Gli sviluppi del Socialismo

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GLI SVILUPPI DEL PENSIERO SOCIALISTA: DAL “MANIFESTO DEI COMUNISTI” ALLA SINISTRA DEI GIORNI NOSTRI.
1. NASCITA E SVILUPPI DEL PRIMO PENSIERO SOCIALISTA

Gli eventi storici dalla metà del Settecento fino ai primi decenni dell’Ottocento avevano determinato in Europa un assetto economico e politico completamente nuovo sotto certi punti di vista, caratterizzato da un orientamento chiaramente liberale al quale si sarebbero presto opposti criticamente i nascenti movimenti socialisti. Il diffondersi di un così vasto processo di industrializzazione e la conseguente crescita del proletariato operaio, che richiedeva migliori condizioni di vita materiale e di partecipazione politica, mise agli occhi di tutti l’emergente questione sociale.
Il socialismo fondava il suo pensiero sulla convinzione che per superare tutti i problemi di ordine sociale ed economico, legati al capitalismo industriale promosso dal liberalismo, era necessario colpire direttamente i principi del sistema capitalistico-borghese e sostituirli con i valori umanitari della solidarietà e dell’uguaglianza oltre che controllare direttamente i processi produttivi in modo da indirizzarli a favore di tutta la società. Bisognava ricostruire l’organizzazione sociale facendo trionfare il principio della socialità sull’individualismo egoistico del capitalismo, espressione degli interessi di una parte ristretta della società: era necessario sostituire alla proprietà privata una forma di proprietà collettiva e dare vita ad una società senza conflitti di classe. La forte carica utopica del socialismo dei primi anni faceva ben intuire quanto fosse profondo il legame tra tali movimenti e la Rivoluzione francese.
La rivoluzione liberale aveva profondamente segnato il passaggio ad una nuova forma di libertà politica ed economica e, consapevole delle conseguenze sociali più spietate del proprio sviluppo, aveva cercato di attuare un processo di riforma interna.Contrariamente i movimenti socialisti si svilupparono durante la seconda metà del XIX secolo allo scopo di creare una forza per la lotta di classe il cui obiettivo non era correggere il sistema capitalistico gestito dalla borghesia ma sotituire ad esso un sistema sociale completamente diverso e in realtà incompatibile. In molti stati, infatti, il primo passo fondamentale fu la costituzione di sindacati operai che dessero ai lavoratori una coscienza di classe e li predisponessero a coalizzarsi come una forza unitaria in grado di opporsi al sistema capitalistico.I due antesignani per eccellenza del capitalismo moderno furono l’inglese Owen e il francese Saint-Simon.
In Inghilterra, la patria della Rivoluzione industriale, Robert Owen, industriale imbevuto di ideali illuministici e umanitari, insisteva sulla necessità di costituire un “nuovo ordine morale” basato su di una completa riorganizzazione sociale: tentò inizialmente di mettere in pratica questo vago disegno teorico nel suo stabilimento di New Lanark, quindi si dedicò prevalentemente all‘organizzazione delle Trade Unions promuovendone l’unificazione nazionale. Successivamente promosse ed organizzò cooperative di consumo fra lavoratori, dando vita ad un movimento che avrebbe conosciuto ulteriori sviluppi a partire dagli anni ’50: per questo motivo Owen ebbe un ruolo determinante per la storia del movimento operaio anche a livello mondiale.
Differente, ma altrettanto determinante, fu l’esperienza di Claude-Henri de Saint-Simon: aristocratico formatosi nell’epoca dell’ancien regime, fu uno dei primi a riconoscere la novità e le potenzialità di un ulteriore sviluppo del capitalismo ma fu indotto a teorizzare la necessità di mutare radicalmente le basi delle relazioni sia tra gli Stati che tra le classi sociali per risanare la società, eliminando gli strati parassitari e costituendo un’organizzazione sociale che favorisse il massimo sviluppo degli strati attivi in vista del benessere della collettività. In questi termini le teorie di Saint-Simon non possono essere considerate socialiste in senso stretto, ma ebbero ulteriori e determinanti sviluppi. Il sansionismo, frutto di una interpretazione in chiave socialistica, delle sue teorie influenzò notevolmente il pensiero socialista successivo.
Il socialismo conobbe i suoi più ampi sviluppi teorici grazie a Charles Fourier, massimo esponente della corrente utopistica: il suo progetto si configurava come una vera e propria utopia radicalmente anti-industriale che oltre a mirare ad un’equa distribuzione della ricchezza voleva risolvere il problema della felicità individuale che andava cercata in una nuova concezione del lavoro. Ciò poteva realizzarsi dando vita ad una società organizzata in tante piccole comunità economicamente autosufficienti ( i falansteri )all’interno delle quali i componenti si sarebbero dovuti alternare alle diverse attività lavorative secondo le loro inclinazioni naturali.
Ancor più rigidamente collettivistica era la visione utopistica di Etienne Cabet che per primo utilizzò il termine “comunismo”: tale si definì Auguste Blanqui che per primo elaborò un disegno rivoluzionario per realizzare la “dittatura del proletariato”, concetto che in seguito sarebbe stato sviluppato da Marx ed Engels.
Louis Blanc sotto molti aspetti può essere considerato il capostipite del socialismo riformista: l’unica soluzione ai mali del capitalismo poteva venire da un intervento dello Stato come regolatore e gestore dei processi produttivi. Pierre Joseph Proudhon sviluppò invece un socialismo cooperativistico a sfondo anarchico in polemica con tutte le altri correnti socialiste.
Il socialismo è stato dunque un movimento politico ed ideale molto complesso e caratterizzato da diversi orientamenti, spesso in contrasto fra loro, si possono quindi distinguere due correnti fondamentali: il socialismo umanitario che puntava ad una progressiva espansione dei diritti umani in vista di un superamento del sistema capitalistico, e il socialismo scientifico.

2. IL SOCIALISMO SCIENTIFICO DI MARX ED ENGELS

Il socialismo scientifico prese corpo dalle teorie di Marx ed Engels riconosciuti come i fondatori di un nuovo indirizzo del socialismo che si opponeva nettamente a quello utopistico.Tra gli anni ’30 e ’40 le idee socialiste si diffusero anche in Germania ma rimasero legate a piccoli gruppi di intellettuali che operavano all’estero,
il più importante dei quali, dopo un fallimento iniziale, fu ricostituito con il nome di Lega dei comunisti che affidò la stesura del suo manifesto programmatico a Karl Marx e Friedrich Engels. Nel loro “Manifesto dei comunisti” si fecero portatori di un socialismo definito “scientifico” in contrapposizione al socialismo utopistico di Saint-Simon in cui un forte impulso rivoluzionario si univa ad un solido fondamento filosofico e materialistico. Marx ed Engels svilupparono il loro comunismo a partire da una concezione materialistica e dialettica della storia, considerata come un continuo succedersi di lotte di classe e conflitti di interessi. Quando gli inarrestabili fattori dello sviluppo economico mettono in crisi l’organizzazione sociale inizia inevitabilmente una fase rivoluzionaria e, in questo senso, il superamento del capitalismo sarebbe avvenuto essenzialmente per effetto delle contraddizioni di cui il sistema si faceva portatore: l’inasprirsi della lotta di classe tra proletariato e borghesia, la suddivisione della società in una larga maggioranza di lavoratori proletarizzati ed una ristretta minoranza di grandi industriali nelle mani dei quali si concentra tutta la ricchezza, l’instabilità intrinseca del sistema produttivo.
La lotta tra borghesi e proletari era dunque vista come l’ultima manifestazione della continua lotta di classe nella storia, determinata dalle condizioni a cui aveva portato lo sviluppo del capitalismo moderno. Secondo Marx ed Engels il compito fondamentale della scienza sociale era analizzare le leggi dello sviluppo sociale che avrebbero necessariamente determinato il passaggio dal capitalismo al socialismo, socialismo che, agendo sulla base di tali leggi era definito “scientifico”.
Tutte le ideologie e le istituzioni politiche erano concepite come delle sovrastrutture il cui scopo era organizzare e legittimare il dominio di una classe sociale sulle altre, per questo bisognava fare leva sull’azione del proletariato di fabbrica reso cosciente del proprio valore storico. Il proletariato doveva organizzarsi ed attendere l’inevitabile crisi del sistema capitalistico per poi assumere il potere. Questo potere avrebbe assunto inizialmente le forme di una dittatura per assicurare senza rischi il passaggio alla vera società comunista, una società senza privilegi o classi, senza uno stato, nel quale tutte le potenzialità produttive e le facoltà umane sarebbero messe al servizio della collettività. Il socialismo avrebbe dunque abolito la proprietà privata, stroncato le resistenze anti–rivoluzionarie, ed avviato una pianificazione della produzione in risposta alle esigenze dell’intera società, potenziando e rivalutando il ruolo e la funzione dello Stato: ciascuno avrebbe ricevuto secondo il proprio lavoro. Una volta consolidatosi, al “socialismo” sarebbe subentrato il “comunismo” secondo il quale ciascuno avrebbe ricevuto secondo i propri bisogni: così non sarebbe stato più necessario uno “stato” inteso come espressione di una forma di dominio degli uni sugli altri perché non sarebbero esistiti più conflitti politici.
Marx ed Engels furono i promotori di una teoria politica che avrebbe esercitato una notevole influenza fino ai giorni nostri.
3. GLI SVILUPPI DEL COMUNISMO
E’ bene evidenziare come l’internazionalismo fosse un aspetto fondamentale del socialismo, che operò fin dall’inizio per cercare di creare delle strutture di collaborazione sovranazionali dette appunto Internazionali.
Durante gli ultimi decenni del XIX secolo il socialismo compì un passo fondamentale dando vita a delle organizzazioni partitiche, ma fu con la Terza Internazionale che, fra il 1920 e il 1921, vennero fondati i partiti comunisti.
Questo é certamente un punto chiave dello sviluppo storico del comunismo che inizialmente fu una corrente organizzata autonoma della socialdemocrazia russa e poi, nel contesto della Rivoluzione d’ottobre del 1917 e della crisi del primo dopoguerra, un movimento di portata mondiale che si contrappose alla socialdemocrazia internazionale. Lenin fu il principale sostenitore del nascente comunismo russo: una rivoluzione era stata portata a compimento nel nome del socialismo ed era stato costituito uno Stato sulla base dei suoi principi, ma si trattava in realtà di un clamoroso fallimento storico che si sarebbe concretizzato anche in altri paesi. Il socialismo reale aveva evidentemente contraddetto le aspirazioni ideali del programma iniziale perché con Stalin il proletariato fu guidato dal partito comunista nella costruzione del più grande regime totalitario di tutti i tempi e l’idea che da esso potesse svilupparsi spontaneamente il suo esatto contrario, quindi l’autogoverno popolare, era inevitabilmente destinata a fallire e a rimanere un’illusione, una profezia incompiuta. A spiegazione di questo primo innegabile fallimento del comunismo esistono delle ragioni storiche: anzitutto la tradizione dell’assolutismo zarista rapidamente convertitosi in un’assolutismo di partito, in un paese che non aveva mai conosciuto una fase fondamentale come la rivoluzione liberale e borghese,considerata come la ragione prima della nascita dei movimenti socialisti; altra ragione era il profondo stato di isolamento internazionale in cui maturò il socialismo russo; infine l’esigenza di un’ industrializzazione accelerata che generò la politica di repressione e di sterminio di Stalin. Non si deve tuttavia tralasciare che la radice dell’involuzione totalitaria del regime stava nel suo carattere eccessivamente chiuso, dominato com’era da un partito che si riteneva depositario della “verità” dei processi storici di affermazione del socialismo e che quindi rifiutava ogni opposizione, ogni dissenso; nel suo sovraccarico decisionale e nell’eccessiva burocratizzazione. La società fu schiacciata da un enorme apparato statale: fu Kruscev il primo a proporre un processo di destalinizzazione del paese. La vittoria dell’URSS sulla Germania segnò l’inizio di una fase che portò all’espansione del comunismo nell’Europa orientale, fra il 1945 e il 1948: si aprì quindi una fase internazionale del comunismo. L’URSS era ormai assurta a seconda potenza mondiale a capo di un “campo” socialista immenso. Kruscev pose fine al clima generale di terrore creato da Stalin, denunciò il “culto” di Stalin e proclamò il ritorno alla “legalità leninista”, dichiarò infine di voler stabilire dei rapporti di uguaglianza con gli altri Stati socialisti per aprire un’era di pacifica coesistenza tra Oriente e Occidente.
Fu sempre Kruscev a proclamare che lo Stato sovietico non era più una dittatura del proletariato ma uno “Stato di tutto il popolo” e questo trionfalismo si rivelò eccessivo ed illusorio quando si aprirono tensioni con la Cina ed una vera e propria crisi con gli USA, nel 1962, per via della nascita di un regime comunista a Cuba sotto la leadership di Fidel Castro. Kruscev fu costretto ad esautorarsi.
Dopo il tentativo di restaurazione di Breznev nel 1985 Michail Gorbaciov fu nominato segretario generale del PCUS: egli espresse l’esigenza di una “rivoluzione dall’alto” basata sulla perestrojka (ristrutturazione) e sulla glasnost’ (trasparenza). Fu una politica di riforme economiche, sociali e politiche, nell’estremo tentativo di ridare vita alle energie sociali e di sburocratizzare il sistema statale, pur se sempre nell’ambito del socialismo. Perestrojka significava vincere la stagnazione sociale e imprimere al progresso sociale ed economico un nuovo dinamismo, incoraggiare lo sviluppo della democrazia e favorire ogni forma di autogoverno socialista, rinnovare radicalmente la società e i suoi modi di vita. La crisi economica aveva tuttavia assunto le dimensioni di una vera e propria catastrofe, inoltre le riforme politiche avevano provocato uno stato di crescente instabilità. A partire dal 1989 la crisi strutturale dell’impero sovietico divenne innegabile e culminò con lo scioglimento dell’URSS nel dicembre del 1991 e il crollo dell’ideologia comunista.
Alcuni sistemi politici, economici e sociali ispirati dal socialismo sono anch’essi crollati e nessuno dei regimi tutt’oggi esistenti rientra nella sfera europea per cui nell’ambito di questa trattazione hanno un’importanza marginale.
4. IL PENSIERO COMUNISTA NEI PAESI CAPITALISTICI OCCIDENTALI
Volendo affrontare lo sviluppo del pensiero comunista nei paesi occidentali che da sempre avevano avuto una chiara impronta capitalistica , bisogna ricordare che i partiti comunisti nati nel corso degli anni ’20 durante il primo dopoguerra seguirono inizialmente il modello russo ma non giunsero mai al potere, se non nel 1922 in Ungheria e per pochi mesi. Pochi anni dopo, il comunismo mondiale si trovava gravemente minacciato dalla diffusione del nazi-fascismo e delle forme di conservatorismo autoritario più estreme: la linea di difesa assunta dal movimento socialista fu teorizzata dall’italiano Palmiro Togliatti e dal bulgaro Georgij Dimitrov. L’ VII Congresso dell’Internazionale comunista chiarificò la necessità di realizzare un fronte unico di lotta della classe operaia contro il fascismo, considerato il peggiore nemico di tutti i lavoratori, la più grave minaccia all’integrità dei loro diritti e delle loro libertà fondamentali. Determinante in questo periodo fu anche l’opera di teorici come Antonio Gramsci che entrò in conflitto con Togliatti e che insieme a lui era uno degli esponenti di primo piano del Partito Comunista Italiano: allo scoppio della seconda guerra mondiale i partiti comunisti occidentali si erano chiaramente allineati alla politica dell’URSS in aperta lotta contro i socialdemocratici.
Il PCI dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale, era comunque diventato il partito più forte della sinistra ma gli anni ’60 e ’70 videro la crisi della sua unità internazionale e anche l’Italia ne risentì. Il partito italiano fu così costretto ad orientarsi verso una critica esplicita della realtà sovietica dichiarando che l’unica via per sperare di poter realizzare il socialismo in Occidente era respingere l’ideale della dittatura del proletariato accettando la democrazia politica: si trattava dell’eurocomunismo del leader comunista Enrico Berlinguer, una “terza via” fra il socialismo sovietico privo di ogni forma di democrazia e la socialdemocrazia che aveva rinunciato a realizzare ogni forma di socialismo, ma non fu che una tendenza ideologica priva di prospettive concrete. Proprio nel 1991 in coincidenza con il crollo del comunismo sovietico anche il PCI pose fine alla sua esistenza.
Ma la sinistra storica italiana non tardò a riorganizzarsi e a ricostituirsi sotto nuove forme: nel 1991, l’anno del XX Congresso del PCI, fu fondato il PDS (Partito Democratico della Sinistra) che poneva alla base della sua rinascita un progetto di rinnovamento che favorisse la riaggregazione di tutte le forze di sinistra italiane. Un partito nuovo, libero dalle vecchie certezze e che, pur non abbandonando la tradizionale attenzione ai problemi del mondo del lavoro, poneva al centro delle sue iniziative le riforme istituzionali, per dare l’avvio ad un meccanismo di ricambio politico che favorisse il risanamento economico e morale del paese. Nonostante le profonde lacerazioni e gli improvvisi mutamenti del panorama politico italiano durante i primi anni novanta il PDS è riuscito ad affermarsi come la maggiore forza politica della rinnovata sinistra italiana costruendo prima, una coalizione dei Progressisti,che fu sconfitta alle elezioni amministrative del marzo 1994 dalla coalizione delle forze di destra, il Polo delle libertà e del buon governo, e poi, entrando a far parte nel 1995 di un’ampia coalizione di forze di centro-sinistra, l’Ulivo, sotto la ledership di Romano Prodi, attuale Presidente del Consiglio italiano, che ha portato il PDS a diventare la forza guida della maggioranza andata al governo dopo le ultime elezioni. In questo ampio quadro politico dell’Italia degli anni novanta non bisogna tralasciare la presenza di un secondo movimento politico, originato dal crollo del PCI, vista anche l’innegabile ed eccessiva influenza che, come forza della nuova maggioranza, sta esercitando nei confronti della politica italiana: si tratta di Rifondazione comunista movimento chiaramente più radicale del PDS che nelle vicende politiche del paese degli ultimi tempi ha giocato in molti casi un ruolo determinante: il debole equilibrio di forze politiche riunite, in una maggioranza fragile e vulnerabile è stato minacciato dal gioco di compromessi che ha coinvolto PDS e Rifondazone comunista rispettivamente guidate dai segretari Massimo D’Alema e Fausto Bertinotti.
Il nostro governo poggia su di un delicato equilibrio di forze nell’ambito del quale i maggiori elementi di dissenso e di instabilita non vengono dalla peraltro corretta e più che legittima opposizione delle forze di centro-destra, ma dall’intrinseca incompatibilità che internamente alla maggioranza oppone due forze di sinistra che sembrano avere apparentemente la stessa matrice ma rappresentano orientamenti differenti e in alcuni casi tra loro contrastanti. Dire fino a qual punto i movimenti che dominano la scena politica dei nostri giorni siano legati al loro passato è difficile, come sarebbe azzardato stigmatizzarli come filocomunisti: la sinistra ha avuto in Italia al pari di altri schieramenti politici un ruolo determinante e anche la destra è stata legata a movimenti del passato che al pari del socialismo andrebbero dimenticati. Forse mancano ormai le condizioni storiche e sociali che permettano di parlare di comunismo in senso stretto: senza dubbio al di là di ogni estremismo gli orientamenti di base rimangono, la matrice della sinistra odierna è ancora ben chiara e visibile, ma sono necessariamente mutati gli strumenti e gli obiettivi finali della politica da portare avanti. Il PDS si è forse dimostrato maggiormente aperto verso gli altri schieramenti politici, e verso una politica di incentivi e di rilancio della piccola e media impresa difendendo gli interessi della collettività e quindi dei lavoratori ma ponendone le basi economiche e riformando lo stato sociale in maniera adeguata per risolvere i problemi finanzari risanando il decifit pubblicomentre Rifondazione comunista non ha mutato il suo atteggiamento spesso intransigente, portando sempre avanti le proprie specifiche ragioni.
Ultimamente il Governo Prodi ha toccato l’apice di una crisi che sembrava ormai irreversibile: PDS e Rifondazione comunista si sono inevitabilmente scontrati su di un punto dolente come la riforma del sistema pensionistico. Il crollo è stato sfiorato ed evitato da un’ennesimo accordo tra le parti.
Lauriello Massimiliano, V° B

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