Leopardi

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Testo

Ma negli anni successivi, nella fittissima serie di pensieri che in quella fase alimentano lo Zibaldone, si registra un continuo, inquieto spostamento del giudizio sulla natura e sul rapporto tra il «vero» e le «illusioni»: Leopardi si accosta a una tendenza essenziale del pensiero illuministico, il meccanicismo materialistico, e intorno al 1823 elabora nel modo più conseguente quello che si suole definire il suo pessimismo cosmico, pienamente espresso nelle Operette morali del 1824.
La natura non appare più una forza vitale benigna e positiva, ma una forza cieca, « matrigna» e ostile all'uomo; alla vanità delle «illusioni» si oppone la necessità di andare fino in fondo nella conoscenza del «vero», della infelicità costitutiva della condizione umana.
Nel seguire questi mutamenti del pensiero leopardiano, occorre evitare di fissarli in fasi troppo precise e chiuse in se stesse: si tratta infatti di un pensiero per il quale spesso è essenziale proprio il confronto tra prospettive opposte e che tende a rimettere in discussione concetti, a spostare obiettivi, a rintracciare fondamenti, a ribaltare definizioni. La sua forza critica non si placa mai in risultati acquisiti, in giudizi definitivi: cosi lo stesso «sistema della natura e delle illusioni» è fin dall'inizio animato da una interna tensione critica, che ne interroga con inquietudine i fondamenti, che ne mette in dubbio ogni cristallizzazione in termini positivi e consolatori; e, nel momento di più fitta stesura dello Zibaldone, tra il 1821 e il 1823, i nuovi orientamenti si sviluppano in un drammatico intreccio di concetti, in un vertiginoso confronto tra ipotesi alternative. Non si tratta di «contraddizioni», come banalmente si potrebbe pensare, ma di un pensiero che, proprio perché interroga l'esistenza, non può che svilupparsi in un serrato succedersi di formulazioni teoriche anche in contrasto fra loro, senza bloccarsi su se stesso, ma continuando incessantemente a muoversi, a interrogarsi, a mettersi in questione.
L'iniziale esaltazione della natura e delle illusioni si lega in parte al pensiero di Rousseau e, dopo la cosiddetta « conversione filosofica», si inserisce in una visione «sensistica», che mette in primo piano il problema della felicità: l'azione delle illusioni sull'uomo deriva da una catena di condizioni date dai sensi e si spiega attraverso quella che Leopardi definisce la sua teoria del piacere. Secondo questa teoria, ogni comportamento umano è guidato da un'aspirazione al piacere, che è qualcosa di illimitato e che non riesce mai a realizzarsi totalmente: il piacere si risolve in un continuo desiderio o aspettazione del piacere; il raggiungimento di determinati oggetti di desiderio non soddisfa mai veramente, risulta sempre inadeguato a ciò che ci si aspettava. Il desiderio è sempre «infinito», e ciò spiega l'inclinazione dell'uomo per l'immaginazione, come possibilità di «concepire le cose che non sono».
Questa teoria, già ben definita nello Zibaldone all'inizio del 1820, spiega la disposizione dell'uomo a trovare un senso alla propria vita attraverso le illusioni e la stessa esperienza poetica; Leopardi la approfondisce interrogandosi anche sui rapporti tra il piacere e il suo contrario, il dolore, e constatando in modo sempre più netto l'inesistenza del piacere presente: il piacere esiste solo come attesa di un piacere futuro o come provvisoria sospensione del dolore.
In questi suoi svolgimenti, la teoria del piacere si apre a una prospettiva storica, seguendo i mutamenti che il rapporto dell'uomo con le sue illusioni ha subito dal mondo degli antichi (dominato dalle forti illusioni) a quello della civilizzazione moderna (dominato dall'arido «vero», dalla perdita delle illusioni). Nella costruzione di questa prospettiva storica è essenziale il concetto di amor proprio, con cui Leopardi definisce l'attaccamento naturale di ciascun individuo a se stesso, che per lui è fonte e origine di tutti gli affetti e di ogni desiderio di felicità, «conseguenza necessaria della vita com'è»: nelle società più vicine alla natura, l'amor proprio è radice di grandi affetti, stimolo alla «virtù» e alle generose illusioni, che danno un senso alla vita sociale; nel mondo civilizzato esso si trasforma in egoismo, chiuso e feroce culto del proprio interesse personale, derivato proprio dalla caduta delle illusioni e dall'azione della «filosofia».
La civilizzazione è dominata da un'espansione sociale dell'egoismo, da una guerra di tutti contro tutti, dalla ricerca ostinata di un piacere e di una felicità, tanto più inseguiti quanto più irraggiungibili; per giunta, i desideri hanno perduto la loro spinta naturale, sono come segnati dallo sguardo sociale, cioè dall'immagine artificiale che di essi forniscono o suggeriscono gli altri. Attraverso l’assuefazione, questa condizione non naturale ha creato nell'uomo una seconda natura che si è sovrapposta a quella originaria, della quale si perdono cosi i caratteri spontanei, collocabili sempre più lontano, nelle immagini del mito e della poesia.
La vita psicologica e sociale dell'uomo si rivela, d'altra parte, come il prodotto delle circostanze in cui esso è inserito: perfino i sentimenti più inafferrabili, come quello amoroso, hanno fondamenti accidentali, si ricollegano in ultima analisi alle deformazioni dell'amor proprio e al desiderio di felicità. Questo orizzonte porta a sottilissime analisi dei più diversi aspetti di tale vita psicologica e sociale (anche al progetto, non realizzato, di elaborare un Manuale di filosofia pratica); nello sviluppo di queste indagini concrete, la «natura» originaria arretra sempre più indietro nella storia e vien meno anche la fiducia negli antichi, la cui vita appare regolata, ne più ne meno dei moderni, dalla «seconda natura».
Sulla base della sua personale esperienza di dolore e di infelicità, Giacomo avverte l'impossibilità di conciliare natura e civiltà e giunge a considerare come soli elementi veramente «naturali» della vita umana quelli fisici e biologici. Sulla spinta del meccanicismo materialistico, crolla definitivamente tra il 1823 e il 1824 l'immagine positiva della natura, e Leopardi individua una contraddizione tra vita ed esistenza (W. Binni): la natura non dà la vita (la vitalità, la forza del sentire e dell'illudersi), ma solo l'esistenza (il cieco svolgersi di un ritmo biologico). Tutti i movimenti della natura procedono per loro conto, tendendo verso il nulla, che è l'unico senso afferrabile dell'esistenza; il vivere è dominato dalla noia, da un continuo discordare dell'uomo da se stesso, dalla propria condizione; la sofferenza minaccia in ogni momento i singoli individui. Nei suoi inesorabili cicli di costruzione e di distruzione, la natura tende solo a conservare se stessa, assolutamente indifferente ai patimenti e ai desideri degli uomini, degli animali, delle piante, di tutte le esistenze, che dal suo procedere vengono schiacciate. Immerso totalmente nella materialità della natura, l'uomo è «materia pensante» che ostinatamente contraddice al movimento della natura di cui è parte, opponendosi ad essa con inesplicabili richiami dì vitalità (suscitati soprattutto dal ricordo, dalla bellezza, dai sogni della giovinezza, ecc.) e con un bisogno inappagato di affetto, di solidarietà, di comunicazione: all'uomo può toccare solo il lucido e impietoso esercizio della verità, l'impegno a vedere fino in fondo nel vuoto dell'esistenza, a svelare la negatività di questa condizione («La mia filosofia fa rea d'ogni cosa la natura, e discolpando gli uomini totalmente, rivolge l'odio, o se non altro il lamento, a principio più alto, all'origine vera de' mali de' viventi» con queste parole Leopardi conclude un pensiero del 2 gennaio 1829). Ciò comporta anche una critica e un rifiuto delle false illusioni, dei miti, delle ideologie con cui gli uomini, nella loro vita sociale, sovrappongono nuovi mali a quelli avuti in sorte dalla natura: una polemica sdegnosa contro la cultura ottimistica e contro i modelli della vita sociale contemporanea; una visione della morte, inevitabile approdo dell'esistere, come suprema liberazione da tutti i mali naturali e sociali.

Esperimenti vari del 1819.

Si è visto che nel corso dell'anno 1819 entrano in crisi tutti i residui che legavano ancora Leopardi alla sua prima educazione letteraria e ideologica, in seguito all'approfondirsi del suo pessimismo e alla sua più salda adesione alla filosofia sensistica. La sua «conversione filosofica» lo induce a porre in primo piano il problema della felicità e a distaccarsi in modo più netto ed esplicito dal Cristianesimo: così molti pensieri dello Zibaldone del 1820-1821 svolgeranno una critica dell'ascetismo cristiano, che, umiliando la fisicità e la corporeità, impedisce la piena espressione della vitalità umana. Nello stesso tempo Leopardi sente l'esigenza di una letteratura che, pur restando legata ai più autentici valori classici, sappia essere moderna fino in fondo e rispondere in modo diretto (non solo in forma polemica come nelle due canzoni del 1818) alla situazione e alla sensibilità del presente.
Questa esigenza di modernità spinge Leopardi a tentare, all'inizio del 1819, una poesia che rappresenta situazioni scabrose, delineando figure femminili vittime della malattia e della crudeltà, lacerate nella loro tenerezza: si tratta delle due canzoni, poi rifiutate, Per una donna inferma di malattia lunga e mortale e Nella morte di una donna fatta trucidare col suo portato dal corruttore per mano ed arte di un chirurgo, in cui persiste un aspro linguaggio classicistico, che contrasta con una tematica cosi «quotidiana», da cronaca nera. Un equilibrio tra la «semplicità» antica e la «forza e verità moderna della passione» fu invece cercato nell'autunno in una incompiuta tragedia pastorale, la Telesilla, che sullo sfondo convenzionale inserisce alcuni motivi di tipo realistico.
Più interessante è il tentativo di prosa autobiografica a cui Leopardi lavorò tra il marzo e il maggio del 1819, i Ricordi d'infanzia e di adolescenza, materiali per un'opera che voleva essere insieme lirica e narrativa, in parte modellata sul Werther di Goethe: ne emergono (pur nella coscienza che il mondo è «vuoto» e che la vita è un «niente») molteplici osservazioni sulla vita quotidiana e sui paesaggi naturali.

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