Bibbia

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Testo

Bibbia
Il libro sacro dell'ebraismo e del cristianesimo. Accanto a sostanziali identità, le due versioni della Bibbia (dal greco biblía, "libri") presentano importanti differenze: la Bibbia ebraica è formata infatti da 39 libri, originariamente scritti in ebraico, con alcune sezioni in aramaico; la Bibbia cristiana si presenta invece divisa in due parti: l'Antico Testamento e il Nuovo Testamento, composto di 27 libri. Il cosiddetto Antico Testamento dei cattolici è identico alla Bibbia dell'ebraismo, ma comprende sette libri in più e alcuni testi aggiuntivi (vedi tabella Libri della Bibbia); la versione dell'Antico Testamento usata dai protestanti coincide invece con i 39 libri della Bibbia ebraica. I libri e le inserzioni che differiscono nell'edizione cattolica e in quella ebraico-protestante sono denominati apocrifi dai protestanti e libri deuterocanonici dai cattolici. A partire dal Medioevo i libri della Bibbia furono considerati un insieme unitario.
Ordine dei libri
La suddivisione, l'ordine e il numero dei libri differisce nelle versioni ebraica, protestante e cattolica della Bibbia. Quella ebraica si suddivide in tre parti: Torah, o Legge, detta anche libri di Mosè; Nabiim, o Profeti (ulteriormente suddivisi in Anteriori e Posteriori); Ketubim, o Scritti, che comprende tutti gli altri testi.
L'Antico Testamento cristiano suddivide i libri secondo l'argomento: il Pentateuco, che corrisponde alla Torah; i libri storici; i libri poetici e sapienziali; i libri profetici. La versione cattolica e quella protestante dell'Antico Testamento collocano i libri nella medesima sequenza, ma, come è stato osservato, la versione protestante accoglie soltanto i libri che si trovano nella Bibbia ebraica.
Il Nuovo Testamento comprende: i quattro Vangeli; gli Atti degli Apostoli; le lettere di Paolo e di altri autori apostolici; l'Apocalisse (chiamata, nel mondo protestante anglosassone, libro della Rivelazione).
Uso
Considerata Sacra Scrittura e venerata come espressione della rivelazione e della volontà di Dio, la Bibbia viene letta durante tutte le funzioni religiose e i suoi versetti sono all'origine di ogni predica liturgica; è anche occasione di studio e riflessione, sia in ambito pubblico che privato. Il suo linguaggio ha ispirato la preghiera, la liturgia e l'innodia ebraica e cristiana.
Ispirazione biblica
Il cristianesimo delle origini ereditò dall'ebraismo l'autorevolezza delle Scritture, senza mai porla in discussione. Anche se inizialmente non venne proposta alcuna dottrina formale riguardante l'ispirazione delle Scritture, i cristiani in generale ritenevano che la Bibbia fosse depositaria della parola di Dio, comunicata dal suo Spirito, prima attraverso i patriarchi e i profeti, poi attraverso gli apostoli. Non a caso gli autori dei libri del Nuovo Testamento si appellavano all'autorità delle Scritture ebraiche per sostenere le proprie affermazioni su Gesù. Nel corso del XIX secolo, come risposta alla nascita della critica biblica, che spesso pareva mettere in dubbio l'origine divina delle Scritture, si tese ad accentuare la dottrina che riteneva la Bibbia ispirata dallo Spirito Santo e pertanto infallibile. Per spiegare tale dottrina, studiosi e teologi elaborarono diverse teorie che riconfermando il dato della fede ne misero in risalto anche la ineliminabile dimensione storica.
Bibbia e cultura dei popoli
La Bibbia è il libro più diffuso nella storia dell'umanità e ha esercitato un'enorme influenza non soltanto per il carattere sacro che le viene attribuito, ma anche per la ricchissima testimonianza culturale in essa contenuta. La Bibbia ha ispirato la letteratura, l'arte, la musica, la filosofia e la società occidentale, debitrice, nei suoi temi e nelle sue realizzazioni, ai motivi e alle immagini bibliche. Le traduzioni moderne della Bibbia, come la traduzione tedesca di Martin Lutero (completata nel 1534), non solo hanno permeato profondamente la letteratura, ma hanno anche plasmato l'evoluzione della lingua. I popoli slavi hanno gettato le basi della loro cultura attraverso l'opera di traduzione dei libri sacri operata da Cirillo e Metodio, così come simili effetti continuano a essere avvertiti nelle nazioni di recente formazione, dove le traduzioni della Bibbia nell'idioma locale concorrono a formare le tradizioni linguistiche.
L'Antico Testamento
Una singolare continuità e vicinanza lega la tradizione ebraica a quella cristiana. I motivi storici sono noti: la fede cristiana si sviluppò generandosi in ambito giudaico e Gesù di Nazareth, il Cristo della fede cristiana, così come tutti i suoi discepoli, furono ebrei. Su quest'ovvia osservazione storica si innesta tuttavia una più complessa e delicata considerazione teologica. La tradizione cristiana riconobbe infatti in Gesù Cristo il "compimento" delle Scritture, colui che ne rivelava il senso autentico e definitivo. In questa prospettiva il cristianesimo delle origini, pur assumendo ben presto una propria fisionomia, si considerò l'erede delle promesse fatte a Israele rileggendo in chiave cristologica l'immenso patrimonio a cui pure apparteneva. Ne derivò la consapevolezza che con la morte di Gesù e con la sua resurrezione si fosse realizzata la "Nuova Alleanza" tra Dio e l'umanità, apportatrice di grazia e di universale salvezza.
Il termine greco diathéke ("alleanza") venne reso con il latino testamentum e andò a designare sia i libri ebraici sia quelli cristiani, con una importante distinzione che non intese affatto separare i testi: gli scritti dell'ebraismo antico considerati parola di Dio e profezia di Cristo vennero designati come Antico Testamento, mentre gli scritti cristiani ritenuti ispirati dallo Spirito Santo vennero definiti Nuovo Testamento: di qui la classificazione in uso ancora oggi.
La letteratura dell'Antico Testamento
Da un punto di vista letterario, l'Antico Testamento è un'antologia di libri differenti, disomogenea quanto a paternità, data di composizione e genere letterario. Essa è il prodotto di un processo storico e letterario durato secoli, che affonda le sue radici in una tradizione orale che precedette e accompagnò la fissazione dei materiali in raccolte scritte più o meno ampie. Probabilmente intorno al XIII-X secolo a.C. iniziarono infatti ad essere elaborate le prime collezioni, i primi cicli orali di leggende e i primi canti epici che furono alla base dei successivi documenti scritti. Questa tradizione orale non si interruppe quando vennero messi per iscritto i primi testi e continuò a esercitare un influsso costante.
L'ambiente di provenienza e di conservazione delle tradizioni (quello della corte, del culto, delle attività commerciali, del profetismo e così via) generò, mutuandoli anche dall'ambiente e dalle culture circostanti, differenti e molteplici generi letterari riscontrabili poi anche nei vari testi biblici, nel cui ambito si possono distinguere generi letterari in poesia e generi letterari in prosa.
Generi letterari in poesia
La caratteristica inconfondibile che consente di identificare la poesia ebraica è la presenza del cosiddetto "parallelismo dei membri", o stichi, del verso. Il parallelismo è stato definito dal biblista tedesco Otto Eissfeldt come "spartizione di ciascun verso in due, o più raramente in tre, stichi o membri in modo che costituiscano delle variazioni sullo stesso concetto e si trovino così in parallelismo tra loro".
A seconda della modalità di ripetizione si riconoscono: il parallelismo sinonimo, nel quale il secondo membro ripete lo stesso concetto del primo (Salmo 2:4); il parallelismo antitetico, nel quale il secondo membro presenta una negazione che rafforza il concetto espresso nel primo stico (Proverbi 10:1); il parallelismo sintetico, nel quale il secondo stico completa il primo (Salmo 1:1-3); il parallelismo climatico (dal greco klímax, "scala", "gradazione"), nel quale il secondo stico carica il concetto espresso nel primo (Amos 1:8).
Molto difficile risulta determinare il sistema metrico ebraico, basato su una serie regolata di suoni con intensità più o meno forte. Il verso ebraico più comune si presenta come un 3+3, cioè una serie di tre accenti più tre accenti, separati tra loro da una cesura.
Tra i generi poetici riconoscibili nella letteratura ebraica vanno ricordati i canti conviviali, quelli nuziali e di beffa, l'oracolo profetico (Amos 1:3-2:16) e, soprattutto nella più ampia collezione poetica della Bibbia costituita dalla raccolta dei Salmi, gli Inni (canti di lode a Jahvé; Salmo 48), il lamento funebre (Isaia 40:1) e individuale (Salmo 6:6), il salmo di fiducia (Salmo 23) e i salmi sapienziali (Salmo 119).
Generi letterari in prosa
Anche la prosa ebraica, nella quale il periodo tende a essere breve, conosce diversi generi: il discorso (così come appare nel sermone religioso o in quello politico), la preghiera, l'epistola, gli elenchi. Appaiono utilizzati anche i generi letterari narrativi della saga, della leggenda, della storia. Il monoteismo ebraico impedì lo sviluppo di un vero proprio mito e gli accenni che si trovano nella Bibbia risultano purificati da concezioni estranee alla fede di Israele.
La Legge e le raccolte di leggi
Nelle Scritture ebraiche il materiale giuridico è così copioso che gli ebrei attribuirono il termine Torah (Legge) ai primi cinque libri della Bibbia. La legge ha una posizione preponderante nei libri dell'Esodo, del Levitico e dei Numeri. Il traduttore greco della Bibbia denominò il quinto libro Deuteronomio (Seconda legge) perché, anche se riporta essenzialmente le ultime parole e azioni di Mosè, registra tuttavia numerose leggi.
Probabilmente queste norme, dapprima isolate e indipendenti, furono poi riunite in raccolte più ampie, fino a divenire veri e propri codici riconoscibili attraverso l'utilizzo che ne è stato fatto nel testo finale. Ne sono esempi il Libro dell'Alleanza (Esodo 20:22-23:33), il Codice di Santità (Levitico 17-26) e il Codice deuteronomico (Deuteronomio 12-26).
Gli studiosi hanno identificato nel diritto ebraico due filoni principali, l'apodittica e la casuistica. Il diritto apodittico è rappresentato dai Dieci Comandamenti. Le leggi sono affermazioni inequivocabili della volontà di Dio riguardo al comportamento umano e sono compendiate in prescrizioni (positive) o divieti (negative). Le leggi casuistiche vengono invece formulate in due parti: la prima pone una condizione ("Quando un uomo ruba un bue o un montone e poi lo scanna o lo vende..."), la seconda descrive le conseguenze legali ("... darà come indennizzo cinque capi di grosso bestiame per un bue e quattro capi di bestiame minuto per una pecora", Esodo 22:1); esse sono generalmente relative a problemi connessi all'agricoltura o alla vita urbana, e quanto a forma e contenuto somigliano a quelle del Codice di Hammurabi e di altri antichi codici mediorientali.
Scritti apocalittici
L'apocalisse come genere a sé nacque in Israele nel periodo successivo all'esilio, cioè dopo la cattività babilonese degli ebrei (597-538 a.C.). Un'"apocalisse" (dal greco apokálypsis, "rivelazione") svela eventi futuri riferendo dettagliatamente sogni o visioni, avvalendosi di immagini intensamente simboliche e talora bizzarre, che vengono a loro volta spiegate e interpretate. Negli scritti apocalittici generalmente l'epoca contemporanea all'autore è considerata come un periodo in cui i poteri del male si riuniscono per la lotta finale contro Dio, alla quale seguirà una nuova era (vedi Letteratura apocalittica).
Lo sviluppo dell'Antico Testamento
Nati in periodi e luoghi diversi, tutti i libri dell'Antico Testamento presuppongono una lunga storia di trasmissione ed elaborazione avvenuta prima della loro raccolta e canonizzazione. Ebrei e cristiani hanno opinioni diverse riguardo alla paternità e alla data di composizione dei libri e, poiché molti dati storici sono ignoti, le conclusioni al riguardo vengono continuamente riviste alla luce di nuovi metodi e scoperte.
Il Pentateuco
Secondo la tradizione ebraica e cristiana, l'autore del Pentateuco, i primi cinque libri della Bibbia, sarebbe stato Mosè. L'attribuzione sembra originata in parte dal fatto che gli ebrei li definissero i libri "di" Mosè; questo però significava "relativi a" Mosè, come dimostra il fatto che il Deuteronomio, l'ultimo dei cinque libri, narra della sua morte. In realtà i libri sono anonimi e manifestano, a un'attenta analisi lessicale, stilistica e teologica, la presenza di almeno tre distinti autori, appartenenti a epoche e luoghi differenti.
La cosiddetta "ipotesi documentaria" (elaborata per primo dallo storico e filologo tedesco Julius Wellhausen alla fine del XIX secolo) suppone quindi che prima dell'attuale Pentateuco fossero stati elaborati documenti, codici che, originariamente indipendenti, vennero successivamente riunificati e organizzati – attraverso inserzioni, aggiustamenti e selezioni – secondo una prospettiva convergente tale da configurare il prodotto finale.
Le fonti differiscono nel vocabolario, nello stile letterario e nella prospettiva teologica: la più antica è denominata Jahvista (sigla J, dall'uso che viene fatto del nome divino Jahvé) e viene fatta risalire al X o IX secolo a.C. A essa succederebbe la raccolta Eloista (E, dall'uso del nome Eloim per indicare Dio), redatta intorno all'VIII secolo a.C., cui farebbe seguito il Codice Sacerdotale (P, dal tedesco Priesterkodex, per l'importanza attribuita alle leggi del culto e alle occupazioni sacerdotali) risalente al VI o V secolo a.C.
Accanto a queste fonti, che sono riscontrabili soprattutto nei primi quattro libri del Pentateuco, va collocata anche quella del Deuteronomio (D, limitata al libro e a pochi altri brani), risalente alla fine del VII secolo a.C. Chi stilò questi documenti si limitò a raccogliere, organizzare e interpretare le antiche tradizioni orali e scritte. Perlopiù, dunque, i contenuti delle fonti sono molto più antichi delle fonti stesse. Alcuni degli elementi scritti più antichi sono parte di opere poetiche, come il Cantico del Mare (Esodo 15), mentre parte del materiale giuridico deriva, come si diceva, da antichi codici.
La storia deuteronomistica
Si è ormai riconosciuto che i libri di Giosuè, dei Giudici, il primo e il secondo libro di Samuele e il primo e il secondo libro dei Re costituiscono un racconto unico della storia di Israele dai tempi della conquista della Palestina alla monarchia. Il racconto è denominato "storia deuteronomistica" (sigla Dtr) perché, per quanto concerne lo stile letterario e la prospettiva teologica, è simile e si ispira alla teologia presente nel libro del Deuteronomio. Sulla base degli ultimi eventi riportati, si pensa che esso possa essere stato redatto intorno al 560 a.C., durante l'esilio.
L'autore (o gli autori) opera sia come storico, cioè raccogliendo e strutturando le fonti – sia scritte che orali – e utilizzando materiali di varia provenienza, sia come teologo, offrendo una lettura della storia di Israele dominata dall'idea della fedeltà all'Alleanza con Dio, continuamente riaffermata dalla predicazione profetica.
I libri storici
La collezione dei libri cosiddetti storici comprende anche ulteriori opere, che appartengono a epoche e autori differenti. Va segnalata, per importanza ed estensione, l'opera storica del Cronista (che comprende 1-2 Cronache, Esdra e Neemia) e i due libri dei Maccabei.
I libri poetici e sapienziali
È difficile datare o stabilire la paternità della poesia cultuale e sapienziale dell'Antico Testamento, soprattutto perché contiene scarsissime indicazioni storiche. Secondo la tradizione, l'autore dei Salmi sarebbe Davide, ma l'attribuzione si è fondata sulle glosse aggiunte in epoca successiva alla composizione. L'attribuzione dei proverbi a Salomone è da ricondurre alla tradizione della sua grande saggezza. La poesia sapienziale contiene alcuni materiali antichi, ma anche più recenti composizioni, quali l'Ecclesiaste e il Siracide.
I libri profetici
Forse nessuno dei libri profetici è interamente attribuibile a chi con il suo nome gli dà il titolo; inoltre, in molti casi persino le parole originali del profeta furono riferite da altri: ne è un esempio la storia di Baruc, lo scriba discepolo di Geremia (Geremia 36 e Isaia 8:16), che riferì nel libro che porta il suo nome le parole del maestro.
Il canone
La Bibbia ebraica e la versione cristiana dell'Antico Testamento furono canonizzate in epoche e luoghi differenti, ma lo sviluppo del canone cristiano ha sempre come riferimento la Scrittura ebraica.
Il canone ebraico
La Bibbia ebraica divenne testo sacro in tre fasi, che corrispondono alle tre sezioni del canone ebraico: Legge, Profeti e Scritti. Esistono prove evidenti del fatto che la Torah (Legge) divenne testo sacro tra la fine dell'esilio babilonese (538 a.C.) e la separazione dei samaritani dal giudaismo, probabilmente intorno al 300 a.C. I samaritani infatti riconoscevano come propria Bibbia solo la Torah. La seconda fase coincide con la canonizzazione dei Nebiim (Profeti). Per quanto riguarda la raccolta rappresentata dai "profeti anteriori", che sostanzialmente coincide con i materiali rielaborati dalla scuola deuteronomistica, è possibile indicare come data di chiusura il VI secolo a.C. mentre, per i "profeti posteriori", la chiusura della raccolta è riconducibile al III secolo a.C., non molto prima del 200 a.C. Il contenuto della terza sezione, Ketubim (Scritture), rimase variabile fin dopo la caduta di Gerusalemme sotto l'impero romano, nel 70 d.C. Alla fine del I secolo d.C. le autorità religiose ebraiche le avevano conferito una veste definitiva.
Il canone cristiano
L'attuale versione dell'Antico Testamento ebbe origine da una traduzione in greco degli antichi libri ebraici nota come Bibbia dei Settanta poiché, secondo la tradizione, fu portata a termine da 72 studiosi ebrei per il re Tolomeo II Filadelfo. Il processo di traduzione dall'ebraico in greco ebbe inizio nel II secolo a.C. fuori della Palestina, perché le comunità ebraiche necessitavano delle Scritture nella lingua della loro nuova cultura e la versione dei Settanta venne realizzata in ambiente alessandrino tra il II e il I secolo a.C. Anche alcune opere particolari furono espressione proprio di questo giudaismo di lingua e cultura greca e considerate sacre presso queste comunità (Sapienza; Siracide). Ne derivò che alla fine del I secolo d.C. esistevano due versioni delle Sacre Scritture ebraiche: quella palestinese, che era quella ufficiale, più ridotta, e quella alessandrina, cioè la versione dei Settanta che conteneva inoltre alcuni libri non riconosciuti ispirati dagli ebrei di Palestina. Quando si diffuse il cristianesimo, soprattutto tra le comunità ebraiche ellenistiche, venne adottato l'elenco dei libri sacri presente in ambiente alessandrino e i cristiani ne recepirono l'estensione.
Testi e versioni antiche
Tutti i traduttori contemporanei della Bibbia cercano di recuperare la versione più antica del testo, o almeno quella che si presume più prossima all'originale; non esistono copie originali o autografe, bensì centinaia di manoscritti differenti che presentano numerose varianti. Di conseguenza, qualsiasi tentativo di stabilire la versione più attendibile di un libro o versetto deve basarsi su un lavoro meticoloso e sul confronto con l'opera di altri studiosi. Il lavoro critico si scontra con numerose difficoltà di ordine letterario e storico, basti pensare che, se escludiamo gli eccezionali ritrovamenti di Qumran risalenti al I secolo, il più antico codice della Bibbia ebraica completa è il Codex Leningradensis che risale all'anno 1008, e anche per collezioni incomplete non è possibile andare oltre il IX secolo.
Testi masoretici
L'ebraico è una lingua con una scrittura consonantica. Il testo consonantico della Bibbia venne completato alla fine del I secolo d.C. e su questa base si innestò il lavoro redazionale dei "masoreti". Questi eruditi ebrei, con un'opera paziente e tenace, scegliendo tra lezioni e varianti testuali, introdussero un'ortografia unitaria e vocalizzarono le parole fissandone pronuncia e significato. Questo lavoro, iniziato intorno al V secolo, definì un testo che venne poi sempre ricopiato con la massima cura e tramandato nei secoli.
Esistono tuttora, comunque, manoscritti ebraici ancora più antichi, masoretici e non, di singoli libri. Alcuni, risalenti al VI secolo, furono scoperti solo alla fine del XIX secolo nella genizah (la stanza dove sono raccolti i manoscritti) della sinagoga del Cairo e, come si ricordava in precedenza, a partire dal 1947, nella regione del Mar Morto furono rinvenuti numerosi manoscritti e frammenti risalenti, per quanto riguarda il testo biblico, al I secolo d.C.
La Bibbia dei Settanta e altre versioni greche
Le versioni più importanti e apprezzabili della Bibbia ebraica sono le traduzioni in greco. In alcuni casi le versioni greche sono addirittura migliori di quelle ebraiche, perché basate su testi ebraici più antichi di quelli che oggi abbiamo a disposizione. Numerosi manoscritti greci sono molto più antichi del manoscritto dell'intera Bibbia ebraica, e furono inseriti nelle copie della Bibbia cristiana completa che risalgono al IV e al V secolo. I più importanti sono il Codice Vaticano (nella Biblioteca Vaticana), il Codice Sinaitico e il Codice Alessandrino (entrambi al British Museum).
La versione greca più importante è la già menzionata Bibbia dei Settanta. Vennero eseguite numerose altre traduzioni greche, la maggior parte delle quali sopravvive solo in forma di frammenti o citazioni da parte degli antichi padri della Chiesa e di altri scrittori. Tra queste ricordiamo le versioni, redatte tra il II e il IV secolo, di Aquila Pontico, Simmaco, Teodozione e Luciano di Antiochia. Il teologo cristiano del III secolo Origene studiò i problemi inerenti a queste diverse versioni e preparò un'edizione critica, detta Hexapla perché presentava in sei (greco, héx) colonne parallele il testo ebraico, il testo ebraico traslitterato in greco, Aquila Pontico, Simmaco, i Settanta e Teodozione.
Peshitta, Vetus latina, Vulgata e Targum
Tra le altre versioni ricordiamo la cosiddetta Peshitta, o Bibbia siriaca, la cui traduzione cominciò forse già nel I secolo d.C.; quella in latino, detta Vetus latina, probabilmente tradotta non dall'ebraico, ma dalla Bibbia dei Settanta nel II secolo; la Vulgata, tradotta in latino dall'ebraico da san Gerolamo alla fine del IV secolo. Vanno ricordate anche le parafrasi aramaiche dette Targum. Per quanto riguarda l'ebraismo, quando l'aramaico sostituì l'ebraico nell'uso quotidiano, divennero necessarie traduzioni, che dapprima accompagnarono la lettura orale delle Scritture nella sinagoga, e in seguito vennero scritte. I Targum non erano traduzioni letterali, ma parafrasi o interpretazioni dell'originale.
Antico Testamento e storia
In ogni sua pagina, l'Antico Testamento richiama l'attenzione sulla realtà e l'importanza della storia. La storia di Israele si presenta organizzata in una serie di eventi o periodi cruciali: l'esodo (con le vicende che si protraggono dall'epoca dei patriarchi alla conquista di Canaan), la monarchia, l'esilio babilonese e il ritorno in Palestina con la restaurazione delle istituzioni religiose. In tutti questi eventi Israele espresse la consapevolezza di partecipare a una vicenda che riguardava il suo rapporto con Dio e i testi che compongono la Bibbia ne sono la più viva rappresentazione.
Storia e interpretazione
Gli autori biblici, così sensibili alla storia, non operarono però secondo gli attuali criteri di ricerca storica. Essi infatti ignorarono la distinzione "scientifica", moderna e contemporanea, tra fatti e interpretazione. Proposero invece una lettura "impegnata" dei fatti, guidata da una precisa prospettiva teologica poco preoccupata di assecondare la nostra sensibilità critica e indirizzata a scopi molteplici e differenti.
Non tutti i testi, naturalmente, si configurano allo stesso modo: sussistono notevoli differenze tra i racconti della Genesi e dell'Esodo e quelli del Deuteronomista o del Cronista. Tuttavia l'orizzonte di fondo rimane il medesimo: celebrare la misteriosa, libera e potente presenza di Jahvé nella storia di un popolo e dell'intera umanità. Lo storico che si avvicini oggi ai testi biblici, ma anche il credente, dovrà quindi situare racconti, testimonianze, vicende e personaggi nell'adeguato contesto di appartenenza, al di fuori del quale ogni operazione critica rischia di presentarsi astratta o pretestuosa. E, d'altro canto, nemmeno lo storico di oggi opera senza presupposti e precomprensioni (vedi Ermeneutica).
Sotto il profilo storico bisognerà comunque ricordare che, a parte pochissime testimonianze extrabibliche, come la stele del faraone Marneptah (XIII secolo a.C.) o la stele di Mesha re di Moab (IX secolo), vere e proprie attestazioni storiche, presenti in fonti orientali antiche e riguardanti un popolo identificabile con quello di Israele, provengono tutte a partire dall'epoca monarchica. È ormai anche assodato che una vera e propria letteratura in Israele sorse solo in epoca monarchica e le antiche tradizioni, nelle quali Israele si riconobbe come popolo e che formarono la sua identità, vennero fissate in raccolte scritte solo a partire da quest'epoca. Le narrazioni a carattere familiare e tribale che costituiscono i cicli dei Patriarchi nel libro della Genesi divennero la preistoria di Israele e solo con le storie ambientate in Egitto si presentò in forma collettiva la vicenda che intendeva legittimare un popolo e una monarchia.
L'esodo e l'insediamento in Canaan
Un'analisi attenta dei documenti biblici e un utilizzo ponderato delle prove archeologiche indicano come data dell'esodo dall'Egitto la seconda metà del XIII secolo a.C., ma non ne conosciamo il percorso. Non tutto Israele lo avrebbe compiuto, ma forse solo le tribù di Giuseppe e Beniamino. Il libro di Giosuè e quello dei Giudici (1-2) presentano due versioni diverse dell'ingresso di Israele in terra di Canaan. Nel primo (1-12) si parla di un'improvvisa conquista da parte degli israeliti sotto la guida di Giosuè, mentre il secondo (1-2) e altre tradizioni sostengono che alcune tribù penetrarono gradualmente nel paese e che trascorsero decenni, per non dire secoli, prima che Israele ne annettesse il territorio. Nei due secoli successivi al 1200 a.C. le singole tribù pervennero a una lunga e difficoltosa unificazione, sotto il nome di Israele.
La monarchia
La monarchia nacque nell'XI secolo a.C. per rispondere alla minaccia esterna rappresentata dai filistei, che occupavano cinque città sulla pianura costiera. Saul unì le tribù e istituì una monarchia, ma venne ucciso assieme al figlio Gionata durante una battaglia contro i filistei. Divenne allora re Davide, prima della zona meridionale del paese e poi dell'intera nazione; spettò a lui porre per sempre fine alla minaccia filistea e dar vita a un regno fiorente e stabile, benché non esente da conflitti interni in merito alla reggenza. Gli succedette il figlio Salomone, che si circondò di una corte simile a quella di altri monarchi orientali e costruì una reggia e il grande tempio di Gerusalemme.
I regni di Israele e di Giuda
Dopo la morte di Salomone le tensioni centrifughe presenti nella compagine di Israele si scatenarono e, a riprova della precaria coesistenza di gruppi in origine distinti, le tribù settentrionali si ribellarono. I due regni di Israele, a nord, e Giuda, a sud, non tornarono più uniti e spesso entrarono in conflitto. L'epoca delle due monarchie divise fu contrassegnata da minacce da parte di assiri, aramei e babilonesi. Israele, con capitale in Samaria, cadde sotto l'esercito assiro nel 722-721 a.C., la popolazione venne deportata e in sua vece si stabilirono stranieri. Giuda subì due umiliazioni per mano dei babilonesi: la resa di Gerusalemme nel 597 a.C. e la sua distruzione nel 587; in entrambe le occasioni, i prigionieri furono deportati a Babilonia. Il disastro dell'esilio venne preannunciato e interpretato dai profeti come punizione divina, ma l'esperienza indusse gli israeliti a meditare sull'elezione divina del loro popolo e a riconsiderare le antiche tradizioni.
Il periodo postesilico
Il popolo prigioniero poté lasciare Babilonia nel 538 a.C., quando il re persiano Ciro espugnò la città. Nell'epoca successiva all'esilio, con il ripristino delle istituzioni e la ricostruzione del tempio, vennero nominati alla guida delle tribù Esdra e Neemia. Giuda divenne una provincia dell'impero persiano e il popolo godette di una relativa autonomia, soprattutto in materia religiosa. Il popolo ebraico mantenne viva la propria identità nazionale nel corso della dominazione successiva alle conquiste di Alessandro Magno (morto nel 323 a.C), durante le monarchie ellenistiche dei Lagidi e dei Seleucidi, che provocarono la rivolta maccabaica (vedi Maccabei, II secolo a.C.), e durante il dominio romano in Palestina (63 a.C.). Dopo la rivoluzione fallita del 70 d.C., che provocò la distruzione di Gerusalemme, la vita mutò drammaticamente.
Tematiche teologiche dell'Antico Testamento
Le tematiche teologiche dell'Antico Testamento sono articolate, complesse e molteplici. Dalle Scritture non è possibile ricavare un'univoca teologia perché esse sono il frutto dell'opera composita di molti individui e gruppi nel corso di numerosi secoli e riflettono non solo l'evoluzione del pensiero teologico, ma anche divergenze d'opinione: in più di un'occasione i profeti sfidarono le opinioni dei sacerdoti. Rimane comunque indiscutibile che le differenti prospettive rappresentino un orientamento comune, una medesima direzione d'insieme, una medesima e coerente prospettiva di fede.
Il Dio di Israele
Il tema teologico più evidente dell'Antico Testamento, e anche il più diffuso e il più importante, è quello che si raccoglie intorno all'affermazione che Jahvé è il Dio di Israele, e che con il suo Dio Israele intrattiene un rapporto assolutamente speciale. Sarebbe tuttavia fuorviante identificare immediatamente questo tema con quello del monoteismo, un termine troppo astratto per i testi considerati; in quasi tutti, tranne gli ultimi, si parla di altri dei, anche se, in ogni caso, Israele deve restare fedele a un unico Dio, ritenuto il Creatore della Terra, il Signore che agisce nella storia per salvare e giudicare, onnipotente e tuttavia premuroso verso il suo popolo, che si manifesta attraverso la legge, negli eventi e attraverso i profeti e i sacerdoti. La critica profetica all'idolatria concorrerà però a generare anche l'idea più propriamente monoteistica.
Alleanza e legge
Altri due temi fondamentali dell'Antico Testamento, il patto e la legge, sono strettamente legati. Il patto è l'Alleanza stretta tra Jahvé e Israele sul Sinai ed è un accordo suggellato da un giuramento. Con il patto Jahvé elegge Israele come suo popolo, come "popolo eletto". La formula più semplice del patto è la frase: "Io vi prenderò come mio popolo e diventerò il vostro Dio" (Esodo 6:7). La legge sarebbe da intendere come parte dell'Alleanza, come strumento attraverso il quale Israele sarebbe divenuto e rimasto il "popolo di Dio". La legge regolamenta il comportamento rispetto agli altri esseri umani e le pratiche religiose, ma non offre una serie completa di prescrizioni morali: sembra piuttosto stabilire i limiti che il popolo non può oltrepassare per non rompere il patto.
L'uomo davanti a Dio
L'Antico Testamento sottolinea il ruolo dell'essere umano nella comunità, importantissimo per il popolo dell'Alleanza. Nell'Antico Testamento, l'essere umano è considerato "immagine di Dio" e, complessivamente, come un dono di Dio, destinato ad avere con lui una relazione intensa e ricca nella propria esistenza storica. L'idea di una vita dopo la morte o della resurrezione compaiono raramente e solo più tardi nel pensiero israelita. Un altro tema basilare è che Jahvé è un Dio giusto che si aspetta dal suo popolo giustizia e onestà, cioè imparzialità nelle questioni umane, protezione dei deboli e creazione di istituzioni ispirate alla giustizia.
Il Nuovo Testamento
Il Nuovo Testamento si compone di 27 documenti, redatti tra il 50 e la fine del I o gli inizi del II secolo d.C., riguardanti la fede e la morale delle comunità cristiane appartenenti all'area del Mediterraneo, nella quale si diffuse il messaggio di Cristo a opera di numerosi e intrepidi missionari. I testi ci sono pervenuti tutti in greco, la lingua in cui probabilmente furono anche composti.
Manoscritti
Esistono circa 5000 manoscritti greci, completi, parziali o frammentari, del Nuovo Testamento, e sono tutti copie di originali non pervenutici. Il più antico è probabilmente un frammento su papiro del Vangelo di Giovanni (papiro di Ryland), databile intorno al 120-140. Le somiglianze tra i manoscritti sono notevoli, se si tiene conto che furono composti in momenti e luoghi differenti e che le loro origini, i metodi e i materiali di scrittura sono eterogenei. Le differenze riguardano errori, omissioni, inserzioni, terminologia e struttura verbale. Le edizioni critiche del Nuovo Testamento greco cominciarono ad apparire con una certa regolarità dopo l'opera del grande umanista olandese Erasmo da Rotterdam, nel XVI secolo.
La letteratura cristiana antica
I 27 libri del Nuovo Testamento sono solo una parte della produzione letteraria delle comunità cristiane dei primi secoli. I principali generi del Nuovo Testamento (vangeli, atti, lettere, apocalisse) furono oggetto di numerose imitazioni e i nomi degli apostoli o di altre figure guida furono attribuiti a scritti che intendevano colmare il silenzio del Nuovo Testamento su alcuni temi (ad esempio, la fanciullezza e la giovinezza di Gesù) o soddisfare la sete di miracoli. Molti di questi scritti cristiani non canonici sono stati raccolti e pubblicati come Apocrifi del Nuovo Testamento.
Nel 1945 a Nag Hammadi, in Egitto, è stata scoperta la biblioteca di un gruppo di eretici cristiani, gli gnostici, che conteneva raccolte di documenti stilati in lingua copta. L'attenzione degli studiosi si è concentrata soprattutto sul Vangelo di Tommaso che dichiara di contenere i detti, 114 in tutto, trasmessi privatamente da Gesù a san Tommaso, uno dei dodici apostoli. La struttura della raccolta sembra richiamare da vicino quelle fonti pre-evangeliche che circolavano nelle comunità cristiane prima e accanto ai vangeli e che furono utilizzate dagli evangelisti nella redazione delle proprie opere (vedi Detti di Gesù).
Il canone del Nuovo Testamento
Il processo che portò la Chiesa alla definizione di un elenco di scritti considerati ispirati e in continuità con le scritture ebraiche fu lungo, complesso e non univoco. Per Gesù e i suoi seguaci, Legge, Profeti e Scritti dell'ebraismo erano indiscutibilmente "Sacre Scritture". L'interpretazione di questi scritti fu comunque orientata alla luce dell'opera, delle parole e della persona di Gesù, quale lo consideravano i suoi discepoli. Gli apostoli, che custodirono le parole e gli atti di Gesù e proseguirono la sua missione, godevano di speciale autorità: venne così a formarsi una pratica cultuale fondata sulle parole del Signore (tramandate nei "vangeli") e su quelle degli apostoli. Sembra che i primi tentativi di stabilire un canone siano stati compiuti intorno al 150 dall'eretico Marcione, il cui elenco, rispondente ai criteri della sua teologia, comprendeva il Vangelo secondo Luca e dieci lettere paoline (rimangono escluse le "lettere pastorali", cioè 1-2 Timoteo, Tito e la lettera agli Ebrei). È possibile che l'opposizione a Marcione abbia accelerato gli sforzi verso la creazione di un canone universalmente accettato.
Sembra che verso il 200, venti dei 27 libri del Nuovo Testamento godessero di una generale autorità, anche se esistevano preferenze locali e alcune differenze tra la Chiesa orientale e quella occidentale. La XXXIX lettera festale di sant'Atanasio, vescovo di Alessandria, inviata alle Chiese poste sotto la sua giurisdizione nel 367, pose fine a qualsiasi incertezza riguardo ai limiti del canone del Nuovo Testamento. Vi si indicano come canonici i 27 libri che costituiscono il Nuovo Testamento, benché disposti in un ordine diverso dall'attuale, che è: i quattro Vangeli (Matteo, Marco, Luca, Giovanni), gli Atti degli Apostoli, le Lettere di san Paolo (ai Romani, I e II ai Corinzi, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi, I e II ai Tessalonicesi, I e II a Timoteo, a Tito, a Filemone, agli Ebrei), le lettere di Giacomo, di Pietro (I e II), di Giovanni (I, II e III), di Giuda e l'Apocalisse di Giovanni. Dalla seconda metà del V secolo si manifestò un consenso pressoché unanime sui 27 scritti del Nuovo Testamento.
Versioni antiche
Il Nuovo Testamento è stato scritto in greco. Per questo, investigando le modalità di trasmissione del testo e l'istituzione del canone, si trascurano normalmente le versioni in altre lingue, alcune delle quali più antiche dei codici greci superstiti. La rapida diffusione del cristianesimo nelle regioni in cui non si parlava il greco richiese traduzioni in siriaco, latino, copto, gotico, armeno, georgiano, etiopico e arabo. Le versioni siriaca e latina esistevano già nel II secolo e la traduzione copta apparve nel III secolo. Queste antiche versioni non erano traduzioni ufficiali, quindi nel corso del IV e del V secolo si tentò di sostituirle con traduzioni più canoniche. Nel 382 papa Damaso I commissionò a san Gerolamo la traduzione in latino della Bibbia nota come Vulgata. Nel V secolo la versione siriaca detta Peshitta (Semplice) sostituì le versioni popolari siriache in uso in quel periodo.
La letteratura del Nuovo Testamento
Da un punto di vista letterario, i documenti del Nuovo Testamento corrispondono a quattro generi: vangelo, atti, lettera e apocalisse. Dei quattro, solo il vangelo rappresenta un genere letterario nato nella comunità cristiana.
I Vangeli
Pur avendo talvolta le sembianze delle biografie degli eroi, umani e divini, del mondo greco-romano, il vangelo non è una biografia, ma intende presentarsi come testimonianza di fede. A differenza delle coeve biografie ellenistiche e delle raccolte di detti e storie della memorialistica antica, i vangeli mostrano poco interesse allo sviluppo del "personaggio" né si preoccupano di circostanziare puntualmente o di collegare precisamente i momenti della vita di Gesù. La prospettiva evangelica appare quindi sostanzialmente poco "letteraria", concentrandosi invece attorno all'obiettivo di suscitare e fortificare la fede in Gesù, il Cristo di Dio. Per quanto innegabili (e perfino comprensibili ) appaiano le differenze tra i quattro vangeli e in particolare tra i Sinottici e Giovanni, comune appare il quadro di fondo narrativo: la vicenda di Gesù e la sua predicazione pubblica si svolge tra il momento del suo battesimo a opera di Giovanni Battista e i giorni decisivi della sua passione e morte.
Il testo di Marco pone per primo il collegamento tra confessione di fede e narrazione dell'annuncio di salvezza (1:1 "Inizio del vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio") e questo consente di mettere in rilievo una dimensione peculiare del genere "evangelo": l'annuncio di fede avviene nella forma di una narrazione storica. Questo significa che ciò che viene raccontato è pur sempre espressione della fede, a essa indissolubilmente legato. Ma l'improbabile o estremamente difficile delineazione di una "vita di Gesù" in senso proprio (problema che tormentò la ricerca cristologica e storica dalla fine del XVIII agli inizi del XX secolo), non consente in alcun modo di trascurare il carattere storicamente situabile della fede in Gesù, esperienza collocata entro precise coordinate spazio-temporali. La parola evangelica risulta così estendersi oltre i confini determinati dalla sua epoca di provenienza, divenendo annuncio eterno di Cristo alle comunità cristiane di ieri e di oggi.
Atti
Anche nel caso degli Atti degli Apostoli i parallelismi con la letteratura ellenistica a essi contemporanea si rivelano solo di superficie. Benché possano essere a prima vista avvicinati agli esempi costituiti dai praxeis (atti di personaggi importanti; res gestae) dell'epoca e per questo forse successivamente denominati "acta apostolorum", il testo è in realtà da mettere in continuità con la prima parte dell'opera di Luca, cioè il vangelo. Il connubio Vangelo-Atti costituisce così un'unica opera della quale gli Atti rappresentano il momento di propulsione all'esterno, dopo la fase originaria palestinese. Protagonista delle vicende narrate da Luca non sono infatti né Pietro né Paolo, ma la Parola di Dio che si diffonde da Gerusalemme a Roma. Una volta raggiunto il cuore dell'impero romano gli Atti bruscamente si chiudono, non fornendo ragguagli ulteriori su alcun apostolo.
Lettere
Dei 27 scritti del Nuovo Testamento 21 sono lettere, 14 delle quali attribuite al solo Paolo. Esse risultano indirizzate a comunità o a personaggi con incarichi pastorali. Il formulario neotestamentario si rifà a quello ellenistico e presenta questo schema: nome del mittente, nome del destinatario, formula di saluto, ringraziamento a Dio, corpus della lettera con argomenti e temi trattati, saluti e benedizione finali.
Apocalisse
Lo scritto attribuito a Giovanni (vedi Apocalisse di Giovanni e Apocalittica), attraverso un ampio apparato allegorico e simbolico identifica nell'evento di Gesù e nella sua passione, morte e resurrezione il senso ultimo della storia. Egli diviene così l'Agnello il cui sangue ha redento l'umanità e che sconfiggerà definitivamente, nel "giorno" della sua definitiva venuta, il prevalere del male e del peccato.
Forme letterarie
Il materiale tradizionale rielaborato negli scritti del Nuovo Testamento si presenta in molteplici "forme" letterarie (vedi Critica biblica). Nei vangeli, all'interno della più ampia categoria dei detti troviamo: detti profetici (sulla vicinanza del Regno di Dio: Luca 12:32), detti sapienziali (che ricalcano i moduli espressivi della letteratura sapienziale giudaica, come i proverbi: Marco 6:4), precetti (Matteo 7:6; Marco 10:11), parabole, i cosiddetti detti-Io (nei quali Gesù esprime un'alta consapevolezza del ruolo svolto nell'annuncio della salvezza: Luca 12:49). All'interno del materiale narrativo riscontriamo: paradigmi (brevi narrazioni che servivano forse come esempi nella predicazione: Marco 2:1-12), dispute (Marco 11:27-33), racconti di miracoli, narrazioni storiche (Marco 6:17-29) e la narrazione della passione (presente come racconto unitario già nella tradizione evangelica).
Anche le lettere manifestano la presenza di un patrimonio di tradizioni che si raccoglie in molteplici forme: nell'ampio materiale liturgico sono identificabili inni (Filippesi 2:6-11; Colossesi 1:15-20), confessioni (1Corinti 15:3-5), testi eucaristici (1Corinti 11:23-25). La forma della parenesi cristiana (cioè del discorso di esortazione, di ammonizione) è spesso recepita dall'ambiente giudaico ed ellenistico. Troviamo: cataloghi di virtù e vizi (diffusi prima nella filosofia popolare cinico-stoica e passati poi nel giudaismo: Romani 1:29.31), precetti per la famiglia (Efesini 5:22-6:9), cataloghi di doveri (1Timoteo 3:1-7).
È possibile infine riscontrare in quelle brevi espressioni che possono essere definite "formule": l'omologia (acclamazione e confessione della fede in Gesù: 1Corinti 8:6), la formula di fede (che esprime l'avvenimento salvifico passato: Romani 10:9) e la dossologia (brevi frasi di lode e di celebrazione di Dio originatesi nel contesto della liturgia cristiana: 2Corinti 1:3).
Nuovo Testamento e storia
Come è stato ripetutamente osservato, il Nuovo Testamento non prescinde dalla realtà storica; i suoi documenti si concentrano anzi su una figura storica, Gesù di Nazareth, ed evidenziano i problemi e le difficoltà incontrate dai suoi discepoli nella predicazione del vangelo, sia all'interno del giudaismo sia in ambito ellenistico-romano.
Cenni sulla cronologia neotestamentaria
Varie sono le difficoltà che si incontrano nella ricostruzione storica del periodo sulla base delle fonti del Nuovo Testamento. Innanzitutto, i documenti sono strutturati teologicamente e non cronologicamente. I Vangeli sono collocati all'inizio perché raccontano la storia di Gesù, ma vennero scritti tra il 70 e la fine del I secolo, circa 40 anni dopo la sua morte. Anche gli Atti degli Apostoli risalgono allo stesso periodo. Le lettere di Paolo sono invece anteriori (50-60) perché vennero scritte nel periodo in cui Paolo era impegnato nell'opera missionaria. I libri rimanenti, che possono risalire alla fine del I secolo o anche agli inizi del II, illustrano le condizioni della Chiesa nel periodo postapostolico.
In generale, i libri non sembrano interessati alla storia come processo cronologico, e sono una raccolta di testi scritti da sostenitori della fede cristiana e conservati a scopo di culto, preghiera e insegnamento. Gli studiosi sono però arrivati a concordare una cronologia approssimativa: i principali punti di riferimento sono forniti da Luca e dagli Atti. Nel Vangelo di Luca si dichiara che Gesù cominciò la sua missione nel XV anno dell'impero di Tiberio (Luca 3:1) e cioè nel 28-29. Secondo tutti e quattro i Vangeli Gesù fu crocifisso quando Ponzio Pilato era governatore di Giudea (26-36). La missione di Gesù si protrasse dal 29 al 30, per chi sostiene che durò un anno, o dal 29 al 33, per chi sostiene che durò tre o quattro anni.
I racconti dell'infanzia
Si sa ben poco di Gesù prima della sua missione pubblica. Era di Nazareth di Galilea, benché sia Luca che Matteo sostengano che nacque a Betlemme di Giudea, patria ancestrale di re Davide. Solo i Vangeli di Luca e di Matteo contengono storie sulla nascita e l'infanzia di Cristo, e differiscono in molti dettagli.
Gli apostoli e la Chiesa delle origini
Dopo la missione di Gesù descritta nei quattro Vangeli, l'iniziativa religiosa passò sotto la guida degli apostoli, tre dei quali vengono menzionati come coloro che proseguirono la missione: Giacomo, ucciso da Erode Agrippa I poco prima del 44, anno in cui lo stesso Erode morì; Giovanni, suo fratello, che pare abbia vissuto a lungo (Giovanni 21:20-24); Pietro, che oltre a essere annoverato tra i primi capi della Chiesa di Gerusalemme compì anche molti viaggi missionari e, secondo la tradizione, fu martirizzato a Roma sotto Nerone. Negli Atti degli Apostoli grande attenzione è dedicata a Paolo, un ebreo di Tarso che si convertì al cristianesimo vicino a Damasco, intorno al 33-35. Dopo quattordici anni, Paolo cominciò a scrivere le sue lettere e a viaggiare come missionario in Siria, Galazia, Asia Minore, Macedonia, Grecia. Sembra che sia morto a Roma durante le persecuzioni contro i cristiani volute da Nerone.
I restanti libri del Nuovo Testamento forniscono scarse informazioni storiche e nessun elemento per una datazione precisa e sembrano presentare una situazione nella quale gli antichi entusiasmi e le aspettative di un ritorno finale di Cristo per porre fine alla storia sono assopiti e l'esigenza di conservare, proteggere e istituzionalizzare risulta evidente.
Principali temi del Nuovo Testamento
Come già nell'Antico Testamento, il Nuovo Testamento presenta una straordinaria ricchezza e varietà di temi teologici: tra i soggetti principali del discorso neotestamentario trovano ovviamente spazio di grande rilievo quelli relativi alle persone della Trinità e alle direttive morali del cristiano.
Dio
La continuità fra il Nuovo e l'Antico Testamento è rappresentata innanzitutto dagli insegnamenti riguardanti Dio. Il Dio del Nuovo Testamento crea la vita e regge l'universo. Quest'unico Dio, origine e fine di tutte le cose, va incontro con amore all'umanità intera, trattando con giustizia e misericordia chi lo accoglie, perdonando i peccatori e chiamando tutti al banchetto della salvezza. Le parole, le azioni e la persona stessa di Gesù manifestano la realtà di Dio come abbà, il tenero padre che aspetta il figliol prodigo e fa festa per il suo ritorno.
Gesù
Il Nuovo Testamento presenta Gesù attraverso appellativi, descrizioni della sua persona e resoconti sulle sue parole e azioni. Nel contesto ebraico, l'Antico Testamento offre espressioni e immagini che gli scrittori del Nuovo utilizzeranno per esprimere cosa significasse Gesù Cristo per i suoi discepoli. La cultura ellenistica fornì altre strutture concettuali ed espressive: un essere divino preesistente abbassatosi alla dimensione umana e sceso sulla Terra a compiere la sua opera e poi tornato nella gloria dei cieli, l'eterno mediatore della creazione e della redenzione, la figura cosmica che raccoglie intorno a sé tutta la creazione in un unico corpo armonioso.
I Vangeli presentano Gesù come manifestazione storica della realtà stessa di Dio. Le sue parole rivelano Dio, le sue azioni dimostrano il potere salvifico di Dio che conferisce integrità fisica, mentale e spirituale; i suoi patimenti e la sua morte testimoniano dell'amore incondizionato di Dio; la sua resurrezione è il segno definitivo dell'approvazione di Gesù e dell'umanità nuova libera dal peccato. San Pietro e altri introdussero la nozione della morte di Gesù come sacrificio ed espiazione del peccato e della sua resurrezione come garanzia della resurrezione dei suoi discepoli. Documenti scritti durante le persecuzioni (I lettera di Pietro, Apocalisse) interpretavano il patimento di Gesù come il modello per i cristiani nell'ora del martirio.
Lo Spirito Santo
Alcuni profeti di Israele avevano descritto gli "ultimi giorni" come l'epoca in cui Dio avrebbe riversato il suo spirito sull'umanità intera. Il Nuovo Testamento afferma che la promessa è stata adempiuta nell'evento di Gesù. Il termine "Spirito di Dio" è usato in tutto il Nuovo Testamento; viene anche chiamato Spirito, Spirito Santo, Consolatore, Spirito di Cristo o Spirito di Carità. Lo Spirito conferì autorità a Gesù e permise alla Chiesa di continuare sulla traccia del suo insegnamento nella consapevolezza che lo Spirito rimandasse a Gesù, ne fosse, cioè, la sua presenza nella vita della Chiesa. Nel singolo discepolo lo Spirito venne poi visto operare come colui che infondeva le qualità adatte alla vita credente e lo addestrava a operare e a servire per il bene della comunità. La categoria teologica dello "Spirito" fu soggetta a una vasta gamma di interpretazioni e risultò problematica nelle discussioni teologiche di molte Chiese. Il Nuovo Testamento riflette lo sforzo di rinvenire criteri chiari per determinare se una comunità o una persona fossero realmente influenzati dallo Spirito Santo.
Etica
In attesa della venuta del Regno di Dio, i fedeli in Cristo, sostenuti dalla grazia di Cristo, si sentirono impegnati a realizzare individualmente e collettivamente la riconciliazione donata da Cristo. Questo aspetto morale, conseguente alla fede, presente nel Nuovo Testamento è, in parte, un'eredità dell'Antico. La Legge, i Profeti e le Scritture hanno insistito sull'inseparabile rapporto tra credo religioso e comportamento morale ed etico (vedi Etica), e il Nuovo Testamento lo ha ribadito, fornendo insegnamenti riguardanti questa vita non solo sul piano spirituale e sul rapporto con Dio, ma nelle relazioni sociali. Sono norme tratte dall'Antico Testamento, dalle parole e dall'esempio di Gesù, dai dettami apostolici, ma anche dalle cosiddette leggi della natura, dai compiti domestici e dagli ideali di alcune correnti del pensiero classico.

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