Meriggiare pallido e assorto di Eugenio Montale

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Testo

Simone Spreafico II E

E.Montale: Meriggiare pallido e assorto (da Ossi di seppia, 1925)

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora si intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

Versione in prosa
Passare il pomeriggio in ozio per il caldo e pensare in tutta tranquillità vicino ad un muro bollente di un giardino, e ascoltare tra gli arbusti e la sterpaglia lo schiocco dei merli e i fruscii delle serpi.
Spiare, fra le spaccature del terreno e sull’erba, file di formiche rosse che ora si dividono ora si riuniscono su un mucchietto di terra.
Osservare tra i rami gli alberi il mare vivo e luccicante, mentre si alzano tremuli scricchi di cicale dalle aride colline.
E camminando nel sole che abbaglia, sentire con tristezza e meraviglia che la vita e la sua sofferenza non è nient’altro che passeggiare di fianco a un muro che ha in cima dei cocci aguzzi di bottiglia.

Analisi metrica
Quattro strofe (di quattro versi le prime tre, di cinque l’ultima) di novenari (vv. 1, 2, 10, 12, 13), decasillabi (vv. 3, 4, 8, 14) ed endecasillabi (vv. 5, 6, 7, 9, 11, 15, 16, 17).
Molto fitte le rime, baciate o alternate: AABB, CDCD, EEFF, GHIGH.
Rima ipermetra: veccia, intrecciano (vv. 5 e 7)
Enjambement ai vv. 9 – 10 , 11 – 12 .

Commento
La poesia è ambientata in Liguria, durante un caldo pomeriggio, in cui la luce è accecante e il sole è così forte da arroventare il muro dell’orto. Il poeta, in preda alla malinconia ed all’ozio, assorto e solitario ascolta le voci ed i suoni colti nel silenzio di un paesaggio aspro e soffocante, in cui i pruni e gli sterpi infondono un senso di durezza e di abbandono.
Il poeta si scuote dall’iniziale immobilità e comincia a camminare, spiando i movimenti delle formiche rosse, che costituiscono l’unico elemento animato in contrasto con la fissità dell’ambiente e possono simboleggiare la condizione dell’uomo, condannato ad un lavoro incessante e frenetico; avverte la voce delle cicale rimarcando con l’immagine delle rocce nude l’asprezza e l’aridità del paesaggio che gli sta intorno, mentre il mare che luccica lontano diventa il simbolo di una felicità irraggiungibile.
Con amarezza sente che il suo camminare avanti e indietro lungo la muraglia rappresenta la vita umana, che è un continuo andirivieni inutile, monotono e solitario, alla ricerca di ciò che non si riuscirà mai ad ottenere, perché il muro impedisce all’uomo di evadere dalla sua dura realtà, fatta di “cocci aguzzi di bottiglia”, cioè di dolore e sofferenza. Il muro, barriera invalicabile, gli infonde un angoscioso senso di oppressione e di impotenza; Montale ha la consapevolezza che ogni sforzo che l’uomo fa per raggiungere la felicità è vano e che l’unica realtà della vita è il dolore.
Questa concezione pessimistica della vita, che chiama “il male di vivere” lo accomuna a Leopardi.
Come gli idilli leopardiani, “meriggiare pallido e assorto” è una lirica che si compone di una parte descrittiva (le prime tre strofe) e di una parte riflessiva (l’ultima), collegate tra loro, in quanto la descrizione del paesaggio e della situazione in cui il poeta si trova diventano simboli della realtà e gli suggeriscono una visione della vita.
La natura del paesaggio ligure e l’amarezza del poeta sono rese efficacemente dai suoni aspri e duri dei termini onomatopeici e da un linguaggio scarno ed essenziale, senza pause frequenti (infatti nella poesia è presente una sola virgola alla fine del secondo verso) che infonde alla lirica un tono incalzante e poco armonioso.
L’uso dell’infinito (meriggiare, ascoltare, spiare, osservare, sentire) crea un senso di sospensione; il poeta, esprimendo l’idea di azioni che si ripetono sempre uguali, vuole forse rappresentare la condizione dell’uomo, costretto alla monotonia, senza alcuna possibilità di cambiamento.

Cenni sull’autore
Eugenio Montale nacque a Genova il 12 ottobre 1896 da agiata famiglia borghese: il padre fece costruire nel 1905 una villa a Monterosso presso la Spezia, per le vacanze della famiglia, il cui ricordo lasciò tracce intense nella poesia del figlio. Per la cattiva salute, questi compì studi irregolari: ebbe infatti un’adolescenza difficile. Appassionato di musica, studiò canto. Chiamato alle armi, fu al fronte di Vallarsa.
La sua prima pubblicazione poetica, il gruppo di versi dal titolo Accordi, apparve nel 1922 sulla rivista “Primo tempo”, e il suo primo libro, Ossi di Seppia, nel 1925 per le edizioni di Gobbetti; nello stesso anno firmò il manifesto antifascista di Croce.
Nel ’26 conobbe il poeta americano Ezra Pound e molto viva fu fin d’allora la sua attenzione alla letteratura anglosassone.
Il suo desiderio di raggiungere l’indipendenza economica dalla famiglia fu realizzabile solo nel 1927, quando ottenne un impiego a Firenze presso l’editore Bemporad; poi nel 1929, fu nominato direttore del Gabinetto Vieusseux. In quegli anni egli fu uno degli animatori della vita intellettuale fiorentina.
Pubblicò altre liriche, raccolte nel 1939 nel volume Le occasioni. Nel 1927 aveva conosciuto Drusilla Tanzi, moglie del critico d’arte Matteo Marangoni (detto Mosca), e che più tardi sarebbe divenuta sua compagna (1962).
Manteneva intanto stretti contatti anche con gli ambienti della cultura antifascista: avendo sempre rifiutato di iscriversi al partito fascista, fu esonerato nel 1938 dalla direzione del Vieusseux. Visse allora di collaborazioni a riviste e di una varia attività di traduttore.
Richiamato per breve tempo nell’esercito e poi congedato, trascorse a Firenze gli anni della guerra e dell’occupazione nazista.
Dopo la liberazione della città si iscrisse al partito d’azione ed ebbe un incarico culturale dal Comitato Nazionale di Liberazione.
Dopo una grave malattia di “Mosca”, cominciò a dedicarsi alla pittura.
La sua vita mutò sensibilmente all’inizio del 1948 quando fu assunto come giornalista dal “Corriere della Sera”: lì pubblicò una serie molto ampia di interventi di attualità culturale e letteraria, numerosi brevi racconti, vari reportages di viaggio, articoli di critica musicale, …
La maggior parte dei componimenti della sua terza raccolta, uscita nel 1956, La bufera e altro, risalivano agli anni della guerra e del dopoguerra.
Dopo la dolorosa perdita della moglie (1963), scrisse il volume Satura (1971).
Gli anni cinquanta e sessanta vedevano intanto allargarsi notevolmente l’interesse per la sua opera: ebbe riconoscimenti di vario tipo, culminanti nel 1967 nella nomina a senatore a vita, e nel 1975 nell’assegnazione del premio Nobel per la letteratura.
Trascorse una lunga vecchiaia a Milano, assistito dalla fedele governante Gina Tiossi, che era già con lui a Firenze. Morì il 12 settembre 1981.

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