Province unite (Olanda)

Materie:Tema
Categoria:Storia

Voto:

2.5 (2)
Download:308
Data:30.12.2005
Numero di pagine:6
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
province-unite-olanda_1.zip (Dimensione: 6.6 Kb)
readme.txt     59 Bytes
trucheck.it_province-unite-(olanda).doc     32 Kb


Testo

La rivolta delle Fiandre e la costituzione della Repubblica delle sette Province Unite

Il territorio delle Fiandre divenne un possedimento asburgico quando, nel 1477, Carlo il Temerario, duca di Borgogna, sotto la cui influenza vi era anche la zona fiamminga, fu sconfitto e ucciso in un tentativo di espandersi; i suoi possedimenti, quindi, vennero spartiti tra sua figlia, moglie di Massimiliano d’Asburgo, che ottenne le Fiandre e il re di Francia, che si impossessò della Borgogna.
Alla fine del XV secolo le Fiandre si presentavano come un territorio costituito da diverse province, classificabili in “Province del nord”, per lo più calviniste e in cui la classe dirigente era la borghesia imprenditoriale e mercantile e “Province del sud”, eminentemente cattoliche e sotto il controllo della nobiltà feudale. Tutte queste province, ma soprattutto quelle del nord, erano caratterizzate da una forte tradizione autonomistica, elemento che, indubbiamente, fu decisivo nel portare le Fiandre allo scontro con gli Asburgo.
Tra Carlo V d’Asburgo, divenuto imperatore dopo la morte del padre Massimiliano, e le province fiamminghe non si verificarono forti scontri, fatta eccezione per qualche screzio dovuto al fatto che la diffusione del calvinismo e l’autonomia dei ceti mercantili nelle Fiandre, ovviamente, non potevano essere in linea con i piani di un imperatore cattolico; tale stabilità, molto probabilmente, si ebbe grazie all’educazione fiamminga ricevuta da Carlo, che gli permise di essere accettato in questa zona come imperatore, e alla sua non eccessiva tendenza ad accentrare il potere.
I veri contrasti tra impero e Fiandre si verificarono quando il controllo dell’impero, nella seconda metà del ‘500, passò da Carlo V al figlio Filippo II, il quale, sentendosi fortemente investito del ruolo di monarca cattolico, non esitò a svolgere una forte opera di accentramento anche nella zona delle Fiandre, dove il calvinismo si era notevolmente diffuso e dove, come già detto, vi era una forte tradizione autonomistica. Filippo, nel territorio fiammingo, non riuscì mai a trovare un punto d’incontro con un determinato ceto o con un particolare movimento e, per questo, si trovò a dover fronteggiare gruppi di persone di ceto e fede differenti spesso coalizzati tra loro contro un re “straniero” (ovvero Filippo, che era stato educato in Spagna), desideroso di intaccare la ormai solida tendenza all’autonomia.
La prima reale spaccatura tra le Fiandre e Filippo II si creò quando quest’ultimo, nel 1561, istituì in quel territorio diciotto nuovi vescovati, i cui titolari sarebbero stati designati da lui stesso; questa decisione suscitò il malcontento dei poteri ecclesiastici e laici locali e, di conseguenza, vi fu un movimento di opposizione, inizialmente moderato, guidato da Guglielmo d’Orange, che proponeva una convivenza pacifica tra cattolici e calvinisti; il re, tuttavia, si rifiutò di approvare la proposta.
Lo stato di tensione venutosi a creare si tramutò in crisi quando, nel 1566, in contrapposizione ai nobili fiamminghi, che chiedevano l’abolizione dell’Inquisizione e maggiore moderazione con i riformati, Filippo II mandò un esercito guidato dal Duca d’Alba con il compito di placare, anche con metodi repressivi estremi, la ribellione dei fiamminghi. Ebbe così inizio la guerra degli Ottant’anni.
La repressione guidata dal duca d’Alba su tutto il territorio fiammingo (tranne che sull’Olanda e sulla Zelanda, uniche province che riuscirono a sottrarsi alla repressione grazie ai territori poco controllabili a causa dell’abbondanza di acqua) fu feroce e duratura e fu allentata soltanto dal periodo di minaccia turca sul Mediterraneo, che distrasse Filippo dalle Fiandre.
Nel frattempo l’impero stava attraversando un periodo di grande difficoltà economica tanto che, nel 1575, le truppe spagnole presenti nelle fiandre, in seguito ad un mancato pagamento da parte dell’imperatore, saccheggiarono pesantemente la città di Anversa . Il terribile episodio sembrò dare una svolta al conflitto in quanto nel 1576, in seguito a quattro anni di tentativi di insurrezioni da parte di gruppi protestanti olandesi e zelandesi, Spagna e Fiandre giunsero ad un’intesa, la Pace di Grand. Tale accordo prevedeva sì il riconoscimento della superiorità spagnola da parte delle province fiamminghe, ma anche la ritirata delle truppe imperiali dal paese, la tolleranza religiosa e l’istituzione, nelle Fiandre, di un governo approvato dagli Stati Generali, comunque con il necessario benestare spagnolo.
Il periodo di pace, tuttavia, fu breve; nel 1577, infatti, Giovanni d’Austria, nuovo governatore delle Fiandre, autorizzò il culto della sola religione cattolica, provocando la reazione dell’Olanda e della Zelanda e facendo scaturire rivolte religiose e sociali che spaventarono i nobili cattolici delle province del sud. Un tentativo di ridare sicurezza ai nobili delle Fiandre meridionali fu messo in atto nel 1579, quando questi riuscirono a

siglare un’alleanza, l’Unione di Arras, con Alessandro Farnese, successore di Giovanni d’Austria. Durante lo stesso anno, in risposta all’Unione di Arras, sette province del nord, guidate da Guglielmo d’Orange, diedero vita all’Unione di Utrecht, con cui si costituì ufficiosamente lo stato delle Province Unite; l’Unione di Utrecht nel 1581 dichiarò di non riconoscere più il re di Spagna e di essere indipendente con la scelta, nel 1588, dopo diversi tentativi di salita al potere da parte di principi locali, di assumere un governo repubblicano approvato dagli Stati Generali.
D’altra parte la guerra non cessò immediatamente poiché la Spagna desiderava continuare ad esercitare la propria egemonia sulle Province Unite; una svolta si verificò soltanto nel 1609, anno in cui, grazie all’azione diplomatica dei maggiori paesi europei, Spagna e Province Unite siglarono la Pace di Anversa.
La tregua durò per ben dodici anni, fatto che dimostra che, probabilmente anche a causa dell’indebolimento generale che investì la Spagna nel '600, la Repubblica delle Province Unite venne riconosciuta (in realtà, non ancora ufficialmente) dall’imperatore; tuttavia, nel quadro della guerra dei Trent’anni, i rapporti si inasprirono di nuovo, per poi placarsi definitivamente quando, nel 1648, la Spagna fu sconfitta dall’alleanza Francia-Province Unite e dovette riconoscere ufficialmente, con il trattato di Munster, la repubblica d’Olanda come paese libero.
Le province del sud, escluse dalla Repubblica delle Province Unite e più legate alla tradizione imperiale, rimasero annesse alla Spagna.

Un’ interpretazione dei motivi per cui scoppiò la rivoluzione delle province fiamminghe ci viene offerta dallo storico Wallerstein nel suo saggio “Il sistema mondiale dell’economia moderna” in cui egli analizza i passi del processo di formazione dello stato delle Province Unite. Tale processo, sottolinea lo storico, si svolse parallelamente alla straordinaria crescita economica della città di Amsterdam, che divenne, così, tra il XVI e il XVII secolo, uno dei più importanti centri economici e culturali del mondo.
Wallerstein ritiene che la causa della rivoluzione fiamminga non vada ricercata né nello scontento sociale dei ceti medio-bassi né nella crescita della borghesia, ma nel fatto che la nobiltà, che temeva sì un’eccessiva crescita politica del re ma lo considerava anche un protettore dei propri interessi contro la borghesia e contro i ceti popolari, ad un certo punto si sentì in pericolo a causa di un re che sembrava non garantire più gli interessi passati e non essere influenzabile dal punto di vista politico. Infatti, proprio nei decenni tra il XVI e il XVI secolo, si possono trovare verifiche della tesi dello storico, quali il sempre maggiore indebitamento degli aristocratici e la continua diminuzione da parte dell’imperatore delle fonti di reddito della nobiltà.
La situazione di difficoltà della nobiltà, iniziata già negli ultimi anni di reggenza di Carlo V a causa delle grandi richieste finanziarie dell’imperatore, fu aggravata dall’inflazione dei prezzi e creò non pochi problemi al nuovo imperatore, Filippo II, desideroso di aumentare i propri fondi. Ovviamente l’istituzione dei nuovi vescovati e la tendenza ad accentrare di Filippo, con le conseguenti limitazioni politiche, non fecero altro che inasprire ancora di più i rapporti tra imperatore e nobiltà. Inoltre Wallerstein, sebbene non consideri causa primaria della rivoluzione fiamminga i movimenti della media borghesia e delle classi inferiori, sottolinea che ad aggravare la situazione vi fu anche il malcontento di queste classi, che, ormai, non esitavano a ad attaccare le prigioni, simbolo delle tanto odiate repressioni, e a liberare, così, i protestanti.
Insomma, tramite il saggio di Wallerstein si può ben comprendere che nella gran parte delle province fiamminghe si andavano creando movimenti tutti rivolti, più o meno radicalmente, contro le repressioni religiose e contro la soffocante presenza spagnola; le richieste di questi movimenti erano, infatti, sostanzialmente due: la tolleranza religiosa e la presenza di Stati Generali realmente liberi. Le speranze fiamminghe, tuttavia, trovarono di fronte una chiusura sempre maggiore da parte della corona di Spagna che, dopo l’istituzionalizzazione della Controriforma, si identificava ancor di più con il cattolicesimo; ciò fu, inevitabilmente, un’ulteriore forte spinta verso la rivoluzione.
Infine lo storico Wallerstein chiarisce che la rivoluzione non può essere spiegata soltanto con la rivolta religiosa e con la crescita della borghesia perché, sebbene la religione agì da cemento nazionale e la borghesia fu la reale beneficiaria della nuova condizione sociale, di fondamentale importanza furono anche la nobiltà, che in molte situazioni tradì l’ordine sociale presente, e i movimenti radicali ad opera del sottoproletariato.

Esempio