L'avarizia attraverso i tempi

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Testo

Picariello Ilaria e Spagnuolo Annarita
presentano
'U sparagno nun и maje guadagno
"L’avarizia attraverso i tempi"

"Avaro in nostra lingua
и ancora colui che per rapina
desidera di avere,
misero chiamiamo noi
quello che si astiene troppo
di usare il suo"
N.Machiavelli

Sin dall’antichitа la parola avarizia indicava la brama eccessiva di ricchezza e l’attaccamento esagerato al denaro. La figura dell’avaro (dal latino avarum, stessa etimologia di avidus) и sempre stata argomento di grande interesse di scrittori e poeti, diventando oggetto di scherno e di satira. Con il Cristianesimo l’avarizia entra a far parte dei sette peccati capitali ed ebbe una condanna addirittura metafisica: "Facilius est camelum intrare per acus forarem quam divitem in regnum coelorum" (E’ piщ facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno dei Cieli). Questo pensiero и stato tramandato fino ai nostri giorni: gli avidi sono considerati egoisti, perchй usano il prossimo a proprio vantaggio. Non sono solo i ricchi ad amare esageratamente la ricchezza, ma anche la gente povera. Il denaro per queste persone assume un valore fine a se stesso e porta l’avaro a condurre una vita priva di piaceri concreti, dove l’unico obiettivo и accumulare.
Il pagano "tirchio" и presente sin dalla mitologia, come nella leggenda di Creso, condannato dagli dei per la sua avarizia a vedersi mutare in oro tutto ciт che tocca.
In ogni modo и Plauto il primo a creare un tipo che и quasi l’incarnazione dell’avarizia, un personaggio grottesco, tanto indovinato da aver poi avuto enorme presenza in parecchie delle letterature europee e che puт considerarsi il prototipo dall’avaro. Il denaro come ragione di vita, come pensiero dominante in cui si celano insicurezza di sй e timore assillante del futuro и il tema che Plauto sviluppa in chiave comica, basandosi su un modello quasi menandreo, una commedia vivacissima: l’ "Aulularia". Lo scrittore latino non vuole descrivere la storia di un’anima, ma semplicemente sfrutta l’avarizia come carica farsesca del suo fantoccio, e lo fa passare per una serie di situazioni ridicole. L’avaro di Plauto si chiama Euclione. E’ gretto, avido, sospettoso, nevrotico: ha nascosto una pentola piena d’oro in un luogo segreto su cui ossessivamente vigila, inquieto ed alienato da ogni altro interesse, fino a creare egli stesso le premesse del furto tanto temuto.
Un concetto ignoto ai classici и quello di Dante secondo il quale gli avari sono anzitutto puniti per l’offesa diretta a Dio. Tanto nell’Inferno quanto nel Purgatorio dantesco, gli avari e i prodighi sono insieme sottoposti alla stessa pena, in quanto il loro vizio ha il medesimo movente nel desiderio inestinguibile di accumulare ricchezza, che gli uni accumulano per il piacere del possesso e gli altri per profonderle irragionevolmente. Avendo peccato per incontinenza, avari e prodighi sono collocati nel quarto cerchio dell’Inferno, dopo i lussuriosi e i golosi, e nella quinta cornice del Purgatorio.
Nel settimo canto dell’Inferno avari e prodighi sono sottoposti alla pena di percorrere, distinti in due schiere, un semicerchio spingendo dei massi col petto. Quando si scontrano, si ingiuriano rinfacciandosi a vicenda la loro colpa gridando "Perchй tieni? " e " Perchй burli? "; poi si voltano per ripetere lo stesso movimento e ancora scontrarsi nella parte opposta del semicerchio. Qui i peccatori sono piщ numerosi che altrove e tra di loro troviamo un gran numero di religiosi, ma la vita priva di senno che essi condussero li rende irriconoscibili fino a quando, il giorno del giudizio, usciranno dal sepolcro gli avari col pugno chiuso e i prodighi con i capelli mozzi.
In questo periodo, S.Bernardo scrive: "Sicut hydropicus quanto plus bibit, tanto plus sitit, ita avarus quanto plus acquirit tanto plus cuncupiscit", cioи: come l’idropico quanto piщ beve, tanto piщ ha sete, cosм l’avaro quanto piщ accumula tanto piщ desidera.
Nello stesso 1300 anche Boccaccio comincia a interessarsi all’avarizia, inserendola in molte sue opere come Filocolo, Filostrato, Ameto, Amorosa visione. Poi decide di dare all’avaro un posto da protagonista nella sua opera, infatti nel Decameron troviamo un nuovo personaggio: il mercante. La classe mercantile, disprezzata da Dante e ignorata dal Petrarca, in quest’opera prende spazio: Boccaccio ne coglie l’intelligenza, l’abilitа, l’entusiasmo della vita e le dedica i suoi racconti. Questa gente, perт, troppo concentrata sui propri interessi per dedicarsi alla vita degli ideali della patria e delle Crociate, comincia a cadere nel cerchio dell’avarizia. Egli considera questo vizio come la negazione piщ totale di ogni gentilezza e virtщ, come l’intristirsi della nuova societа, e rimpiange la generositа disinteressata della civiltа comunale.
Nell’ottava novella della prima giornata, Boccaccio ci delinea il maggiore avaro del Decameron, il ricchissimo Erminio de’ Grimaldi, "e sм come egli di ricchezza ogni altro avanzava che italico fosse, cosм d’avarizia e di miseria ogni altro misero e avaro che al mondo fosse soperchiava oltre misura: per ciт che, non solamente in onorare altrui teneva la borsa stretta, ma nelle cose opportune alla sua propria persona, contra il general costume de’ genovesi che usi sono di nobilmente vestire, sosteneva egli, per non spendere, difetti grandissimi, e similmente nel mangiare e nel bere. Per la qual cosa, e meritatamente, gli era de’Grimaldi caduto il soprannome e solamente messer Erminio Avarizia era da tutti chiamato". Soltanto il gentiluomo Guglielmo Borsiere riuscirа con una pungente battuta a tramutare la sua avarizia in generositа.
La figura del mercante si propaga anche nella letteratura inglese di Shakespeare nel Mercante di Venezia. Un mercante di nome Antonio trovandosi in difficoltа и costretto a chiedere un prestito al suo nemico, l’usuraio Shylock. Lo strozzino, uomo duro e senza pietа, fa stipulare un contratto secondo il quale avrebbe ottenuto una libbra di carne di Antonio, se questo non gli avesse restituito il denaro entro il termine di scadenza. Il mercante purtroppo non riesce a saldare il debito e viene portato in tribunale. Qui la faccenda si capovolge: Antonio si salva e Shylock finisce in galera. In questa commedia Shakespeare mette in evidenza la nuova figura dell’usuraio, rude e crudele, tanto attaccato al denaro da ridurre in miseria chiunque glielo chiedesse.
Con la fine del ‘500 l’avaro emigra anche in Francia e con Moliиre assume un ruolo essenziale. Nella commedia L’Avaro, di derivazione plautina, il protagonista и Arpagone, un ricco vedovo borghese che vive prestando denaro ad alto interesse. Possiede diecimila scudi d’oro non ancora messi al sicuro e, cosм come Euclione, vive nel terrore che qualcuno glieli porti via. И disposto a far sposare i suoi figli con un anziano e una vedova, purchй abbiano una ricca dote. Organizza i matrimoni, tra i quali c’и anche il suo con la fidanzata del figlio, nello stesso giorno, per risparmiare le spese. Quando il servo Freccia gli ruba il denaro per aiutare il padroncino, Arpagone и sconvolto e cede addirittura ai ricatti del figlio. Al contrario del protagonista dell’Aulularia, egli non opera a fin di bene, fa del male ai suoi figli pur di guadagnare qualche soldo. И egoista, и ripugnante nelle sue azioni, e non и divertente come Euclione.
Procedendo con gli anni si arriva alla fine dell’800, quando nasce una nuova corrente letteraria: il Verismo, di cui maggior esponente и Verga. Piщ volte nelle sue opere и riscontrata la figura dell’avaro e il concetto di materialismo. Tra le Novelle Rusticane troviamo La roba. И la novella di Mazzarт, un contadino divenuto ricchissimo con lavoro e sacrificio; ma la condizione di bracciante sfruttato и ancora presente in lui al punto che la "roba" diventa ossessione, potere, affermazione di sй, vita. Ha campi, uliveti, magazzini da riempire con gli abbondanti raccolti, si sente piщ forte del re, che ha tante terre ma non puт nй venderle nй affermare che sono sue. Col tempo si affligge ancor prima di diventare vecchio al pensiero di dover lasciare la sua roba dopo essersi logorato la vita ad acquistarne, dicendo che и un’ingiustizia di Dio. Quando poi lo avvertono che и tempo di lasciare gli averi per pensare all’anima, fuori di sй dal dolore, ammazza a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini dicendo: "Roba mia, vienitene con me!".
La novella col motivo quasi religioso dell’esaltazione della "roba" preannuncia un’altra importantissima opera del Verga: Mastro don Gesualdo. Il mito della roba conduce Gesualdo, un uomo del popolo che ha accumulato ricchezze su ricchezze con le sue mani, che ha sposato l’ultima erede della casa nobiliare ed ha imparentato la figlia con l’aristocrazia palermitana, a morire in una solitudine disperata, tra la battista, nella foresteria di un palazzo ducale. Dal fatto stesso che la ricchezza costa tanta fatica, nasce l’attaccamento ad essa, l’ansia di proteggerla, di vederla crescere all’infinito. Per la roba don Gesualdo rinuncia a feste, a domeniche e risate. A conti fatti и avaro e determinato, ma "col cuore largo come il mare" quando и il caso. Fino a quando non entra nel ciclo dei Vinti e va contro il suo destino. Da allora tutto si complica, fino al termine dei suoi giorni. Sul letto di morte, Mastro don Gesualdo parla con la figlia e dapprima si dimostra tenero e commosso, poi cambia discorso e la esorta ad avere cura della sua "roba" e a non sperperarla, perchй i suoi poderi, di cui elenca i pregi e il valore, gli sono costati fatica e sacrifici. Cosa piщ spregevole, le chiede di lasciare qualcosa ai suoi figli illegittimi, verso i quali ha degli obblighi. Dopo la morte, i servi nella stanza parlano e fanno ironia sulle mani grosse e di umili origini, come le loro, di Gesualdo, che и stato tanto fortunato da morire nel lino finissimo.
Ancor prima di quest’opera, Verga compone I Malavoglia, dove tutto si basa sul mondo dell’interesse. Il romanzo narra le vicende di una famiglia di pescatori, uniti nel culto religioso della famiglia e del focolare domestico. Per migliorare le proprie condizioni, i Malavoglia decidono di commerciare dei lupini, presi a credito dall’usuraio zio Crocifisso. Purtroppo la Provvidenza, il nome della barca che trasportava i lupini, affonda con il carico e con un membro della famiglia. Cominciano da adesso le lunghe peripezie e i sacrifici dei Malavoglia per pagare i debiti ed evitare di crollare. L’avaro in quest’opera и un usuraio, zio Crocifisso. La sua amara personalitа si nota soprattutto nel momento in cui la Provvidenza non si vede tornare, e mentre i Malavoglia si preoccupano per la vita di Bastianazzo che era sulla nave, egli pensa al carico di lupini dato a credenza. La gente di Aci-Trezza, il paese dove si ambienta la storia, lo chiama "Campana di legno" perchй fa finta di non sentire quando vogliono pagarlo con delle chiacchiere. Indossa stracci e nessuno mai crederebbe che sia tanto ricco da prestare denaro a tutti, purchй ad interesse. Quando gli chiedono perchй non andasse anche lui a rischiare la vita come gli altri per guadagnare denari, egli risponde: "Bravo! e se in mare mi capita una disgrazia, Dio liberi, che ci lascio le ossa, chi me li fa gli affari miei?" e se non lo vogliono pagare, dice "Quel ch’и di patto non и d’inganno" oppure "Al giorno che promise si conosce il buon pagatore". Nell’episodio di Mena e Alfio Mosca si denota ancor meglio il carattere di questo strozzino. Egli и cosм contento di avere di nuovo in pugno i Malavoglia, che si puт permettere persino un atto di cordialitа verso le proprie vittime e assumere l’aspetto di un amico che fa loro un favore.
Dalle prime scritture della storia, siamo cosм arrivati ai giorni nostri, dove l’avaro и ancora presente, molto spesso come protagonista, nelle vicende quotidiane, e piщ volte diventa oggetto di satire e commedie per divertire grandi e piccini. Anche se il teatrino di questi tempi и passato di moda pure per i piщ piccoli, i bambini giocano con la marionetta Pantalone, maschera veneziana avara e tiranna ma alla fine sempre rassegnata a tirar fuori quattrini, o, cosa piщ "attuale", leggono i fumetti del famoso Paperon de Paperoni, lo zio piщ ricco e piщ spilorcio mai esistito. И sempre a contare il suo enorme capitale, custodito in una cassaforte grande quanto un palazzo. Tutto ciт, insieme alla continua lotta per vincere le scommesse con il suo rivale Rocker Duck, egualmente avaro e furbo, sono il suo unico divertimento. Le sue manie sono quelle di montare trappole per difendere i troppi dollari dai malintenzionati e di non spendere mai neppure un soldo se non per "un buon affare". Alla fine, perт, se qualcuno si trova in difficoltа, si lascia convincere dai suoi nipoti a fare il possibile per aiutarlo, cercando comunque di spendere il meno possibile.
L’antico dialetto napoletano и ricco di proverbi sull’avarizia, proprio come quello rappresentante il titolo di questa composizione.
Persino il celebre attore Antonio De Curtis (TOTO’) in un suo divertentissimo film, 47 morto che parla, tratto dalla commedia omonima di Ettore Petrolini, ha interpretato la parte dell’avaro. La storia racconta del barone Antonio Peletti che custodisce un tesoro destinato per metа al Municipio e per metа al nipote Gastone, innamorato di Rosetta. Gli amministratori comunali con uno stratagemma fanno credere al barone di essere morto, e questi rivela il nascondiglio del tesoro ad una soubrette che scappa con l’amante; ma Gastone aveva sostituito il tesoro e puт sposare Rosetta.
Tutti questi personaggi, attraverso i tempi, portano sempre alla morale che l’avarizia non risolve nulla, anzi riesce solo a creare ulteriori problemi. Nella nostra societа siamo circondati da avidi, che quasi mai ci fanno sorridere. Politici, personaggi famosi o gente comune, sono sempre piщ desiderosi di ricchezze, ma come dice Proust: "Il denaro и lo zero che moltiplica un valore", non vale niente. Non vale la pena di dedicare i propri giorni ad accumulare capitali e non godersi le gioie della vita, anche perchй una delle maggiori gioie и proprio spendere.

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