Medio Oriente

Materie:Appunti
Categoria:Storia

Voto:

2 (2)
Download:212
Data:25.08.2009
Numero di pagine:8
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
medio-oriente_4.zip (Dimensione: 8.19 Kb)
trucheck.it_medio-oriente.doc     36 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

IL MEDIO ORIENTE

LE GUERRE ARABO-ISRAELIANE
Il Medio Oriente vive in una situazione di guerra dal 1948, anno di nascita dello stato di Israele. Esso si costituì sulla base di una risoluzione dell’ONU votata nel novembre 1947, con consenso di USA e URSS, per la spartizione della Palestina in due stati, uno ebreo e l’altro arabo. La risoluzione, respinta dagli Stati Arabi, diede vita ad una serie di scontri, atti terroristici e rappresaglie armate, nel corso dei quali ebrei e arabi cercarono di impadronirsi del materiale bellico britannico, nella speranza di armare in tal modo le proprie truppe. Dopo la partenza degli inglesi, maggio 1948, i paesi arabi confinanti attaccarono il giovane stato di Israele, che riuscì però a tenere testa ai suoi nemici. Nella primavera del ’49 il governo israeliano sottoscrisse una serie di armistizi con tutti i paesi arabi, escluso l’Iraq, che lasciarono tuttavia irrisolti i più gravi problemi, compreso quello dell’estensione del territorio israeliano che, con la guerra, si era allargato al di là dei confini previsti dal piano di spartizione, tagliando fuori oltre 800.000 profughi arabo-palestinesi, rifugiatisi nei territori confinanti del Libano, della Striscia di Gaza, della Siria e della Giordania. Lo stato arabo-palestinese, previsto dalla risoluzione dell’ONU, non venne mai costituito. Contrasti, violazioni e sconfinamenti si susseguirono senza interruzioni negli anni seguenti, impegnando duramente l’ONU, impossibilitato a far rispettare gli accordi del ’49. Nel 1956, dopo la nazionalizzazione del Canale di Suez da parte del governo egiziano, Israele approfittò della tensione venutasi a creare tra la Francia e la Gran Bretagna, da una parte, e l’Egitto dall’altra. In pochi giorni le truppe israeliane, forti dell’iniziativa bellica franco-britannica, occuparono l’intera penisola del Sinai. Tuttavia la minaccia sovietica e il pronto intervento dell’ONU indussero Francia, Gran Bretagna e Israele a ritirare le proprie truppe dai territori egiziani occupati. Negli anni seguenti, il conflitto rimase latente e ognuna delle parti irrigidita sulle proprie posizioni, mentre a presidiare la pace provvedevano le forze dell’ONU (“caschi blu”). La tregue venne rotta nella primavera del ’67. In risposta alla decisione dell’Egitto, che aveva chiesto alle forze internazionali dell’ONU di abbandonare le loro posizioni sul Canale di Suez e sullo Stretto di Tiran, si ebbe infatti il 7 giugno un fulmineo attacco israeliano (“la guerra dei sei giorni”) che, nel giro di una settimana, portò le truppe di Tel Aviv sino al Canale di Suez e sulle rive del Giordano. Nonostante la condanna da parte dell’ONU che sottolineava l’inammissibilità dell’acquisizione dei territori con la guerra, Israele si rifiuta di ritirarsi dalle zone occupate militarmente e nei mesi seguenti si ebbero numerose violazioni della tregua da parte dei paesi belligeranti. In seguito alla vittoria israeliana e a cause dell’incapacità degli arabi di opporsi ad Israele, il popolo palestinese organizzò una propria resistenza armata che perdura tutt’ora. Alla testa della resistenza palestinese si colloca l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) che, guidata da Yasser Arafat, si propone la costituzione di uno stato palestinese misto. Nel 1973 esplose un nuovo conflitto tra l’Egitto e Israele: la guerra del Kippur. Nonostante la parziale vittoria dell’Egitto, guidato da el-Sadat subentrato a Nasser nel ’70, la situazione rimaneva conflittuale. Arbitri della situazione divennero USA e URSS, impegnate in una più vasta politica di accordi tra superpotenze, entro la quale non poteva non rientrare la questione del Medio Oriente che trovava una parziale soluzione nel 1974 con la firma di un accordo tra Egitto e Israele che consentiva la riapertura del Canale di Suez nel ’75. Alla già grave situazione medio-orientale, incentrato sul conflitto arabo-israeliano e sulla questione dei profughi palestinesi, si aggiunse nel ’76 il problema del Libano, dilaniato dalla guerra civile e divenuto terreno di scontro tra musulmani filo-palestinesi e cristiani-maroniti sostenuti da Israele. Al fine di arrivare ad una soluzione del conflitto tra paesi arabi e stato di Israele, il presidente americano Carter convocò nel settembre 1978 a Camp David il premier israeliano Menahem Begin e il presidente egiziano el-Sadat, che nel frattempo si era avvicinato all’Occidente. L’intesa raggiunta in questo vertice prevedeva: un trattato di pace subordinato al ritiro delle truppe israeliane dal Sinai; la definizione dei principi-base per futuri accordi fra Israele e Stati arabi, al fine di raggiungere la pace in Medio Oriente; il ritiro delle forze dell’ONU dalla zona del conflitto. Nonostante l’applicazione di tali accordi, la questione medio-orientale era ben lungi dall’essere risolta a causa dell’evolversi della situazione nell’Iran che, dopo la proclamazione della Repubblica (’79), veniva attaccato dall’Iraq, e dell’invasione israeliana del Libano nel 1982.

IRAN
A partire dall’aprile 1978, disordini, attentati e manifestazioni di collera popolare si intensificano in tutto l’Iran. La popolazione invocava a gran voce la cacciata dello scià Rheza Pahlevi e il ritorno dell’ayatollah Khomeini dal suo esilio francese. Da parte sua, il vecchio ma combattente capo religioso continua instancabilmente a predicare l’avvento di una “rivoluzione islamica” purificatrice e redentrice. Solo pochi osservatori riuscivano tuttavia a prevedere immediatamente le implicazioni e gli sviluppi della battaglia condotta dal leader integralista islamico. Nel gennaio 1979, di fronte all’aggravarsi della situazione che precipitava oramai verso uno stato preinsurrezionale, lo scià decide improvvisamente di mettersi in salvo con la famiglia reale, riparando all’estero. Dopo aver nominato un Consiglio di Reggenza e affidato il governo a Shapur Bakhtiar, Rheza Pahlevi abbandona l’Iran col pretesto di un viaggio diplomatico. Manifestazioni di esultanza popolare salutano la partenza dello scià, mentre l’esercito fraternizzava con la folla. Il 19 gennaio, quattro milioni di persone sfilavano per le vie della ex capitale imperiale reclamando l’instaurazione della Repubblica islamica e il ritorno di Khomeini, che avviene, puntualmente, l’ultimo giorno di quel mese. Accolto trionfalmente dopo quindici anni di esilio, il capo islamico si stabilì nella città santa di Qom, prendendo nelle sue mani le redini del Paese attraverso la costituzione di un Consiglio Rivoluzionario. Dopo la destituzione di Bakhtiar, il nuovo governo viene affidato al moderato Mehdi Bazargan, destinato però anch’egli a rassegnare le dimissioni di fronte all’onda montante dell’integralismo fomentato dal clero musulmano. Seguono mesi di torbidi e di esecuzioni sommarie ordinate dai tribunali islamici, soprattutto da quello di Teheran che condannò a morte lo stesso scià e i membri della famiglia reale. La morte repentina dello scià, rifugiatosi al Cairo, rendeva comunque del tutto inefficace la sentenza. Nel frattempo, nell’Iran rivoluzionario aumentavano i disordini e, anche dopo la nomina a primo ministro di Abulassan Bani Sadr, il potere rimase saldamente nelle mani del Khomeini che mantenne il pieno appoggio dei suoi sostenitori anche nel momento di tensione dovuto al sequestro degli ostaggi statunitensi, segregati nel 1979 nell’ambasciata USA a Teheran. La complicata vicenda si sciolse solo dopo lunghe trattative e dopo oltre un anno di prigionia gli ostaggi vennero rilasciati dai che li detenevano. A complicare la situazione del tormentato paese, si aggiunse una contesa di frontiera con l’Iraq, che degenerò ben presto in guerra aperta. Durante la prima fase del conflitto, la situazione interna rimase confusa, finché nel giugno 1981 Khomeini sconfessò Bani Sadr, costringendolo a rifugiarsi in Francia per la seconda volta e fucilandone i sostenitori.

LA GUERRA IRAN-IRAQ
Dopo una serie di scontri di frontiera, il conflitto vero e proprio iniziò nel settembre 1980, allorché l’Iraq sferrò un attacco su tutto il territorio iraniano con un’azione congiunta di forze aeree, navali e terrestri. L’aviazione irachena bombardò i principali aeroporti iraniani; la marina attaccò le motovedette iraniane dello Shatt-el-Arab; l’esercito lanciò un’offensiva che seguiva le direttrici principali: le città di Abadan, Khurramshahr e Ahwaz. Superata la sorpresa iniziale, la reazione iraniana non si fece attendere e l’aeronautica ebbe ben presto il modo di dimostrare la propria superiorità sugli aggressori, mentre l’esercito, decimato dalle epurazioni degli integralisti e privo degli armamenti a causa delle sanzioni attuate dagli Stati Uniti e dei Paesi della CEE, in seguito al sequestro degli ostaggi statunitensi a Teheran, mostrava qualche incertezza. La guerra, fino a giugno del 1981, si svolgeva quasi esclusivamente in territorio iraniano, nella regione del Khuzistan, ricca di giacimenti petroliferi. La circostanza penalizzò ulteriormente l’Iran, arrecando gravi danni all’economia, mentre gli iracheni continuavano l’attività di estrazione del petrolio, seppure a ritmo ridotto, pressoché indisturbati. Nonostante le gravi perdite, umane e materiali, l’Iran rivelò però un’insospettabile capacità di resistenza e quella che nei piani del presidente iracheno Saddam Hussein avrebbe dovuto essere una guerra lampo, si tramutò in un estenuante conflitto di posizione che si svolgeva oltretutto su un fronte di 1,200 km. Il prolungarsi della guerra si ripercosse negativamente sul mondo arabo, che ancora una volta non riuscì ad assumere una posizione unitaria, schierandosi per l’uno o per l’altro dei contendenti. L’Iran otteneva infatti l’appoggio dei Paesi del Fronte del Rifiuto (Siria, Libia, Algeria e OLP), mentre l’Iraq guadagnava la solidarietà del Paesi arabi moderati, in particolare Arabia Saudita, Giordania e Marocco. Nel 1982, dopo una serie di inutili tentativi di mediazione, l’iniziativa del conflitto passò nelle mani degli iraniani che nel maggio liberarono la città di Khurramshahr e raggiunsero il confine, superandolo. Dopo i primi successi iraniani, il governo iracheno si dimostrò disponibile alla trattativa, ma le pesanti condizioni poste dall’Iran resero impossibile ogni accordo. Nel frattempo la controffensiva iraniana, che aveva assunto i toni di una vera e propria guerra santa, venne arginata sullo Shatt el Arab, proprio nell’area contesa dai due Paesi. Nel 1983 la guerra assunse un volto inedito e assai pericoloso: i Paesi belligeranti minacciavano infatti di colpire le installazioni petrolifere avversarie nel Golfo Persico, tradizionale luogo di approvvigionamento per l’Occidente. La possibilità di una vittoria iraniana rafforzò la solidarietà dei Paesi arabi moderati e degli USA nei confronti degli iracheni; ma alla fine dell’anno l’Iraq, pur disponendo di una netta superiorità negli armamenti, non riuscì ad imprimere una svolta definitiva al conflitto, nonostante riuscisse a contenere le offensive iraniane. Gli anni seguenti confermarono che il conflitto si era oramai avviato verso una fase di stallo: l’Iraq sembrava aver perso ogni iniziativa, mentre l’Iran non pareva in grado di sfondare le difese avversarie né di lanciare la grande offensiva verso Bassora, più volte annunciata e poi rinviata. Ma se sul fronte la guerra languiva, l’Iran riuscì comunque a consolidare la propria posizione politico-strategica, migliorando i rapporti con diverse potenze e approvvigionandosi di armi, a dispetto delle sanzioni, in Cina, in Europa e persino negli Stati Uniti, come evidenziato clamorosamente dallo scandalo “Irangate”. Nel 1987 l’annoso conflitto ritornò a minacciare il Golfo Persico, le cui acque divennero sempre più insicure per le petroliere internazionali che le solcavano, assicurando ai Paesi occidentali vitali rifornimenti petroliferi. Nell’estate la fregata americana Stark venne colpita per errore da missili iracheni e gli Stati Uniti, a questo punto, decisero di intervenire nel Golfo per assicurarne la navigabilità. In particolare gli USA accettarono l’impegno di scortare le petroliere del Kuwait, il piccolo stato del golfo minacciato dagli imprevedibili sviluppi della guerra. La decisione americana scatenò la rabbiosa reazione dell’Iran, deciso ad impedire l’intervento della flotta USA e a ignorare anche la risoluzione dell’ONU per il cessate il fuoco in tutta l’area. La tensione nel Golfo Persico era destinata a permanere anche nella prima metà del 1988, toccando il culmine proprio nel luglio, quando un airbus di linea iraniano con 289 passeggeri a bordo venne abbattuto per errore dalla fregata statunitense “Vincennes”. Nel successivo agosto si verificava però una svolta importante: si concludeva il conflitto Iran-Iraq, grazie alla mediazione del segretario dell’ONU Javier Pérez de Cuellar. La tregua veniva seguita da immediate trattative di pace: si concludeva così la guerra senza vincitori né vinti.

Esempio