Il Romanzo

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IL ROMANZO
La parola ‘romanzo, deriva dal termine francese antico romanz o roman, che è una abbreviazione della locuzione latina romanice loqui, cioè "parlare in lingua romanza". Il romanzo nasce quasi come sostituzione al poema epica, anche se ci sono parecchi punti di contatto, come la visione totale e complessiva della realtà che rappresentano. Ma più che all’epica, il romanzo si accosta alla novella, da cui riprende l’attenzione ad una realtà quotidiana o l’atteggiamento critico nei confronti del mondo rappresentato. Questo genere letterario pone le sue radici lontano nel tempo, nell’Antica Grecia come anche nella tradizione latina, ripreso poi con i romanzi cavallereschi medievali. Ma i primi romanzi, come li intendiamo noi oggi, possono essere attribuiti alla prima metà del XVIII secolo. Essi si volgono nella direzione dell’epistolario e delle memorie, dove la forma narrativa che viene adottata in prevalenza, diventa quella che tende di più all'autenticità e alla verosimiglianza.
Il romanzo epistolario rappresenta sicuramente l’innovazione più originale di questo periodo. Si tratta di romanzi in cui la vicenda è narrata attraverso la finzione di un alcune lettere che il protagonista immagina di inviare ad un suo interlocutore. Primo esempio fu sicuramente il testo scritto da WOLFGANG GOETHE, I dolori del giovane Werther, storia di un amore infelice di un giovane che costretto ad abbandonare la donna che ama, promessa sposa ad un altro, decide di uccidersi come gesto eroico e supremo di protesta contro la società. Questo romanzo lasciò una profonda traccia nel gusto letterario contemporaneo e soprattutto in un autore come UGO FOSCOLO che ne imitò la struttura e in parte la tematica ne Le ultime lettere di Jacopo Ortis. Anche nel capolavoro del Foscolo infatti il protagonista soffre di un amore impossibile per una donna già impegnata con un altro. A questa tematica si aggiunge il fervore politico dell’Ortis che lo spingono all’esilio, alla lontananza dalla patria. Questi motivi, ed un sentimento di estraneità ad una società borghese e materialista, lo “costringeranno” al suicidio come atto di sfida, protesta verso le convenzioni sociali ma anche di sconfitta nei confronti della vita. Sia il romanzo di Foscolo sia quello di Goethe esprimono una sensibilità che anticipa molti atteggiamenti e modi di pensare che sono tipici del romanticismo del primo ottocento.
Nella prima metà dell’Ottocento il romanzo diventa il genere letterario per eccellenza. Sicuramente il motivo di tanto successo risiede principalmente nella duttilità del genere nell’affrontare molteplicità di ambienti, di caratteri e idee della società ottocentesca. Due concetti tipicamente romantici ( il senso della storia e quello della nazionalità) sono alla base di un’altra forma di narrativa che s’impone nei primi decenni dell’ottocento a livello europeo: il romanzo storico.
Il romanzo storico riveste una duplice funzione: da un lato quella di fuga da una realtà presente verso epoche ( soprattutto il medioevo) rappresentate dal romanticismo come momenti ideali per l’uomo per vari motivi (politici, ideologici e religiosi); dall’altro un’intenzione nazionalistica e patriottica che ricerca nel passato momenti fondamentali e significativi della storia , che fossero da esempio agli uomini per la soluzione dei problemi del presente. L’autore che diede il massimo impulso alla diffusione del genere del romanzo storico fu senza dubbio lo scozzese WALTER SCOTT autore de Ivanhoe, romanzo ambientato nell’Inghilterra medievale ai tempi di Riccardo Cuor di Leone e dell’usurpatore Giovanni Senza Terra. Dall’esigenza di evasione fantastica verso una nuova realtà prende le distanze ALESSANDRO MANZONI, che ne I Promessi Sposi , pur riconoscendo i suoi debiti nei confronti di Scott, insiste soprattutto sul rispetto della verità storica distinguendo il lavoro del romanziere da quello dello storico. Il romanziere non punta solo su i fatti esterni, ma indaga anche i sentimenti, le passioni, le motivazioni che li hanno generati ed accompagnati. La storia ufficiale, inoltre, tende a concentrare la propria attenzione sui potenti e sui nobili, escludendo la gente comune che è destinata a subire le scelte dei grandi: agli umili Manzoni si rivolge e li rende protagonisti del romanzo.
Nella seconda metà dell’Ottocento si diffonde in tutta Europa il romanzo realista, che rappresenta una sorta di specchio della società. In Italia assume il nome di romanzo verista. I veristi si ispirano essenzialmente agli stessi principi dettati dai naturalisti francesi. Anche per loro oggetto della letteratura sono i “documenti umani”, fatti veri e storici e la loro analisi deve essere condotta con “scrupolo scientifico” e con l’adozione del canone dell’impersonalità. Sono convinti che il lettore debba trarre dal racconto l’impressione che sia la realtà stessa a parlare. Ma se per i naturalisti lo scrittore esprimeva un atteggiamento positivo ed ottimista nei confronti della realtà, sostenendo la possibilità di poter intervenire e correggere le ingiustizie sociali, per i veristi, rappresentati da LUIGI CAPUANA e soprattutto da GIOVANNI VERGA, manca questa nota di ottimismo. Non c’è la fiducia che un’analisi dettagliata della realtà possa portare ad una concreta azione di rinnovamento (questo soprattutto perché questa corrente è legata alle condizioni di arretratezza socio-economica italiana, alle permanenze feudali, alle delusioni risorgimentali, alla mentalità e alla cultura arretrate del Sud, al fatalismo). È assente la fiducia nella scienza come strumento per emancipazione dell’uomo e soluzione dei problemi. Il progresso può essere dannoso per i più deboli, li può schiacciare come succede per i vinti di Verga. Anche a livello di contenuti ci sono molte differenze: i protagonisti non fanno parte del proletariato urbano ma sono essenzialmente contadini in quanto l’industrializzazione non è ancora pienamente sviluppata e l’economia è prettamente agricola. Il Verismo è stata, inoltre, una corrente marcatamente regionalistica, quasi esclusivamente siciliana, dove maggiori erano le contraddizioni sociali. Questo comporterà, per molto tempo, una mancata identificazione del lettore medio- borghese, lontano da questa realtà.
Contemporaneamente al verismo si sviluppa un altro tipo di romanzo, che nasce come reazione e in antitesi al verismo. Il principale riferimento è possibile trovarlo in ANTONIO FOGAZZARO. Le problematiche trattate sono tutt’altro che umili o povere; i suoi personaggi non sono gli oppressi o i vinti. Fogazzaro tratta del ceto ricco, di intellettuali tormentati inquietudini religiose, in bilico tra vaghe aspirazioni ideali e tentazioni sensuali. E proprio grazie ai temi, più vicini alle tendenze europee, questo tipo di romanzo ha più successo di quello verista.
Il romanzo del Novecento ha sviluppato alcune tematiche di quello dell’Ottocento e ne ha individuate di nuove, ma soprattutto è stato investito da una ridefinizione di quelli che erano considerati i suoi stessi fondamenti. Con la nascita dei movimenti d’avanguardia e della psicanalisi sono stati elaborati nuovi mezzi espressivi e linguistici. Sul piano formale sono venuti meno alcuni capisaldi: è venuto a mancare il personaggio come elemento centrale ed è stato abbandonato il senso ordinato e cronologico della narrazione per seguirne uno che prediligesse i moti della psiche e dell’anima (flusso di coscienza, flash-back, stile indiretto libero, monologo interiore).
Il romanzo che più esprime questa serie di cambiamenti è il romanzo psicologico. Esso nasce a seguito del romanzo decadente. Ma mentre lo stile dei decadenti in genere e di D’annunzio in particolare è ricco, elaborato costellato di termini rari e preziosi, totalmente diverso, all’insegna della semplicità ed essenzialità, appare quello di due autori come ITALO SVEVO e LUIGI PIRANDELLO. Svevo con La coscienza di Zeno, fa entrare nella letteratura le teorie da lui studiate della psicanalisi di Freud. L’opera si presenta come una sorta di diario terapeutico affidato da Zeno al suo medico e da lui mandato alla stampa. Entra in gioco un nuovo personaggio, in opposizione all’eroe dannunziano, l’inetto, colui che non ha qualità, l’anti-eroe per eccellenza. Interessato ad un attento scavo dell’io è anche Pirandello. Nei suoi romanzi si afferma l’impossibilità di una conoscenza oggettiva, sia della realtà sia di noi stessi. L’identità dell’individuo è ormai frantumata: egli non si riconosce in nessuno dei ruoli che la società borghese gli impone.

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