Confucianesimo

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CONFUCIANESIMO

Il termine cinese, che si è soliti tradurre come confucianesimo, ossia ju chia, non contiene, a dire il vero, riferimento alcuno al nome di Confucio, ma significa, a un dipresso, “comunità degli uomini colti”, “comunità dei letterati”. Esso ha quindi un'accezione più ampia e indeterminata del termine “confucianesimo”. I ju erano invece semplicemente coloro che condividevano una concezione della vita in cui la cultura e l'impegno politico-amministrativo avevano un'importanza preminente. Il termine dovrebbe far pensare al sophos greco, al clericus medievale, al philosophe francese piuttosto che evocare l'idea dell'uniformità di concezioni filosofiche come avviene quando diciamo, per es., aristotelico, hegeliano, crociano, ecc. Questo spiega come si chiamino confuciani individui che mai scrissero opere di pensiero o pensatori che differivano da Confucio per molte concezioni e che spesso criticarono Confucio aspramente. La denominazione è tuttavia giustificata dal fatto che le caratteristiche dei ju sopra descritte furono sviluppate soprattutto da Confucio, primo luminoso esempio di ju della storia cinese; e dal fatto che l'educazione che conferiva il rango di ju e apriva attraverso gli esami imperiali l'accesso alle carriere amministrative era basata quasi esclusivamente sullo studio dei testi classici del confucianesimo (ching). Il termine “classici” non è per i cinesi generico come nelle lingue occidentali; esso indica un gruppo ben determinato di opere fatte risalire a Confucio o alla tradizione immediatamente posteriore, e taluni commentari di tali opere. Esistono però diverse classificazioni dei classici. La più autorevole e la più antica (II sec. a.C. circa) elenca cinque classici e cioè: Shih-ching (Classico della poesia, noto anche come Libro delle odi); Shu-ching (Libro dei documenti) che contiene discorsi e altri documenti storici attribuiti agli inizi dell'era Chou (intorno al 1000 a.C.); Yi- ching (Classico delle mutazioni), intorno all'arte di trarre gli auspici; Ch'un Ch'iu (Primavere e Autunni), gli annali del regno di Lu nel periodo 722-481 a.C.; Li-chi(Memoriale dei riti), una miscellanea di testi liturgici. Una classificazione posteriore di almeno un millennio all'era Chou porta i classici a tredici, aggiungendone altri otto fra cui lo Tso- chuan (un commentario al Ch'un Ch'iu), il Lun-yü(Conversazioni o Analettici di Confucio) e il Meng- tzû (Libro di Mencio). Intorno all'XI sec. d.C., con l'affermarsi del neoconfucianesimo, acquistarono importanza preponderante fra tutti i classici i “Quattro libri” che divennero il fondamento dell'educazione dei letterati. Questi erano due capitoli del Li-chi (Memoriale dei riti), noti separatamente con i nomi di Ta-hsüeh (Grande scienza) e Chung-yung(Giusto mezzo); nonché il Lun-yü e il Meng-tzû.
Confucio aveva dato alla morale del suo tempo, che era una morale feudale, un carattere più elevato, mettendo in rilievo il valore dell'autodisciplina e della sincerità nei rapporti umani. I suoi discepoli svilupparono il concetto secondo il quale, coltivando la propria persona, il saggio diffonde attorno a sé un principio di ordine che, riflettendosi sulle persone vicine, si propaga per tutto l'universo. I due più importanti seguaci di Confucio, nell'antichità, furono Mencio (Meng-tzû) e Hsün-tzû. Il primo definì il tipo ideale del letterato che deve vivere secondo le virtù dell'umanità e dell'equità. Hsün-tzû voleva che l'educazione e il governo fossero basati su un codice etico-rituale che assegnasse a ciascuno il posto che gli conveniva in una società gerarchizzata. Dopo il fallimento di Ch'in Shih Huang-ti che aveva voluto fondare l'Impero sulle teorie dei legisti, secondo cui la legge, identificata con la volontà del sovrano, è l'unico principio regolatore della vita sociale, gli Han adottarono il confucianesimo come ideologia ufficiale dello Stato imperiale cinese e instaurarono il sistema del reclutamento dei funzionari attraverso gli esami imperiali. A questo periodo risale anche la religione imperiale con la quale si identifica talora la religione confuciana. L'imperatore, figlio del Cielo, è il primo sacerdote dell'Impero: a lui spetta praticare il culto del Cielo e della Terra, inaugurare l'aratura primaverile, promulgare l'almanacco nel quale sono stabiliti i lavori da fare e i giorni in cui vanno fatti. I prefetti e i sottoprefetti, che rappresentano nelle loro rispettive circoscrizioni l'imperatore, praticano i medesimi culti su scala locale. L'imperatore, inoltre, più che ogni altro, deve conformarsi alle prescrizioni rituali che hanno lo scopo di mettere la sua vita in armonia con quella dell'universo. Se il suo comportamento è cattivo l'armonia viene sconvolta e sulla terra si abbattono calamità e disgrazie: il figlio del Cielo è quindi responsabile dell'ordine naturale. Dopo la parziale eclisse avvenuta nel periodo detto delle “Sei dinastie” e una brillante ripresa nei secoli della dinastia T'ang, il confucianesimo subì una notevole trasformazione. Sotto l'influsso del taoismo e soprattutto del buddhismo (anche se a questi si opponeva come rigida antitesi) si sviluppò sotto la dinastia Sung una nuova scuola filosofica di ispirazione confuciana, generalmente nota in Occidente come neoconfucianesimo. A differenza di quello antico, esso cercò di fondare le proprie dottrine etiche e politiche su organiche premesse metafisiche, psicologiche e gnoseologiche, elaborando complessi sistemi filosofici, quali il pensiero cinese non aveva conosciuto sino ad allora. Il neoconfucianesimo si divise ben presto in due scuole maggiori, quella detta Hsing Li (dell'identità tra ordine naturale e natura umana), che ebbe in Chu Hsi il massimo rappresentante; e quella detta Hsing Hsin (della identità tra natura umana e coscienza), che raggiunse il suo massimo sviluppo più tardi, con Wang Yang-ming (1472-1528). La prima fu tuttavia quella che ebbe maggiore fortuna: i commentari ai classici elaborati da Chu Hsi furono dichiarati ortodossi e divennero in tal modo testi d'esame per la carriera mandarinale. Tutto ciò trasformò il neoconfucianesimo di Chu Hsi nell'ideologia ufficiale dell'Impero e, più tardi, anche degli altri paesi di cultura cinese: Vietnam, Corea, Giappone.
Nel XVII sec., sotto la dinastia Ch'ing, si verificò un movimento di reazione alle scuole neoconfuciane che propugnavano un ritorno al confucianesimo del periodo Han: a questo movimento si ispirarono alla fine del XIX e agli inizi del XX sec. anche alcuni riformatori, che volevano adattare il confucianesimo al mondo moderno e agli orizzonti aperti dalla cultura europea, che in quegli anni si diffondeva in Cina.
Confucianesimo giapponese. In Giappone il confucianesimo penetrò con la cultura cinese verso la metà del VI sec., ma non ebbe mai le caratteristiche di una specifica corrente filosofica o religiosa: fu, in certo senso, la cultura per antonomasia, che veniva accettata (salvo alcune caratteristiche politiche), ma non discussa o elaborata. Sotto lo shogunato dei Tokugawa (1600-1868), le varie scuole del neoconfucianesimo furono invece introdotte in modo più cosciente e consapevole e quella di Chu Hsi divenne anzi l'ideologia ufficiale del regime politico vigente. Si ebbero così tre scuole ben distinte, rifacentesi rispettivamente alle due correnti neoconfuciane (note nell'isola come Shushi-gaku, scuola di Chu Hsi, e come Yomei-gaku, scuola di Wang Yang-ming) e al movimento sviluppatosi sotto la dinastia Ch'ing (Ko-gaku, scuola antica). Le tre correnti ebbero una originalità abbastanza ridotta; in tutte è possibile riscontrare una certa impronta nazionalistica, particolarmente viva nella terza, che ispirerà gli ideali etico- cavallereschi del bushido. Nel XVIII sec. la suddivisione in scuole andò attenuandosi perché il contrasto ideologico venne a polarizzarsi piuttosto tra i nazionalisti della koku-gaku (scuola nazionale) e quanti si rifacevano invece prevalentemente, ma con indubbia originalità di interessi e di ispirazione, alla cultura cinese. Tra questi sono uomini come Arai Hakuseki (1656-1725), i cui studi storici ed economici sono ancor oggi di estremo interesse, e Miura Baien (1723- 1789), il cui sistema di logica dialettica costituisce una delle pagine più alte e originali di tutto il pensiero nipponico.

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