Borromini

Materie:Appunti
Categoria:Storia Dell'arte

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Testo

Francesco Borromini

Nel 1625 si celebra il Giubileo . Francesco Castelli di Bissone , nato nel 1599 e giunto ventenne a Roma dopo un lungo periodo trascorso a Milano nella fabbrica del Duomo , lavora nella cerchia di Carlo Maderno , forse il primo architetto di Roma , sovrastante della fabbrica di s. Pietro , regnando Urbano VIII Barberini . E’ un momento particolarmente difficile proprio nel campo delle Belle Arti . Il Papa ha deciso di compiere interventi pesantissimi sul Pantheon , il monumento simbolo della sopravvivenza dell’ Antico . Osa far rimuovere le meravigliose armature di bronzo della copertura del portico per ricavarne pezzi di artiglieria destinati alla fortificazione di Roma . Lo scandalo e’ notevole ed e` proprio a quel tempo che risale la famosa pasquinata scritta , pare , dal medico del papa stesso Giulio Mancini , uomo di raffinata cultura artistica : Quod non fecerunt Barbari , fecerunt Barberini . Direttore degli sciagurati lavori al Pantheon e` , naturalmente , Carlo Maderno assistito appunto da Francesco Castelli che non ha assunto ancora il soprannome di Borromini , ispirato alla grande devozione che lui , lombardo , porto` al piu` grande dei santi lombardi del suo tempo , Carlo Borromeo .
Borromini , in questo periodo , e` soprattutto il grande artigiano che le fonti concordemente ci hanno tramandato . I lavori durarono molto a lungo , almeno fino al 1632 quando il Maderno era gia` scomparso . Borromini disegna particolari decorativi e di struttura , fa rilievi , coordina le opere degli scalpellini ( e , del resto , in questo tipo di lavoro si era formato negli anni della prima gioventu` ) , cura anche i lavori di carpenteria , con quella mentalita` di capomastro e di tecnico , guadagnandosi la fama di scrupoloso professionista che lo accompagnera` fino all’ ultimo giorno della sua travagliata vita . E la gavetta fu lunghissima , proprio in rapporto con le sue molteplici competenze artigianali . Arrivera` alla professione di architetto solo molto tardi rispetto alle normali carriere del tempo , ma con una maturita` straordinaria . Aveva costituito nel 1626 , appena cominciati i lavori al Pantheon , una vera e propria cooperativa di scalpellini insieme con parenti e amici tra cui c’era anche un certo Agostino Radi , parente di quel Gian Lorenzo Bernini , in quel momento gia` all’ apice del suo successo con le statue meravigliose fatte per il card. Scipione Borghese , destinato a diventare il suo piu` potente e acerrimo nemico . La cooperativa lavoro` fino al 1632 con una miriade di interventi oggi difficilmente ricostruibili , in cantieri importanti come quelli del Palazzo Vaticano sul colle Quirinale , di s. Pietro , di Palazzo Barberini .
Ma finalmente , sciolta la cooperativa , Borromini era pronto a assumere incarichi di architetto a pieno titolo e la sua carriera comincia cosi` , tardivamente , nel settembre di quell’ anno 1632 , con la nomina a architetto dell’ Archiginnasio della Sapienza , l’Universita’ voluta da Sisto V , uno dei grandi centri del potere culturale a Roma . Ma l’ incarico decisivo arrivera` poco dopo , quando , ormai trentacinquenne , Francesco Borromini riceve la sua vera prima importante commissione , la costruzione della chiesa e del Convento dei frati Trinitari scalzi ( che , ha ricordato recentemente uno studioso , erano nati con lui nel 1599 ) di s. Carlo alle Quattro Fontane .
In questo incarico e` contenuta , come in embrione , tutta l’ importanza del lavoro borrominiano e tutta la sua difficolta` . Quel cantiere , infatti , nasceva nel modo piu` scomodo e complicato . Il sito stretto e infelice , i mezzi a disposizione limitati , i problemi da superare innumerevoli . E , infatti , lo assillera` per tutta la vita se si pensa che ancora nel 1665 , un anno prima della tragica morte , il Maestro lavora ancora sul progetto definitivo della facciata della chiesa che , infatti , non vedra` mai e sara` completata successivamente .
Nel convento e chiesa di s. Carlo , insomma , e` ben chiaro il “ problema “ Borromini . Prima di tutto c’e` la sua piu` intima ispirazione , appunto borromaica , improntata all’ umilta` e austerita` dell’ esistenza ; poi , elemento quasi contrapposto , c’e` la sua ansia della uscita dal luogo comune e la sua volonta` di plasmare l’ architettura con la stessa mentalita` con cui il pittore o lo scultore lavorano nell’ ambito della loro arte . Questo e` forse il punto decisivo . Come il pittore reinventa sempre l’ iconografia anche se deve rappresentare soggetti ripetuti mille volte , come lo scultore varia continuamente i sacri prototipi della classicita` alla ricerca della verosimiglianza e della naturalezza , cosi` l’ architetto Borromini pensera` sempre l’ architettura come a un organismo che e` gravido di significato e che trasmette una immagine vivente a chi vi si accosti .
Quando costruisce , tra il 1637 e il 1640 , la facciata dell’ Oratorio dei Filippini , un'altra congregazione religiosa volta a rispettare il senso profondo della vita al di fuori dei fasti solenni e forse ipocriti di s. Pietro e delle Basiliche maggiori , vuole esprimere cose ben precise , contemperando , come sempre fara` , esigenze meramente pratiche con altissimi concetti morali . Lo ricorda lui stesso in un passo del libro detto Opus architectonicum , una sorta di summa del suo pensiero , composto nel 1647 ma pubblicato , postumo , nel 1725 : “ ma la difficolta` maggiore fu il fare la facciata del detto Oratorio , mentre la fabbrica reale e` congiunta per di dentro con il resto della Fabrica , ed in piazza riesce solo uno dei lati per il longo dell’ Oratorio…….mi risolsi dunque di ingannare la vista del passeggere e fare la facciata in piazza come se l’ Oratorio cominciasse ivi ….. e nel dar forma a detta facciata mi figurai il Corpo Umano con le braccia aperte , come che abbracci ogn’ uno che entri …. Ma perche` l’ Oratorio e` figlio della Chiesa , …si stimo` bene che la facciata dell’ Oratorio fusse …piu` piccola , meno ornata e di materia inferiore , e dove quella e` di travertino fu risoluto far questa di terracotta e dove quella e` di ordine corinzio , far questa con l ‘ ossatura solo di buon ordine , ed indicare piuttosto i membri , e parti dell’ architettura che ornarli “ .
Da queste osservazioni si comprendono molti aspetti dell’ arte borrominiana ma soprattutto l’ idea , appunto , strutturale dell’ architettura , in base a cui , per poter esprimere concetti precisi da paragonare con quelli formulati dai pittori o dagli scultori , l’ architetto deve curare le forme esaltando le ragioni stesse del costruire , sia in rapporto ai materiali , sia ai presupposti concettuali .
Cosi` la chiesa di s. Ivo alla Sapienza , chiesa dell’ Universita` , altissimo capolavoro emozionante e coinvolgente con quel senso di movimento come depositato dentro la materia , e` veramente un monumento eretto alla Sapienza , intesa sia come potenza metafisica , sia come potenza del pensiero in se’ . Ancora oggi la visione dal cortile della cupola che si avvita nello spazio e` esaltante e sconcertante insieme , con quell’ effetto di vite senza fine che fissa il moto in un attimo di sospensione stabilito una volta per tutte . Ancora adesso chi guarda puo` avere l’ illusione che oltre quella cupola non ci sia niente altro che il cielo . La citta` non esiste piu` e il monumento vale di per se` . Nulla di piu` lontano dal Borromini , infatti , di una visione in qualche modo urbanistica . Al contrario la sua poetica e` quella del capolavoro assoluto che conta proprio perche` si eccepisce totalmente dal contesto . In questo risiede la sua infinita audacia e la sua commovente “ arroganza “ rispetto alle piu` caute , almeno in tal senso , carriere dei grandi maestri del Barocco .
Costruendo , tra il 1643 e il 1648 , la chiesa del santo dei Bretoni , s. Ivo , Borromini sembra ricordare i monumenti fantastici e aberranti di quella civilta` , i misteriosi Calvari collocati nel recinto esterno della parrocchia , monumenti misti di sacro e profano , derivanti da una civilta` ancestrale che non conosce il culto della classicita` ma concepisce l’ opera d’ arte come una mistica preghiera che accoglie la rozzezza dei semplici e l’ impeto dei profeti . S. Ivo , sia internamente che esternamente e` , infatti , una sorta di allegoria totale della preghiera , uno slancio che riflette l’ idea in se` dell’afflato dell’ animo che aspira a innalzarsi . E’ il motivo che fece affermare a un colto tutore della classicita` di quei tempi come fu Giovan Pietro Bellori che Borromini , a proposito del s. Carlino , si era dimostrato “ gotico ignorantisimo e corruttore dell’ architettura “ , non perche` ci fosse una reale componente gotica negli spazi borrominiani ma perche` ne avvertiva chiaramente il rischio connesso con l’ uscita dalla logica della trafila classicista .
Tuttavia nemmeno l’ appellativo di “ anticlassico “ si attaglierebbe fino in fondo al Borromini se solo si pensa alla vicenda della costruzione della facciata di s. Agnese in Agone in cui e` evidente l’ idea di esaltare il rigore severo dell’ ordine gigante delle colonne . Ma , naturalmente , non era li` l’ ispirazione piu` profonda del Borromini che proprio nel 1655 , anno di completamento della facciata di s. Agnese , riceveva le gravi accuse di aver sbagliato la progettazione della cupola di s. Ivo giudicata troppo pesante . Fu per il Maestro un colpo da cui non si sarebbe mai ripreso fino in fondo . Gli ultimi dieci anni di vita , dal 1657 al 1667 , quando egli pone fine alla sua esistenza terrena infliggendosi un colpo di spada che lo porto` alla morte , saranno un vero e proprio calvario . Nel ’57 lascia il cantiere di s. Agnese dopo insanabili contrasti con il committente Camillo Pamphilj . Poi continua a lavorare ma si tratta di tante piccole cose che non lasciano una traccia importante . Tuttavia continua a curare con lo scrupolo di sempre un lavoro che forse va considerato come il suo piu` audace e visionario e che ha , in effetti , pochi punti di contato con qualunque altra opera architettonica del suo tempo , il Palazzo di Propaganda Fide . In questo cantiere il Maestro aveva potuto esercitare un potere reale che aveva acuito a dismisura i suoi contrasti e le sue fortune . Era stato nominato architetto del Collegio di Propaganda Fide nel 1646 . Il luogo stesso , la scuola dove si formavano i Gesuiti destinati alla propagazione della Fede nel resto del mondo , si prestava a un ferreo esercizio di potenza creativa . E qui Borromini si era scatenato . Insediatosi , fece demolire la cappella che l’ odiatissimo Bernini aveva realizzato nel Palazzo dieci anni prima . Poi comincia l’ elaborazione del lato lungo del Palazzo dove costruira` la sua grandiosa cappella . Mette in atto un linguaggio abnorme e incredibile che sembra mescolare ricordi della tarda Antichita` con misteriose suggestioni dell’ Oriente , del resto ben evidenti nel campanile della vicinissima chiesa di s. Andrea delle Fratte in cui ritorna l’ amata figura del Cherubino alato , simbolo di liberazione della fantasia che lo ricollegava persino alle esperienze fatte come scalpellino al Duomo di Milano. La caratteristica piu` famosa del linguaggio borrominiano , quella della muratura fatta di curve e fratture continue dove gli elementi tradizionale della colonna , timpano e trabeazione vengono riformulati con un senso e una forma completamente insoliti e anomali , rifulge nella fiancata di Propaganda Fide con una fatalita` impressionante . E` chiaro che in tutte le grandi opere del Maestro urge un senso disperante e furibondo della vita che preme dentro la materia e che minaccia e esalta nello stesso tempo l’ osservatore . Come uno stoico antico ( e il suo stranissimo suicidio fu da vero e grande filosofo ) Borromini vive nell’ opera i fondamentali contrasti dell’ esistenza ed e` il concetto stesso di contrasto a dare forma sublime al suo pensiero visivo . E questo aspetto e` evidente sia nei suoi lavori piu` sentiti e coinvolgenti , ma anche nelle imprese ufficiali , prima fra tutte il restauro , per il Giubileo del 1650 , della Basilica di s. Giovanni in Laterano , incarico ottenuto tramite l’ amico Virgilio Spada , dotto studioso di architettura e prospettiva , molto vicino al papa regnante Innocenzo X . Qui Borromini non pote` realizzare l’ idea di creare una colossale volta a botte nella navata per trasformare radicalmente la spazialita` della antica Basilica , ma pote` operare sulle navate piccole trattate con la visionaria forza di una creativita` tesa a popolare lo spazio con un possente rimescolamento del passato e del presente preservando i frammenti dei monumenti funebri medioevali e reinserendoli nel contesto totalmente mutato , con un effetto di straniamento che tuttora non cessa di stupire . Anche qui il cantiere fu funestato da difficolta` incredibili tra cui una misteriosa accusa di omicidio per la morte di un chierico , tale Marco Antonio Bussoni che era stato sorpreso mentre danneggiava ornati marmorei preparati dal Maestro .
Ma in quel momento della sua vita Borromini godeva di forti protezioni . Lo scandalo fu messo a tacere e per alcuni anni il Maestro rimase molto vicino alla famiglia Spada con risultati molto importanti come la partecipazione al dibattito per la cupola di s. Ignazio , con un conseguente riavvicinamento al Bernini , la costruzione della meravigliosa Prospettiva in Palazzo Spada , la nomina a Cavaliere dell’ Ordine di Cristo , gli incarichi per il campanile di s. Andrea delle Fratte e per s. Agnese in Agone .
Ma la grande tensione emotiva e intellettuale del Maestro restava concentrata sulla chiesa del s. Carlino , questo spazio piccolissimo ( tanto da poter essere teoricamente tutto contenuto in uno dei piloni angolari della cupola di s. Pietro ) ma concettualmente immenso , e su s. Ivo alla Sapienza . Ma i tempi si erano ormai compiuti , come se una generale crisi della coscienza europea nel passaggio tra la prima e la seconda meta` del Seicento avesse provocato una sorta di doloroso fallimento epocale .
Nell’ anno della morte del Borromini esce il Paradiso Perduto di Milton

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