Prima guerra mondiale

Materie:Riassunto
Categoria:Storia

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Testo

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

LE CAUSE
La causa scatenante della prima guerra mondiale è stata l’assassinio dell’erede al trono asburgico Francesco Ferdinando, avvenuto a Sarajevo il 28 giugno 1914 per opera di uno studente serbo.
Le cause remote della guerra sono invece diverse. In primo luogo i contrasti iniziarono nel momento in cui Bismarck, l’allora cancelliere tedesco, si alleò con Russia, Austria e Italia, contro la Francia.
Un’altra causa era il contrasto anglo-tedesco creatosi quando la Germania iniziò una politica estera più aggressiva finalizzata a disgregare l’egemonia inglese e basata sulla creazione di una nuova potente flotta navale volta a conquistare nuove colonie. L’impero britannico, infatti, nel XIX secolo aveva svolto il ruolo di grande potenza, esercitando una funzione di controllo e di garanzia degli equilibri politico-diplomatici in Europa. Questo ruolo della Gran Bretagna si basava su un’indiscussa leadership economica che agli inizi del 1900 cominciò a declinare, a causa delle sempre più agguerrite economie nazionali come quella tedesca e statunitense, le quali cercavano di estendere la loro influenza nei mercati internazionali. Verso il 1906/1907 si sviluppò un’intensa competizione tra le diverse nazioni europee (Francia, Gran Bretagna, Germania, impero Russo e impero Austriaco).
Queste competizioni si svolgevano inoltre nel quadro del periodo imperialista: agli inizi del secolo, la spartizione delle terre era già avvenuta e i diversi imperi coloniali potevano allargarsi solo uno a discapito dell’altro, mettendo in discussione una spartizione nella quale avevano ottenuto grandi vantaggi Francia e Gran Bretagna. Questo si tradusse in una politica sempre più aggressiva, che comportò una generale corsa agli armamenti, cioè una tendenza a potenziare eserciti e flotte e ad investire capitali e risorse nella produzione di armi sempre più micidiali. La guerra e l’esercito divennero così un grande affare economico, in cui potenti gruppi industriali e commerciali investirono enormi quantità di denaro.
Lo stato guglielmino lanciò poi il programma pangermanista, basato sul progetto della formazione di una grande Germania che riunisse tutti i popoli tedeschi dei vari stati europei.
I timori di un’Europa guidata dalla Germania spinsero poi la Gran Bretagna e la Francia ad un riavvicinamento che divenne presto una vera e propria alleanza politico-militare, alla quale si avvicinò anche la Russia, preoccupata dell’appoggio tedesco alla politica espansionistica asburgico nei Balcani. Si vennero così a formare due sistemi di alleanze contrapposte: da una parte vi era la Triplice Alleanza (un patto di tipo difensivo stabilito già nel 1882) di cui facevano parte Germania, Austria e Italia, mentre dall’altra l’Inghilterra, la Francia e la Russia formarono la Triplice Intesa, che però venne costituita formalmente solo all’inizio della guerra.
La guerra fu inoltre scatenata dalle cosiddette guerre balcaniche, la prima delle quali iniziò a causa della volontà di indipendenza dall’impero asburgico di Cechi ed Ungheresi e dall’impero ottomano da parte di Croati e Sloveni che, guidati dalla Serbia (filorussa), divenuta indipendente nel 1882, costituirono la Lega balcanica per dichiarare guerra alla Turchia. La guerra terminò nel 1913 con la Pace di Londra e vide la vittoria della Lega Balcanica, con la liberazione della Macedonia dalla dominazione turca. La seconda guerra balcanica fu scatenata dalla Bulgaria, che dichiarò guerra alla Serbia per il controllo delle regioni macedoni. La Serbia, appoggiata ora dalla Turchia e dalla Romania, uscì ancora vincitrice.
A determinare lo scoppio della guerra concorsero poi anche fenomeni ideologici e culturali di grande importanza. L’ingresso delle masse sulla scena politica, infatti, non si manifestò solo con la nascita di partiti socialdemocratici e cattolici, ma anche con lo sviluppo di movimenti reazionari e nazionalistici. Le idee di patria e di nazione si trasformarono in spinte antidemocratiche, di aggressività imperialistica, di volontà di potenza e di razzismo, diffondendo una crescente competizione internazionale. In Italia, le formulazioni più efficaci delle concezioni nazionalistiche vennero da un gruppo di intellettuali che nel 1910 fondarono l’Associazione nazionalista italiana (che aveva come maggiori esponenti Corradini, Coppola e Federzoni), la quale reclamava la riscossa della borghesia contro la minaccia rappresentata dalle classi popolari organizzate. Queste posizioni, negli anni dieci, cominciarono a raccogliere consensi non solo fra i grandi industriali, ma anche in settori dei ceti medi urbani, desiderosi di affermarsi come soggetti politici e timorosi dell’avanzata delle masse popolari organizzate nei partiti socialisti. Questo fenomeno del nazionalismo concorse nei vari Paesi a creare atteggiamenti che tendevano a considerare la guerra come un’occasione di sviluppo e di affermazione internazionale.

LO SCOPPIO DELLA GUERRA
L’attentato di Sarajevo consentì all’Austria e alla Germania di mettere in atto la loro volontà di guerra. L’Austria, infatti, voleva risolvere a proprio vantaggio le questioni balcaniche, placando le rivendicazioni nazionalistiche dei diversi gruppi etnici, mentre la Germania, che sperava nella neutralità britannica, voleva travolgere la potenza francese in una vera e propria guerra-lampo. Il 23 luglio 1914 l’Austria mandò un ultimatum alla Serbia, senza consultare l’Italia, imponendo la fine di ogni propaganda antiaustriaca e la partecipazione di funzionari austriaci alle indagini sull’attentato. Vista la risposta negativa dello stato serbo, il 28 luglio l’Austria dichiarò guerra alla Serbia e cominciò subito il bombardamento della capitale, Belgrado. Rapidamente il conflitto raggiunse tutta l’Europa: la Russia si mobilitò a sostegno della Serbia, con l’obiettivo di contrastare l’espansione austriaca nei Balcani; la Germania allora dichiarò guerra allo stato zarista (1 agosto 1914) e alla Francia (3 agosto), e si ebbe così l’entrata nel conflitto degli inglesi, che insieme ai francesi e ai russi costituirono formalmente la Triplice Intesa.
Immediatamente la Germania invase gli stati neutrali del Belgio e del Lussemburgo, mentre entrò a fianco dell’Intesa anche il Giappone (23 agosto), che puntava ad impadronirsi dei possedimenti tedeschi in Cina, mentre il primo novembre l’Impero Turco entrò in guerra a fianco della Triplice Alleanza. L’Italia, invece, proclamò la sua neutralità, ritenendo che la Triplice Alleanza fosse un patto di carattere difensivo e che quindi non la obbligasse all’entrata in guerra.

I FRONTI OCCIDENTALE, ORIENTALE E MARINO
La strenua resistenza dell’esercito belga, intanto, non poté impedire all’esercito tedesco di varcare il confine nord-occidentale della Francia e di giungere a pochi chilometri da Parigi. L’esercito francese, insieme ad aiuti militari inglesi, riuscì però nella battaglia della Marna (nel settembre 1914) ad allontanare la minaccia tedesca dalla Francia. I tedeschi furono costretti ad arretrare e i due eserciti si fronteggiarono lungo linee di trincee lungo i fiumi Aisne e Somme; fu così evidente che il conflitto si stava trasformando in una guerra di posizione, che avrebbe poi comportato gravi perdite di uomini, mezzi e risorse.
Alla sconfitta tedesca della Marna avevano contribuito due fattori: innanzitutto l’avanzata troppo rapida, che aveva disperso le forze dell’esercito, e poi l’inaspettata invasione della Prussia da parte dell’impero zarista, che costrinse la Germania a sottrarre truppe al fronte occidentale. I russi, fermati dall’esercito anglo-tedesco in due sanguinose battaglie, risultarono tuttavia vincitori sugli austriaci nella battaglia di Leopoli, riequilibrando le sorti del conflitto.
A questi due fronti si aggiunse poi un altro teatro di guerra: il mare del Nord, dove Germania e Inghilterra iniziarono un violento conflitto, a causa del fatto che gli inglesi volevano bloccare i rifornimenti agli Imperi Centrali di materiale militare, generi alimentari e merci in generale, attraverso il dominio di questa zona. Già nel 1915 la strategia inglese cominciò a dare i suoi frutti e sui mercati tedeschi si fecero sempre più rari i generi alimentari di base. La denutrizione cominciò allora a manifestarsi largamente e la Germania rispose al blocco economico scatenando una guerra sottomarina, che presto ebbe una rapida crescita, coinvolgendo anche navi passeggere appartenenti a stati neutrali. L’episodio più significativo fu l’affondamento del piroscafo Lusitania, su quale viaggiavano molti passeggeri americani; la protesta degli USA fu durissima e il presidente Wilson minacciò di entrare in guerra se si fosse verificato un altro episodio del genere.

L’INTERVENTO ITALIANO
La Germania riuscì però ad evitare l’intervento americano, ma intanto nel 1915 scesero in guerra anche la Bulgaria (a fianco degli Imperi Centrali) e il Portogallo, la Grecia e la Romania a fianco dell’Intesa. L’Italia rimase all’inizio neutrale per due motivi: il primo era che la Triplice Alleanza era un patto di carattere difensivo, il secondo era che l’Austria non aveva consultato l’Italia prima di mandare l’ultimatum alla Serbia. All’interno dello stato italiano, però, si svilupparono correnti diverse riguardo l’entrata in guerra dell’Italia. Una parte significativa dell’Italia voleva entrare in guerra a fianco della Triplice Intesa, poiché aspirava a completare l’unificazione italiana, per la quale mancavano i territori di Trento e Trieste, e poiché opporsi alla Triplice Alleanza avrebbe significato difendere la causa della democrazia. A favore dell’intervento dell’Italia in guerra vi erano le forze interventiste della sinistra democratica con i radicali, i repubblicani e piccoli gruppi di estrema sinistra (per lo più operai), che volevano sfruttare la guerra per portare in Italia una rivoluzione proletaria. Sempre della corrente degli interventisti facevano parte alcune forze di destra, quali i nazionalisti (che volevano però entrare in guerra a fianco della Triplice Alleanza, contro la Francia, in quanto speravano nell’annessione di Nizza e della Savoia). Al centro destra vi erano poi gli interventisti irredentisti, ovvero i liberali conservatori, che volevano entrare a fianco dell’Intesa. Questi avevano il capo del governo, Salandra, e il ministro degli esteri, Sonnino, come punti di riferimento. In numero maggiore degli interventisti vi erano i neutralisti o pacifisti, sostenuti da Giolitti, e che erano per lo più socialisti, cattolici e marxisti. Giolitti, che faceva parte dei socialisti riformisti, aveva capito che la guerra sarebbe potuta essere lunga e che l’Italia non era pronta per sostenerla. Inoltre pensava che, negoziando con l’Austria, lo stato italiano avrebbe potuto ottenere l’unità attraverso l’annessione di Trento e Trieste. Anche Papa Benedetto XV sosteneva le posizioni neutraliste, poiché la guerra era lontana dalla dottrina cristiana e poiché non accettava l’idea dell’entrata in guerra a fianco della Francia contro l’Austria (simbolo della cattolicità in Europa). Il partito socialista italiano (PSI) si era schierato interamente a fianco dei neutralisti, fatta eccezione per Mussolini, direttore dell’“Avanti!”, che si pronunciava a favore dell’entrata in guerra.
L’intervento dell’Italia in guerra fu deciso però dal Patto di Londra, stipulato dal ministro degli esteri Sonnino nell’aprile del 1915, in segreto, all’insaputa del parlamento. Questo patto prevedeva che l’Italia sarebbe entrata in guerra entro un mese a fianco dell’Intesa e le avrebbe garantito, in caso di vittoria, il Trentino e il Tirolo meridionale, Trieste, l’Istria e la Dalmazia, fatta eccezione per la città di Fiume. Il capo del governo, Salandra, fu presto investito di poteri eccezionali per la gestione della guerra e il 23 maggio 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria. Al di là delle dichiarazioni di principio, però, l’entrata in guerra rispose soprattutto ad esigenze di politica interna, poiché vi era la convinzione che si sarebbe potuto instaurare un maggiore ordine nel Paese, rafforzando i gruppi conservatori (legati agli interessi del mondo industriale) e soffocando le aspirazioni di trasformazione sociale presenti in vasti strati delle masse popolari.

IL BIENNIO 1915/1916
Con l’intervento in guerra dell’Italia si aprì un nuovo fronte, che andava dal Carso lungo tutto il confine con l’Austria, e che ebbe l’effetto di alleggerire la pressione tedesca sul fronte russo. Con il fallimento della strategia tedesca della guerra-lampo, il conflitto si andava sempre più trasformando in una guerra di logoramento, in cui le trincee rappresentavano quella situazione di stallo in cui la guerra si trascinò tra il 1915 e il 1916 e nella quale nessuno dei Paesi belligeranti fu in grado di imporsi e di risolvere a proprio favore il conflitto. Tuttavia, questa situazione finiva con il danneggiare per lo più gli Imperi Centrali, che essendo circondati da ogni lato dalle forze nemiche, subivano sempre più drammaticamente il blocco commerciale imposto loro dalla gran Bretagna. In questo contesto si verificarono la battaglia di Verdun (sul fronte occidentale) e quella dello Jutland, entrambe originate dal tentativo tedesco di rompere l’isolamento.
Per sfondare le linee nemiche, l’esercito tedesco concentrò le proprie armate in un solo punto, nei pressi della fortezza di Verdun, dove una battaglia di cinque mesi (dal febbraio al luglio 1916) vide la vittoria degli anglo-francesi ma anche la morte di oltre un milione e mezzo di soldati. Il tentativo tedesco di rompere l’isolamento per via mare non ebbe effetti migliori: il 31 maggio 1916 la marina tedesca si scontrò con quella inglese presso la penisola dello Jutland, ma la Germania non fu in grado di minacciare l’egemonia inglese sul mare né di allentare il blocco navale imposto dal governo inglese. Gli sforzi tedeschi di rompere quest’accerchiamento erano entrambi falliti, e nel gennaio del 1917 la Germania incominciò la guerra sottomarina totale, che prevedeva l’affondamento di tutte le navi che fossero entrate in qualche modo in comunicazione con l’Inghilterra: non solo le navi mercantili, ma anche quelle passeggeri, di qualunque nazionalità fossero. I tedeschi sapevano che così facendo avrebbero spinto all’intervento in guerra gli Stati uniti, ma speravano che la guerra si sarebbe conclusa vittoriosamente prima dell’arrivo americano sul continente.
Intanto, sul fronte meridionale, tra il maggio e il giugno del 1916, gli austriaci lanciarono un violento attacco contro le linee italiane, che furono ben presto sconfitte. L’impreparazione dimostrata dall’esercito italiano spinse Salandra a dare le dimissioni (giugno 1916); il nuovo governo venne affidato a Borselli. Poco dopo, le truppe italiane, sia pure a prezzo di gravi perdite, riuscirono a conseguire l’unico risultato militare significativo del primo biennio di guerra, ovvero la presa di Gorizia, avvenuta il 9 agosto 1916.

UN’ECONOMIA DI GUERRA
Per fronteggiare le difficoltà della guerra, all’interno delle diverse nazioni di vennero formando governi di unità nazionale con il concorso delle opposizioni. La Francia aveva dato vita già nel 1915 ad un governo di larghe alleanze diretto da Briand; tale esempio fu seguito in Italia con il governo Borselli e poi in Gran Bretagna con il governo Lloyd George. In Germani, invece, tutto il potere venne concentrato nelle mani dell’imperatore e delle più alte cariche gerarchiche militari, mentre nell’impero austriaco, le spinte autonomistiche delle diverse nazionalità si fecero sempre più forti, tanto da indurre il nuovo imperatore Carlo I, succeduto a Francesco Giuseppe morto nel 1916, a pensare ad una pace separata con l’Intesa.
L’accentramento del potere che si sviluppò così nel vari stati, fece si che lo stato divenne non solo il motore del sistema politico, ma anche di quello economico, giungendo ad organizzare e programmare la produzione in funzione delle necessità sempre più crescenti della guerra. Lo stato, quale imprenditore della guerra, divenne il centro e il motore di tutta l’economia: impiegò direttamente ed indirettamente milioni di lavoratori, mosse quasi tutta la flotta mercantile, esercitò un vasto commercio e soprattutto consumò una grande quantità di ricchezze, dando vita a quella che venne definita un’azienda economica militare. Quest’azienda monopolizzò la domanda di beni industriali e ciò determinò uno sviluppo notevolissimo delle attività produttive e degli investimenti, oltre alla formazione di gigantesche imprese, ma anche uno straordinario dispendio di denaro e risorse statali.

LA SVOLTA DEL 1917: LA GUERRA DIVENTA MONDIALE MA LE OPPOSIZIONI SONO SEMPRE PIU’ FORTI
Nel 1917 si verificarono avvenimenti che segnarono il corso degli eventi e degli esiti della guerra: la rivoluzione bolscevica in Russia, l’ingresso in guerra degli USA e il manifestarsi di un rifiuto della guerra nei soldati e nelle popolazioni.
Per quanto riguarda la Russia, questa aveva già pagato con oltre due milioni di morti la scarsa preparazione tecnica e strategica dell’esercito e il popolo aveva espresso con scioperi ed agitazioni il proprio malcontento. Di fronte a questa situazione, la corte zarista continuava a dar prova di un grande distacco dalla realtà del Paese, accentuando i caratteri dispotici della sua politica. Quando, però, si verificò una rivolta di operai e soldati scoppiata a Pietrogrado nel marzo (febbraio, in Russia) 1917, lo zar Nicola II fu costretto ad abdicare e vi fu la formazione di un governo repubblicano provvisorio, il quale proseguì lo sforzo bellico sperando nell’adesione dei soldati, dando loro la promessa di distribuzione di nuove terre alla fine del conflitto. Il presidente del governo provvisorio decise allora di scatenare un’offensiva in Galizia, ma l’operazione si concluse con il totale fallimento russo, dettato anche dai soldati che disertarono. Questa battaglia convinse il governo rivoluzionario comunista a trattare con gli alleati e con gli avversari l’uscita della Russia dalla guerra, avvenuta il 3 marzo 1918.
Per quanto concerne l’intervento americano in guerra a fianco dell’Intesa (il 6 aprile 1917 contro la Germania e il 7 dicembre dello stesso anno contro l’Austria), questo fu provocato dalla ripresa della guerra sottomarina da parte dei tedeschi. Inoltre, gli Usa erano interessati a tutelare i capitali prestati ai Paesi dell’Intesa e a salvaguardare le proprie esportazioni in Europa. Infine, il governo statunitense tendeva a sostenere le nazioni che, come la Francia e l’Inghilterra, avevano un sistema politico liberaldemocratico, contro quei Paesi, come la Germania e l’Austria, retti da monarchie autoritarie.
Quanto accadde sul fronte russo, dove i soldati delle armate zariste si rifiutarono di combattere e dichiararono la fine delle ostilità ancora prima dei loro governanti, rappresentò la manifestazione più eclatante di una condizione comune a tutti glie eserciti combattenti. Nei vari stati si stava diffondendo una generalizzata stanchezza e insofferenza nei confronti della guerra e i socialisti dei vari Paesi ripresero ad organizzare l’opposizione interna; già nell’aprile del 1916, infatti, il movimento socialista internazionale aveva pubblicato il manifesto di Kienthal, con cui prendeva posizione contro la guerra. Nel 1917, comunque, si accentuarono in maniera dirompente il malcontento e l’ostilità dei soldati e delle popolazione nei confronti della guerra. La primavera del 1917, infatti, seguiva un inverno drammatico, vissuto dalle truppe al fronte in condizioni disumane, in cui i soldati, malnutriti ed esposti a malattie di ogni genere, erano ormai costretti a vivere quasi sotterrati nelle trincee. L’utilizzo di nuove armi, inoltre, aveva decimato ulteriormente le truppe dei diversi Paesi, già ridotte allo stremo. Su tutti fronti si manifestarono diserzioni di massa e insubordinazioni, che i comandanti cercarono di arginare con misure disciplinari severissime; tuttavia, il disfattismo si sviluppò non solo tra i soldati, ma anche tra gli ufficiali che, allo scoppiare del conflitto, avevano dato grande prova di entusiasmo patriottico.
I fattori di crisi che minavano la compattezza degli eserciti al fronte si diffusero anche tra la popolazione civile, nonostante una forte attività propagandistica e nonostante promesse di nuove terre da coltivare ai contadini. Si giunse alla creazione di un fronte interno, quando i governi dovevano contrastare non solo il nemico al fronte, ma anche gli oppositori interni, ossia tutti coloro che per varie ragioni si opponevano al proseguimento della guerra. In Italia, nell’agosto del 1917, una rivolta di operai a Torino fu soppressa con la forza dall’esercito nazionale, causando moltissimi morti. A ciò rispose Papa Benedetto XV, che in una nota inviata ai capi di governo dei paesi belligeranti sosteneva la necessità di mettere fine a queste inutili stragi.
Sul fronte militare, il 1917 sembrò volgere a favore degli Imperi Centrali che stavano preparando un grande sforzo bellico nella speranza di risolvere il conflitto a loro favore prima dello sbarco in Europa degli americani. Liberatosi il fronte russo, sferrarono un massiccio attacco sul fronte dell’Isonzo, dove l’esercito italiano, sotto il comando del generale Cadorna, fu sconfitto, a causa della stanchezza delle truppe e di alcuni errori strategici. Il 24 ottobre 1917 le truppe austro-tedesche occuparono Caporetto e gli italiani furono costretti ad indietreggiare dopo la perdita di uomini e mezzi. Immediatamente si formò però un nuovo governo, presieduto da Vittorio Emanuele Orlando, e l’esercito fu riorganizzato sotto il comando del generale Diaz, il quale, per ottenere l’appoggio delle truppe, promise ai soldati la distribuzione di terre da coltivare alla fine del conflitto. Questa politica ebbe larga presa tra i soldati, in gran parte lavoratori agricoli. Diaz riuscì così ad arginare la rottura delle truppe italiane, anche se la disfatta di Caporetto fu un importante successo degli Imperi Centrali.

IL 1918: LA FINE DELLA GUERRA
L’ultima offensiva tedesca fu sferrata nel marzo 1918 sul fronte occidentale, nella regione di San Quintino, dove le linee dell’Intesa furono sfondate fino alla Marna. Le truppe anglo-francesi seppero però riorganizzarsi e riuscirono a resistere all’avanzata di quello austro-tedesche. In questa battaglia si assistette al dispiegamento di nuovi dispositivi bellici e in particolare dell’utilizzo di aerei e carri armati da parte dell’Intesa, che costrinse l’esercito tedesco a ritirarsi dal suolo francese e belga. Con l’arrivo delle truppe americane, il 18 luglio 1918 scattò la controffensiva dell’Intesa e tra l’8 e l’11 agosto l’esercito tedesco fu messo alle strette e il fronte fu sfondato nei pressi di Amiens. Anche sul fronte meridionale tra il settembre e l’ottobre del 1918 iniziava la controffensiva dell’esercito italiano contro le armate austriache, che vennero definitivamente sconfitte a Vittorio Veneto il 29 ottobre. La disfatta degli Imperi Centrali era ormai compiuta, e ad essa seguirono la resa della Bulgaria e della Turchia e l’armistizio dell’Austria con l’Italia, firmato presso Padova il 4 novembre 1918.
Nel frattempo, l’impero asburgico si era disgregato sotto le spinte autonomistiche delle varie nazionalità, mentre la Germania aveva visto la proclamazione della Repubblica di Weimar, dopo essere stata costretta alla resa, firmata l’11 novembre di quell’anno.

LA COFERENZA DI VERSAILLES
Alla conferenza per la pace, che si aprì a Versailles nel gennaio 1919, si incontrarono solo i Paesi vincitori (Gran Bretagna, Francia, USA e Italia), mentre i vinti vennero convocati solo per la firma dei trattati di pace. Si svilupparono due posizioni contrastanti: da una parte vi era il rappresentate degli stati europei Clemanceau, che intendeva risolvere la disgregazione gli imperi mediante la politica delle annessioni territoriali, mentre dall’altra vi era il presidente americano Wilson, che nel suo programma (sintetizzato nei famosi 14 punti) puntava ad affermare il principio democratico dell’autodeterminazione dei popoli, a cui bisognava attenersi per ridisegnare il nuovo assetto geo-politico dell’Europa. Di fatto prevalse la linea di Clemanceau: alla Germania fu imposta una pace che stabiliva la restituzione alla Francia dell’Alsazia e della Lorena, lo smembramento dei possessi coloniali e il pagamento di una grave indennità di guerra.
Con l’Austria venne stabilita la Pace di Saint-Germain, che portò al riconoscimento di nuovi stati che avevano cominciato a prendere forma con il disgregamento dell’impero austro-ungarico: l’Austria, l’Ungheria, la Cecoslovacchia e il Regno di Jugoslavia.
La Polonia fu ricostituita con regioni prima appartenenti alla Russia, all’Impero austriaco e alla Germania. L’Italia ottenne dall’Austria ciò che era stato previsto nel patto di Londra, ad eccezione della Dalmazia, che entrò a far parte dello stato jugoslavo. I territori dell’ex impero ottomano vennero invece sottoposti all’amministrazione di Francia e Inghilterra.
Con la conferenza di Versailles, infine, si stabilì la creazione della Società delle Nazioni, che avrebbe dovuto tutelare la pace esercitando una funzione di arbitrato nelle controversie internazionali. Tuttavia, questo programma di Wilson rimase incompiuto, in quanto né la Germania né gli Stati Uniti ne entrarono a far parte, poiché la proposta di Wilson fu bocciata dal senato orientato verso una politica isolazionista. Questa politica, avviata in America già nel 1796 da Washington, proponeva alla nazione relazioni commerciali ma non alleanze politiche permanenti con altri stati. Dopo la partecipazione statunitense alla prima guerra mondiale e l’alleanza con l’Intesa, gli USA tornarono al tradizionale isolazionismo, con il rifiuto del senato di entrare a far parte della Società delle Nazioni.

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