Esiste davvero la pazzia?

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Testo

Molinari Luca

(Testo per rivista scientifica)

ESISTE DAVVERO LA PAZZIA?

La pazzia. Questo l’argomento di cui oggi parleremo. Un tema familiare a molti di noi. Chi non si è mai sentito dare del pazzo, anche solo per scherzo? Sicuramente non soffrirà di solitudine chi crede d’essere vittima di tale sindrome! La pazzia ha percorso i tempi e interessato esponenti di ogni genere e classe; molti sono coloro che hanno tentato di darne una qualche definizione senza mai ottenere tuttavia l’unanimità dei consensi.
Qui di seguito, il tentativo di tre grandi autori, di spiegare quello che rimane forse l’aspetto più misterioso della mente umana.
Analizzando la descrizione della pazzia ne l’Orlando furioso e nel Ivano si possono individuare due tipi di conseguenze che essa provoca nel protagonista dell’opera:
le prime sono comportamentali e vengono causate a loro volta da altre di tipo psicologico. Analizziamo ad esempio le varie fasi presenti nel testo di Ariosto.
In un primo tempo Orlando è sofferente per l’evidenza dei fatti che si presenta ai suoi occhi in modo drastico ed indiscutibile. Conseguenza di ciò il suo vagare senza meta per la foresta e il ritorno al luogo di partenza. (“Pel bosco errò tutta la notte il conte”)
In una seconda fase l’irrequietezza lascia posto all’odio e al furore che lo portano a commettere atti di inaudita violenza, in un primo tempo rivolti a ciò che lo circonda(“Infelice quell’antro, et ogni stelo”) e successivamente a se stesso (“E maglie e piastre si stracciò di dosso”).
Appare quindi l’apatia che provoca l’immobilità del personaggio unita al suo totale smarrimento; egli “ficca gli occhi al cielo e non fa motto” come dice Ariosto. Infine l’ira, sfogata contro le persone che incontra e che uccide senza pietà(“Fece morir diece persone e diece”).
Anche da l’Ivano è possibile estrapolare elementi simili che forniscono un ulteriore conferma a ciò che è già stato detto.
Il personaggio è vittima inizialmente di un profondo dolore che lo spinge a vagare senza meta e addirittura lo porta a “forsennare”.
Il tormento e la rabbia verso se stesso gli fanno inoltre commettere atti di auto lesionismo ed anche in questo caso avviene la spoliazione in cui Ivano “si strappa e si straccia gli abiti e fugge”. E’ assente nel testo l’elemento dell’apatia presente invece in Ariosto.
In Erasmo da Rotterdam la follia ha una funzione diversa che verrà successivamente analizzata nell’ambito delle varie analogie e differenze che intercorrono tra i tre testi.
E’ interessante innanzi tutto osservare come venga descritta la follia e quale sia il suo scopo.
Nei poemi cavallereschi la follia viene considerata come momento di smarrimento. Essa è quasi sempre causata dall’amore e provoca nel personaggio un degrado comportamentale che lo riduce allo stato animale. Dalle parole di Cretiene de Troyes ricaviamo una descrizione di Ivano quale ”uomo forsennato e selvaggio”.
In Ariosto la follia viene paragonata alla selva in cui l’unica strada percorribile è la follia stessa e l’unico modo per fuggirla e la visione ironica della vita.
In Erasmo da Rotterdam la follia è paragonabile uno stato di ebbrezza che dissolve le barriere della nostra pudicizia e libera il nostro animo “da ogni molesto tormento”. La pazzia non mente, non si nasconde, si mostra per quella che è senza cammuffarsi.
La scomparsa dell’elemento pudico può essere considerata comune ai tre testi in quanto anche nei due romanzi cavallereschi la follia porta il personaggio ad esprimere senza alcun ritegno i propri sentimenti.
Ma a cosa serve allora la follia? Qual è il suo scopo? Leggendo le parole di Erasmo si è portati a pensare che essa sia la chiave della felicità; sia la sola che "metta di buon umore gli dei e gli uomini.” E’ la pazzia infatti, secondo lo scrittore olandese, a liberarci dall’angoscia.
Al contrario, nei testi di Chrétien de Troyes, di Ariosto e in generale nei vari poemi di tema cavalleresco, l’elemento della follia è visto negativamente. Esso è uno stadio che va superato e proprio il suo superamento rientra a far parte di un processo di maturazione del personaggio. Prova di questo è il fatto che sia Orlando che Ivano al termine della vicenda rinsaviscono per poi compiere quello che li condurrà al successo.
In conclusione un pensiero sulle interessanti opinioni riguardanti il tema da noi trattato.
Non potrebbe essere la pazzia uno stato della mente umana impossibile da definire in modo univoco in quanto relativo al pensiero del singolo individuo?
La pazzia, a quanto pare, ha attraversato i secoli lasciandosi dietro una scia di suoi seguaci. Ma come possiamo applicare un metro di giudizio alla mente umana quando proprio coloro che si cimentano in tale argomento potrebbero diventare, se già non lo sono agli occhi di qualcuno, una delle sue innumerevoli vittime?

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