Alessandro Manzoni, biografia

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Testo

Alessandro Manzoni

Uno dei più grandi scrittori non solo del XIX secolo, ma della letteratura europea dal Medioevo in poi, nasce a Milano il 7 marzo 1785, dal conte Pietro Manzoni, un benestante proprietario terriero originario di Barzio in Valsassina, e da Giulia Beccaria figlia di Cesare Beccaria, il celebre illuminista autore dell'opera Dei delitti e delle pene, contro la tortura e la pena di morte.
Quando Giulia sposa Pietro Manzoni ha vent'anni e lui quarantasei, due più del suocero. È un matrimonio combinato, al quale la giovane acconsente malvolentieri e che subisce con insofferenza. Così quando nasce Alessandro, i soliti pettegoli danno per certo che la paternità del bambino sia da attribuirsi a Giovanni, il più giovane e avvenente dei conti Verri.
Pietro Manzoni, però, riconosce il figlio e lo affida a una balia, dal carattere dolce e allegro, che abita alla cascina Costa, tra Malgrate e Mozzate, nei dintorni di Lecco.
Ma il matrimonio di convenienza tra i coniugi Manzoni dura poco; sin dai primi mesi, costretta a vivere con un marito più vecchio di lei, insieme a sette cognate nubili e a un cognato canonico, Giulia si dimostra insofferente a un'atmosfera buia e retrograda, e comincia a frequentare la casa dei Verri, dove si innamora di Giovanni
Con la nascita del bambino la situazione in casa Manzoni diventa sempre più fredda, tanto che nel 1791 Giulia chiede e ottiene la separazione legale, che verrà ratificata dal tribunale nel febbraio 1792. Alessandro secondo la legge resta con il padre.
A sei anni il piccolo Alessandro entra nel collegio dei padri Somaschi, prima a Merate e poi, nel 1796, a Lugano. Qui conosce padre Carlo Felice Soave (1749-1803), autore fra l'altro di Novelle morali per l'infanzia, un uomo rigido ma di grande prestigio e dirittura morale, l'unico tra i suoi insegnanti che ricorderà con stima. Due anni dopo eccolo a Milano, nel collegio dei Nobili, gestito dai Barnabiti: dieci anni in tutto, durante i quali riceve una buona educazione classica, a giudicare da come traduce Virgilio e Orazio. Dalla scuola, però, esce esasperato e ribelle, forse anche amareggiato dalla sua situazione familiare, ma gratificato da alcune amicizie che dureranno tutta la vita, come quella di Ermes Visconti (1784-1841).
I genitori si interessano poco di lui; già dal 1792 Giulia Beccaria, che nel frattempo, abbandonando casa Verri, aveva conosciuto il nobile e ricco Carlo Imbonati, col quale si stabilisce prima a Londra e poi a Parigi, dove viene accolta favorevolmente anche grazie alla fama del padre, finché nel 1805 il nobile muore improvvisamente lasciandola erede di una cospicua fortuna.
L'adolescente Manzoni, fu in pratica abbandonato dalla madre, ed ebbe scarsi contatti umani con il padre, che in lui vedeva l'immagine del suo fallimento matrimoniale e di una donna che non era stato capace di amare e conquistare, anche a causa di un carattere irresoluto e incline a una spiritualità umana e religiosa di maniere fatta di apparenze più che di sostanza. L'adolescenza di Alessandro trascorse quindi senza quegli affetti familiari che sono indispensabili per creare quel vero equilibrio tra vita interiore e vita sociale che è alla base di una vita che può definirsi felice: ogni altro equilibrio è destinato a spezzarsi al primo soffio veramente impetuoso, che spazza via ogni ostacolo che non è profondamente radicato.
Intanto nel 1798 Alessandro ritorna a Milano, che nel frattempo era diventata la capitale della repubblica Cisalpina, dopo il Trattato di Campoformio, col quale Venezia cade sotto l'Impero austriaco e Napoleone consolida il suo dominio sull'Italia settentrionale, nel collegio Longone dei Padri Barnabiti. Nel 1801 completa gli studi e ritorna in famiglia nel palazzo di via san Damiano, alternando i soggiorni nella villa estiva al Caleotto, presso Lecco; ma vive praticamente isolato da padre, insieme alla servitù, pur conoscendo ospiti abbastanza occasionali come Monti, Foscolo e Cuoco; dello stesso anno è la sua prima opera importante, il poemetto di stampo classicheggiante, secondo gusti montiani, Del trionfo della libertà, frutto anche della sua insofferenza al metodo educativo di Barnabiti e Somaschi, del suo distacco dal cattolicesimo e dell'entusiastico avvicinamento agli ideali illuministici e ai valori della Rivoluzione Francese, portati a Milano dall'armata Napoleonica.
Alessandro, nella casa del conte Manzoni, respira un'atmosfera malinconica, accresciuta dalla tetraggine delle sette zie nubili, una delle quali ex monaca, e dallo zio monsignore che porta la natta all'occhio. Pure, riesce a divertirsi, come tutti i giovani. Ama il teatro, va a giocare al Ridotto della Scala, conosce il poeta Vincenzo Monti (1754-1828) che gli sembra un'immagine autorevole da imitare, ammira le idee che diffonde Napoleone in tutta Europa, anche se il personaggio lo lascia perplesso.
La vocazione poetica del sedicenne Manzoni si manifesta con un sonetto autobiografico, Autoritratto, in cui si presenta: «Capel bruno; alta fronte; occhio loquace...» e poi, per quanto riguarda il carattere, ammette di essere «Duro di modi, ma di cor gentile», anche se confessa, alla fine, di essere un po' confuso circa il giudizio da dare di se stesso, «Poco noto ad altrui, poco a me stesso. / Gli uomini e gli anni mi diran chi sono». È un adolescente in cerca della propria identità.
Il sonetto riecheggia lo stile di Vittorio Alfieri (1749-1803) che, per i giovani del tempo, è una sorta di idolo di cui si ammira la generosità, l'insofferenza per ogni forma di ipocrisia, il carattere ribelle, l'incarnazione del genio incompreso, in lotta contro ogni forma di mediocrità.
Da poco uscito di collegio, respirando l'aria ricca di ideali illuministici della capitale lombarda, il giovane Manzoni scrive il suo primo poemetto in quattro canti, intitolato Del trionfo della libertà (1801), in cui, imitando il suo "maestro" Vincenzo Monti, e anche Dante, condanna ogni forma di tirannide.
L'esordio poetico risale al 1802: Francesco Lomonaco (1772-1810), storico e saggista esule da Napoli dopo la fallita rivoluzione del 1799, inserisce il sonetto manzoniano Per la vita di Dante, in apertura delle sue Vite degli eccellenti italiani. In questi anni, incoraggiato dai consensi e dall'amicizia di poeti come Ugo Foscolo (1778-1827) ed Ermes Visconti (con la sorella del quale, l'angelica Luisina, vive l'emozione del primo amore, ma presto la famiglia scoraggia le assidue visite del tenero poeta), scrive l'ode Qual su le Cinzie cime (1802), in cui si sente l'influsso della poesia del Parini e del Foscolo, l'idillio Adda (1803), una sorta di invito al Monti perché sia suo ospite nella villa paterna del Caleotto, sul lago di Como, e i quattro Sermoni, in cui, alla maniera di Orazio, elabora una satira sferzante contro il malcostume del tempo. Il giovane comprende che il poeta deve coltivare in sé una fortissima tensione morale per trasformare l'opera d'arte in strumento educativo per l'umanità.
Questo è il retaggio di un altro grande poeta che, scomparso da qualche anno, ancora irraggia la sua personalità su tutta la cultura milanese e dà un carattere di forte impegno all'illuminismo lombardo: Giuseppe Parini (1729-1799).
A diciott'anni, nel 1803, Alessandro Manzoni è già noto ai più grandi intellettuali del tempo, a cui chiede giudizi e valutazioni sulla sua produzione: sottopone le poesie al Monti, che ha per lui parole lusinghiere. Diviene amico di Vincenzo Cuoco( 1770-1823), esule a Milano come il Lomonaco, e autore del Saggio sulla rivoluzione napoletana del 1799 (1801), col quale inorridisce il poeta raccontando le sanguinose repressioni borboniche. Da lui riceve lo stimolo a conoscere il pensiero di Giambattista Vico e si entusiasma per la ricerca storica. L'idea di storia, come analisi delle condizioni di un popolo e come insieme degli avvenimenti in cui è protagonista la massa, si insinua in questi anni nella mente dell'autore dei Promessi Sposi, il "romanzo degli umili".
Milano è una città stimolante e affascinante per il ragazzo che ha conosciuto, fino a sedici anni, i quieti paesaggi del lago di Como (contemplati dalla villa paterna del Caleotto, a Lecco) e gli austeri corridoi dei collegi. Tuttavia egli lascia la Lombardia con entusiasmo, quando la madre lo chiama a Parigi, nel 1805.
Nel 1804 il Monti si trova a Parigi, ospite dell'Imbonati e di Giulia e le parla di quel figlio lontano e praticamente sconosciuto. Ecco rifarsi viva, dopo anni di silenzio, questa figura materna così spregiudicata e anche un po' egoista, a ben vedere. Forse è il timore della solitudine, forse è il bisogno di liberarsi dai sensi di colpa. Non si sa che cosa induca Giulia a richiedere la presenza del figlio. Alessandro riceve l'invito: chiede i soldi per il viaggio al padre, che subito glieli concede; ma mentre si accinge a partire, viene raggiunto dalla notizia della morte dello stesso Imbonati, lasciando erede Giulia dei suoi beni, tra cui la villa di Brusuglio, poco fuori Milano. Il ventenne Alessandro, nel settembre 1805 raggiunge Parigi e più che una madre conosce una donna, afflitta per la recente perdita: si fondono due dolori ma nasce anche lentamente e con una certa fermezza un affetto che in qualche modo ripaga del mancato amore degli anni trascorsi. Comincia così, per lui, uno dei momenti più costruttivi della sua formazione intellettuale

Parigi e una madre:

«Giulia Beccaria aveva quarantatrè anni: coi capelli biondi, quasi fulvi, gli occhi grigi, il naso aquilino, il temperamento virile, ardimentoso, orgoglioso, imperioso, lo spirito vivace e acuto, conservava ancora quella grazia che aveva fatto di lei la regina dei salotti illuministi di Milano»
L'intesa è immediata: il giovane subisce il fascino della madre e accoglie le sue confidenze, consola il suo dolore. Per lei scrive il Carme in morte di Carlo Imbonati (1806), in cui immagina che il defunto gli appaia in sogno per suggerirgli il corretto comportamento dell'uomo d'onore, che deve «conservar la mano / pura e la mente...il santo Vero / mai non tradir: né proferir mai verbo / che plauda al vizio, o la virtù derida». Pare una sorta di decalogo morale al quale il Manzoni si atterrà per tutta la vita, in cui esprime i suoi ideali umani e letterari impregnati di coerenza etica e una analisi concreta e reale della storia dell'uomo e della sua evoluzione.
Egli condanna anche la cultura disimpegnata o, peggio, utilizzata per motivi economici, abbassata a merce in vendita. Impossibile non ricordare quella sorta di commovente testamento intellettuale e morale che è l'ode La caduta di Giuseppe Parini.
Il rigore morale di questi affiora nel disgusto manzoniano per gli adulatori dei potenti, che riducono la letteratura a «un vergognoso / ... di lodi mercato e di strapazzi».
Negli anni trascorsi a Parigi, fino al 1810, Manzoni ha la possibilità di allargare il proprio orizzonte culturale con amicizie che risulteranno decisive per la sua formazione artistica e letteraria. Frequenta il salotto di Sophie Grouchy vedova del filosofo Condorcet, morto suicida negli anni della Rivoluzione Francese, prima ad Auteuil e poi a Meulan, in una dolce casa di campagna detta la Maisonnette, una bella villa a quaranta chilometri dalla capitale, da dove si gode un panorama stupendo sulla Senna.
Alessandro conosce quello che sarà un grande amico di tutta la vita, Claude Fauriel (1772-1844), il filologo che insieme a Madame de Staël promosse la cultura romantica in Francia e che nel frattempo, troncando la sua relazione amorosa proprio con la Staël, era diventato l'amante di Sofia, con la quale convivrà per una ventina d'anni senza matrimonio, fino alla morte della donna. Claude Fauriel lo introduce nel gruppo degli Ideologi, intellettuali che si oppongono al regime napoleonico, perché ha soffocato le libertà propugnate durante la rivoluzione del 1789. Appartengono a questo movimento personaggi come il filosofo Antoine Destutt de Tracy (1754-1836), il medico-fisiologo-filosofo naturalista Pierre Jean Cabanis (1757-1808). Sotto la loro guida Manzoni si apre a una prospettiva letteraria europea, e impara che ogni ricerca deve essere condotta «con massimo scrupolo ed evitando di trarne nessuna deduzione di cui non si fosse assolutamente certi». Nasce da qui quell'atteggiamento mentale che indurrà Manzoni a ricostruire con molto scrupolo storiografico l'ambientazione delle opere tragiche e del romanzo.
Ma c'è di più: gli ideologi ribadiscono l'esigenza di un profondo rigore morale. Ciò li avvicina al pensiero del Giansenisti. Sono, questi, seguaci del teologo olandese Cornelis Jansen (latinizzato Giansenio). Egli, nella sua opera Augustinus (1640) afferma che solo la Grazia divina può salvare l'uomo, la cui natura è corrotta e inevitabilmente macchiata di colpe. Il Giansenismo era fiorito a Parigi nel Seicento, grazie ai filosofi e teologi dell'abbazia di Port-Royal, che, però, era stata distrutta nel 1710 da re Luigi XIV. Il pensiero dei Giansenisti sopravvive nell'Ottocento presso i religiosi e gli intellettuali che insistono sulla necessità di un comportamento moralmente irreprensibile, in piena sintonia con la ragione.
In questi mesi Alessandro legge opere di grandi moralisti e filosofi del Seicento, come Jacques Bossuet (1627-1704) e Blaise Pascal (1623-1662), ma si appassiona anche alla lettura di Voltaire e, grazie a Fauriel , comincia ad accostare le idee romantiche, attraverso il pensiero del tedesco August Wilhelm Schlegel (1767-1845).
Nel 1807 ecco la pubblicazione di un poemetto, Urania (forse dedicato a Sophie, che gli amici chiamavano Uranie) sulla funzione civilizzatrice della poesia. Lo scrittore sembra ripiegare sulle posizioni del classicismo, accettando gli schemi fissati dal Monti e dalla tradizione letteraria, ma il classicismo e la mitologia sono più nella forma esteriore che nell'intimo significato; il poemetto rappresenta l'opera civilizzatrice e consolatrice dell'arte, in cui le Muse e le Grazie inviate in terra da Giove costituiscono un simbolo, quasi cristiano, delle virtù che fanno corona a Dio, ma verrà ben presto sconfessato dal Manzoni che scrive: «Non è così che bisogna far versi; forse ne farò di peggiori, ma non ne farò mai più come quelli». In effetti, l'operetta è piuttosto noiosa e, a detta dell'autore medesimo, incapace di suscitare l'interesse del lettore.
In quegli anni accompagna la madre tre volte in Italia, a Torino nel 1806, a Genova nel febbraio 1807 per conoscere Luigina Visconti nell'ambito di una combinazione matrimoniale che non si realizzerà, e nel settembre dello stesso anno a Milano, dopo il fallimento di una nuova combinazione matrimoniale con la giovane figlia dell'amico Destutt de Tracy. Sulle rive del lago di Como, sotto la guida della madre, conosce Enrichetta Blondel, figlia di banchieri ginevrini stabilitisi in Italia: anche per il carattere dolce e sensibile della giovane Enrichetta (che aveva solo 16 anni, contro i 22 del Manzoni): ancora una volta Giulia dimostra di ben conoscere il cuore del figlio e di saper indovinare la donna giusta per lui. La nuova combinazione ha successo.

Il matrimonio e la conversione:

Così la sedicenne Enrichetta Blondel entra nella vita di Manzoni per lasciare una traccia importante. I due si sposano con rito civile nel Municipio di Milano il 6 febbraio1808 e la sera stessa le nozze sono benedette con rito evangelico nella casa della sposa che pratica, infatti, la religione calvinista. Il padre di Enrichetta, Francesco Luigi Blondel, è un ricco imprenditore ginevrino, che possiede filande lungo l'Adda e inizia, proprio in quegli anni, l'attività di banchiere a Milano, dove acquista palazzo Imbonati.
Nel giugno del 1808 la famigliola Manzoni riparte per Parigi. I tre sono ottimamente assortiti e molto felici. A proposito di Enrichetta, sappiamo che è «bionda, mite e graziosa, tanto discreta e pronta a nascondersi quanto la madre di Manzoni era teatrale: tanto ordinata e precisa, quanto la madre si abbandonava a un geniale disordine».
Alessandro non esita a dichiararsi «estremamente felice» di aver accontentato Giulia e di constatare che la moglie nutre per la suocera una tenerezza rispettosa e devota, simile a quella di una figlia. Nella capitale francese nasce la primogenita, Giulia Claudia, nel dicembre 1809, che nell'agosto dell'anno seguente viene battezzata nella chiesa giansenista di Meulan con rito cattolico, così come prevedeva il contratto matrimoniale (che prevedeva che i figli nati dalla loro unione sarebbero stati allevati nel culto della religione cattolica).

La fine

Alessandro Manzoni resta lucidissimo sino alla fine della sua vita. Muore alle sei di sera del 22 maggio 1873, dopo penosa agonia, quasi un mese dopo la morte del figlio Pietro. La sua decadenza è cominciata nel gennaio precedente, quando, uscendo dalla chiesa di San Fedele, a Milano, cade battendo la testa. I suoi funerali sono un momento solenne a cui partecipa tutta Milano. Il corteo funebre, attraverso corso Vittorio Emanuele, giunge sino al Cimitero Monumentale e, l'anno dopo, nel primo anniversario della morte, Giuseppe Verdi gli dedica la sua Messa di Requiem, che personalmente dirige la mattina nella chiesa di San Marco e la sera nel teatro alla Scala.

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