La lirica

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La lirica
1. INTRODUZIONE
Lirica Genere letterario che comprende i componimenti in cui si esprime in prevalenza la soggettività del poeta. In senso più concreto indica il componimento poetico in cui si esprime tale soggettività, attraverso sentimenti, opinioni, stati d'animo, fantasie.
2. L'ANTICHITÀ GRECO-ROMANA
Oggi si fanno rientrare nel grande genere della lirica alcuni generi che gli antichi greci tenevano distinti. I greci chiamavano lirica la poesia cantata "con accompagnamento della lira" (secondo l'etimologia) o di altro strumento a corde (pratica derivata dal mondo orientale). I filologi dell'età alessandrina, che fissarono il canone dei più significativi rappresentanti di tale genere, distinsero tra i componimenti intonati sulla lira da una sola persona (lirica monodica) e i componimenti cantati da un gruppo guidato da un corifeo (lirica corale). Per la prima forma (dedicata all'amore, all'amicizia, alle passioni politiche) essi decretarono il primato di Alceo, Saffo e Anacreonte; per la seconda (riservata alla celebrazione di vittorie sportive, all'esaltazione di divinità o di ideali patriottici) indicarono l'eccellenza di Alcmane, Stesicoro, Ibico, Simonide di Ceo, Bacchilide e Pindaro. Non inclusero gli scrittori di elegie (Tirteo, Mimnermo, Teognide, Solone) e di giambi (Archiloco e Ipponatte) perché tali poesie venivano recitate con l'accompagnamento del flauto. Oggi, con l'espressione "lirici greci" si allude in senso lato ai poeti del VII e VI secolo distinti dagli scrittori di testi epici e di tragedie. Dopo il V secolo la lirica mutò sostanzialmente: da allora la poesia fu destinata a gruppi d'élite che la leggevano. Dai lirici greci e dagli alessandrini derivarono i loro modelli i romani (Catullo, Orazio, Tibullo, Properzio, Ovidio).
3. DAL MEDIOEVO AL SEICENTO
La moderna lirica occidentale nacque in Provenza, dove nel XII secolo e, in parte, nel XIII fiorì la poesia dei trovatori, che costruirono il modello lirico poi diffuso in Germania con la poesia dei Minnesänger e in Italia. Secondo tale modello la donna è un essere superiore all'amante, come il signore rispetto al vassallo (secondo la tipologia sociale del feudalesimo); la donna è dunque irraggiungibile, e l'amore ha senso indipendentemente dal raggiungimento e dal possesso della donna. Il modello provenzale venne riproposto in Italia con la scuola siciliana e rielaborato in seguito fino alla grande lirica del Dolce stil novo e di Petrarca. Il codice di quest’ultimo avrebbe poi dominato incontrastato fino a tutto il Cinquecento, producendo il fenomeno del petrarchismo.

Gli imitatori quattrocenteschi di Petrarca (Tebaldeo, Cariteo, Serafino Aquilano) diffusero la tematica e gli artifici stilistici petrarcheschi in Europa, e su questo linguaggio lavorarono i petrarchisti inglesi (Thomas Wyatt, Henry Howard Surrey) e quelli francesi (Clément Marot, Mellin de Saint-Gelais, Maurice Scève). Il petrarchismo cinquecentesco, che fa capo a Pietro Bembo, fu continuato non solo dagli italiani ma anche dagli spagnoli (Juan Boscán Almogáver, Garcilaso de la Vega), dai poeti francesi della Pléiade e dai poeti inglesi che dettero vita al sonetto elisabettiano (Thomas Watson, Philip Sidney fino a Edmund Spenser, a John Donne e a William Shakespeare.

Nelle discussioni di poetica e di estetica, che si svolsero nel Cinquecento, il culto di Petrarca portò alla tripartizione della poesia (a partire dall'Arte poetica di Antonio Minturno, del 1563) in epica, drammatica e lirica, superando la bipartizione aristotelica in epica e drammatica. Proprio quando il modello petrarchesco venne canonizzato al punto da coincidere con la nozione di lirica, cominciò il declino del petrarchismo per far posto alla nuova esperienza della lirica barocca.
4. DAL SETTECENTO AL NOVECENTO
Le poetiche dell'Arcadia e dell'illuminismo non offrirono grandi contributi alla riflessione sulla forma lirica, anche se svilupparono la sensibilità musicale, creando la forma metrica (di diffusione europea) della canzonetta. Invece l'estetica romantica fece della lirica la forma più alta della poesia (realizzò, secondo Schelling, la rappresentazione dell'infinito nel finito). Per Giacomo Leopardi il genere lirico non solo è il più alto, ma anche il più naturale. In età romantica la nozione di lirica si dilatò fino quasi a coincidere con l'essenza stessa del fatto poetico. Così è nell'estetica di Benedetto Croce. Con i poeti simbolisti francesi nel secondo Ottocento la lirica si arricchì di nuove capacità conoscitive ed evocative attraverso l'impiego dell'analogia. Ancora una volta il modello francese, con Baudelaire, Mallarmé, Rimbaud e Verlaine, si pose come modello europeo della lirica del Novecento, la quale si è inoltre caratterizzata per l'impiego pressoché generalizzato del verso libero e di forme metriche aperte rispetto a quelle chiuse e regolate di tradizione secolare.

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