele della Grecia, mescolando invece allo sfondo greco elementi, divinità ("Neptunum, Virtutem, Victoriam, Martem, Bellonam") e modi di dire ("edepol, hercle") romani. L’ambientazione non presenta simbologie particolari, in quanto Plauto evita significati "allegorici" profondi, egli, attuando una comicità di tipo immediato e semplice, che esclude ogni forma di riflessione. Ne risulta un’ambientazione immaginaria in cui convivono elementi Greci e Romani, in cui ad esempio personaggi dai nomi romani hanno indumenti greci.

TEMPO
La narrazione si svolge ai tempi dell’antica Grecia, ma non ha una esatta collocazione temporale, in quanto tratta di argomenti mitici di cui non esistono riferimenti storici precisi: si parla infatti del regno di Creonte e della guerra di Tebe contro i Telèboi, ma probabilmente questi sono solo elementi mitici. Si capisce però dal contesto che questa fabula è ambientata nell’antichità, perché prende spunto dal mito della nascita di Ercole, di origini antiche. Per questo non è possibile dire per il tempo, come per il luogo, che la scelta sia irrilevante. Viene rispettata così la tradizione preesistente e si concede più libertà ai personaggi, che in un tempo lontano possono fare e dire più cose che se si trovassero a Roma.
Probabilmente anche il tempo non ha particolari valori simbolici, in linea con la scelta di Plauto di una commedia diretta che evita riflessioni.
Tirando le somme, ai fini dello sviluppo narrativo il tempo è poco determinante, infatti non è fornita alcuna indicazione riguardo a esso, possiamo solo capire che l’intera vicenda ha una durata di circa un giorno.

PERSONAGGI.
I personaggi di questa commedia platina sono sette: Giove, Mercurio, Anfitrione, Sosia, Alcmena, Bromia, Blefarone, Naucrate.
Giove: è il padre di tutti gli dèi, per questo si concede alcune libertà, soprattutto in campo sentimentale). Ha la fama di infedele e donnaiolo; infatti, tra le tante, si invaghisce anche di Alcmena, moglie di Anfitrione ed, anche se ella è già sposata, l’inganna prendendo le sembianze del marito e la ingravida (per la seconda volta, perché quando il marito era partito per la guerra, aspettava già un figlio da lui). Per appagare i suoi piaceri sembra insensibile riguardo ai danni che provoca agli uomini; ma in fondo è anche giusto e onesto nell’aiutare Alcmena quando viene accusata alla fine e nel confessare le sue colpe. Per questo suo pentimento finale, può essere considerato un personaggio positivo.
Mercurio: è il dio messaggero, ma anche dei mercanti e del commercio; era ritenuto propiziatore della fortuna e della ricchezza. Si tramuta in Sosia, per aiutare suo padre a stare il più tempo possibile con la sua amata Alcmena. E’ il personaggio che apre la scena con il prologo.
Anfitrione: nato ad Argo da padre argivo, appartiene alla nobiltà tebana ed è il capo dell’esercito della sua città, impegnato nella battaglia contro i Telèboi. E’ il marito di Alcmena, e prima di partire per la guerra, l’ha messa incinta. Inizialmente appare irascibile e collerico, ma lo è perchè ama sinceramente sua moglie e rispetta gli dèi, tanto che, alla fine, non gli dispiace aver dovuto dividere la sua donna con Giove
Alcmena: figlia di Elettrone e moglie di Anfitrione; è una donna passionale, che vuole sentire la presenza del marito vicino a sé. Ella stessa si definisce portatrice di doti quali castità, pudore, timore degli dèi, amore per il marito e generosità. Attribuisce un significato importante alla parola valore (..”è la massima ricompensa, che va oltre tutti gli altri meriti e protegge la libertà, la famiglia, la patria ed i figli..”).
Sosia: figlio di Davo, è il servo di Anfitrione, audace, spavaldo, malvagio, furbo, bugiardo, impertinente con la sua padrona (le risponde in modo offensivo), donnaiolo che si esprime anche piuttosto volgarmente (..”questa notte è fatta apposta per sfiancare una donnina pagata profumatamente..”).
Bromia: l’ancella di Alcmena ed Anfitrione. E’ lei che, nell’ultimo atto, racconta all’uomo quello che è accaduto mentre lui era a terra folgorato dal fulmine di Giove; è una specie di mediatore fra i due coniugi.
Blefarone: generale dell’esercito tebano che combatte a fianco di Anfitrione; interviene nell’intento di aiutare Anfitrione, ma non riesce a distinguerlo da Giove.
Naucrate: cugino di Alcmena, viene chiamato in causa per testimoniare sulla falsa o no parola della donna riguardo al suo adulterio.
Queste descrizioni dei personaggi sono state molte volte dedotte dalle righe del testo, perché l’autore non li caratterizza a pieno, non li rappresenta come singoli individui con le proprie caratteristiche, ma solamente come "tipi umani”.
I personaggi principali sono, senza dubbio, Anfitrione, Giove, Alcmena Mercurio e Sosia. Infatti, la storia in primo piano è quella dell’adulterio di Giove con la donna e del marito geloso che l’accusa di infamia; quindi i protagonisti sono Alcmena e Anfitrione, di conseguenza, l’antagonista, che si intromette nella relazione della donna con il marito, è Giove.
I rispettivi aiutanti sono Sosia e Mercurio (soprattutto quest’ultimo ha grande importanza nel rallentamento della scoperta dell’inganno). Mercurio aiuta il padre Giove assumendo l’aspetto di Sosia per non permettere che sia disturbato; Sosia invece aiuta il vero Anfitrione (anche se i due non vanno molto d’accordo).
Giove rappresenta un dio che ha anche difetti e debolezze, ed esprime la problematica del rapporto divinità-uomo. Alcmena simboleggia l’amore coniugale, mentre Anfitrione rappresenta la prodezza, la figura del pater familias geloso della propina moglie, e il valore che a volte portano a trascurare la famiglia.

STRUTTURA DELL’OPERA
In tutta l’opera sono presenti in misura maggiore i dialoghi tra i personaggi, rispetto ai monologhi. Essi sono molto vivaci e reggono tutta la storia.
Tra i monologhi più interessanti c’è quello di Giove, che spiega il suo ruolo in tutta la storia, che apre l’atto terzo.

LINGUAGGIO
Nella commedia è presente una mescolanza di linguaggi, si trovano infatti sia la lingua letteraria che quella parlata; nel complesso, però, prevalgono i linguaggi informale, colloquiale e quotidiano (il sermo cotidianus). Questo, però, non vuol dire che Plauto miri alla riproduzione della realtà, bensì egli vuole creare uno stile artefatto (appunto un miscuglio) ricco di figure retoriche e di effetti speciali.
I tipi di linguaggio e di lessico usati creano simpatia attorno ai personaggi, sono usati per stabilire un contatto diretto e immediato con il pubblico e a volte per dare una certa comicità (es. "iustam rem et facilem esse oratam a vobis volo, nam iusta ab iustis iustus sum orator datus. nam iniusta ab iustis impetrari non decet, iusta autem ab iniustis petere insipientia est ", "optumo optume optumam operam das, datam pulchre locas ").
Tra le figure foniche spicca l’allitterazione, che serve a dare un ritmo incalzante ai discorsi, tipici del suo stile molto originale ed inventivo.
Per quanto riguarda il lessico si nota una forte presenza di neologismi (es. "lumbifragium", rottura delle reni: da lumbus e frangere).
Ci sono anche delle allusioni, cioè..
- At ego per Mercurium iuro tibi Iovem non credere: nam iniurato scio plus credet mihi quam iurato tibi: "E io giuro per Mercurio che Giove non ti crede; perché so che crederà più a me senza giuramento che a te che giuri."
- Nam quom pugnabant maxume, ego tum fugiebam maxume: "Chè mentre quelli si battevano a tutta forza, io a tutta forza me la battevo."
L’intera commedia è giocata sul doppio senso. Ce ne sono molti, infatti:
- Ego tibi istam hodie, sceleste, comprimam linguam. Haud potes: bene pudiceque adservatur: "Ora canaglia, t’inchiavo la lingua. – Non puoi: è una lingua verginella e ben custodita". Doppio significato del verbo comprimo: "raffrenare" e "avere commercio carnale".
- Verum tu malum magnum habebis […], enim vero praegnati oportet et malum et malum dari: "Ma tu avrai sorbe serie […], ma certo, proprio a una donna incinta occorre dare una sorba". Doppio senso fra malum ("castigo") e malum ("mela").

CONTATTO AUTORE-PUBBLICO
Come in tutte le commedie plautine, nel prologo si sente un particolare contatto tra l’autore (che parla per bocca di Mercurio) ed il pubblico: il dio chiede il silenzio degli spettatori, la loro imparzialità ed onestà ed in cambio offre il bene e il suo affaticamento al fine che i loro guadagni siano tra i migliori. E’ un modo molto originale ed affascinante per “catturare” l’attenzione della gente che, molte volte, era indisciplinata durante le messe in scena.
Alla fine della rappresentazione, poi, Anfitrione, mentre prepara un sacrificio in onore degli dei, chiede agli spettatori di applaudire con calore, richiamando il rispetto a Giove che, dopotutto, è stato buono con lui a lasciargli suo figlio.

EQUIVOCI
L’intera vicenda si basa su un doppio equivoco: Giove e Mercurio assumono infatti le sembianze rispettivamente di Anfitrione e Sosia per ingannare Alcmena e permettere al re degli dei di passare una notte con la donna. Questo scambio di persona sarà causa dei molti litigi e incomprensioni che costituiranno i principali eventi della vicenda, fra cui i particolari dialoghi tra due persone con lo stesso aspetto: Mercurio-Sosia e Giove-Anfitrione ("Qui nequeas nostrorum uter sit Amphitruo decernere", "Tun te audes Sosiam esse dicere, qui ego sum?").
Sotto il tema dell’equivoco si cela un problema che per secoli ha interessato gli uomini: lo sdoppiamento dell’io, avvenuto grazie alla presenza della divinità, che apre le porte alla paura della perdita della propria identità.
Comico è il fatto che un dio (che da sempre ha il pieno potere su tutto) sia costretto ad assumere le sembianze di Anfitrione per poter stare insieme alla sua amata.

DEUS EX MACHINA
Un "deus ex machina" è individuabile nella figura di Giove che interviene al termine della vicenda, il dio, rassicurando Anfitrione, pone fine ai litigi e alle incomprensioni permettendo a tutti di comprendere l’accaduto e dando un lieto fine alla storia. In questo caso Giove oltre ad essere un personaggio che giustifica il proprio operato, rappresenta anche la volontà divina di mantenere pace e giustizia e di evitare che un’innocente, Alcmena, accusata di adulterio, rovini la propria vita a causa di altri.

Questa commedia ci è pervenuta integra in tutti gli atti, tranne il terzo, del quale sono andati perduti circa 300 versi, ed il quarto, che è andato perduto completamente, fatta eccezione per qualche piccolo frammento, grazie al quale è stato possibile ricostruire il pezzo di storia mancante.

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