Mass Media

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Testo

I MASS MEDIA
I mass media sono il fenomeno più vistoso della produzione e della trasmissione della cultura della nostra epoca. Per mass media, o mezzi di comunicazione di massa, si intendono gli strumenti la cui tecnologia permette una diffusione delle notizie e della cultura estremamente più dilatata che in qualsiasi altra epoca della storia. Da un lato quindi tutti gli strumenti tecnologici come la radio, il cinema, la televisione; dall’altro anche linguaggi o canali di comunicazione che si appoggiano a tecnologie antiche come la stampa ma che, per mezzo di innovazioni tecniche e soprattutto per la grande rivoluzione nei meccanismi della distribuzione culturale avvenuta agli inizi del Ventesimo secolo, si sono imposti nel panorama delle moderne comunicazioni: è il caso della stampa a grande diffusione come i giornali, i libri pocket o i fumetti. Tuttavia i mezzi di comunicazione di massa in sé sarebbero inconcepibili se non si comprendesse nel loro studio ciò che li produce, l’industria culturale, e ciò che essi producono, la cultura di massa.
Il fenomeno si può inquadrare nel periodo compreso tra la fine degli anni Venti e la seconda guerra mondiale, nei paesi più industrializzati, dove fecero quasi simultaneamente la loro comparsa molti nuovi strumenti destinati all’informazione e al divertimento: dalla radiodiffusione al cinema sonoro, dalla stampa al libro tascabile. Nasceva un’espressione destinata a larga e duratura fortuna: mass media, in italiano mezzi di comunicazione di massa. La più importante e inquietante caratteristica dei nuovi strumenti stava proprio nel loro essere “di massa”, nel fatto cioè che essi si rivolgevano ad un pubblico quantitativamente enorme e qualitativamente indifferenziato e anonimo. La “massa” era una nuova misteriosa entità che prescindeva da differenze di ceto, di distruzione o d’opinione.
L’INDUSTRIA CULTURALE E LA CULTURA DI MASSA
La nozione di “industria culturale” nacque come espressione polemica dal titolo di un saggio di Horkheimer-Adorno contenuto in Dialettica dell’Illuminismo, nel secondo dopoguerra. Sempre più si va affermando una cultura definita “seriale”, dal fatto che essa viene diffusa e commercializzata da grandi apparati tecnico-organizzativi, che adottano procedure “di serie” non dissimili da quelle caratteristiche della grande industria. È un fenomeno apparentemente paradossale, se si pensa che proprio la concezione moderna della cultura è fondata sull’ideale dell’originalità. La polemica va nei confronti del processo di degradazione cui la cosiddetta alta cultura si sottopone entrando nei circuiti della comunicazione di massa, diventando un prodotto come gli altri, il cui valore tende inevitabilmente al basso e alle leggi del mercato.
Con l’espressione industria culturale si designa dunque un’organizzazione produttiva e distributiva di un particolare tipo di cultura, detta "cultura di massa", sviluppatasi nella società industriale. L’industria culturale comprende le case editrici, la televisione e ogni altro strumento di comunicazione. Il suo scopo è quello di fornire la più ampia informazione sui più svariati argomenti, capaci di suscitare l’interesse di ognuno. Caratteristiche della cultura di massa sono l’eclettismo, la semplicità del linguaggio, la semplificazione degli argomenti proposti, l’universalizzazione dei temi. Tutto ciò contribuisce a formare un livello medio di pubblico e di cultura. Il pubblico delle cultura di massa è per lo più passivo e non brilla per spirito critico. Da ciò consegue il conformismo che non è altro se non l’accettazione passiva, acritica e consuetudinaria delle idee e delle norme di comportamento della maggioranza. L’individuo adotta così il tipo di personalità che gli viene offerto dai modelli culturali. È chiaro che in queste condizioni il condizionamento a cui il popolo e sottoposto e molto accentuato.
La “seconda rivoluzione industriale” trasformò anche le forme e i tempi di produzione culturale. Nella nuova società di massa era possibile immettere sul mercato merci di tipo culturale prodotte in serie e sulla base di politiche imprenditoriali sostanzialmente non dissimili da quelle di ogni altro settore economico. I romanzi a puntate pubblicati a fine Ottocento negli Stati Uniti e in Europa furono alcuni dei primi esempi di quella “cultura seriale” che si sarebbe enormemente diffusa negli anni Venti e Trenta, suscitando lo sdegno di molti intellettuali preoccupati per la mercificazione e la standardizzazione della cultura. Ormai distanti dall’idea romantica dell’artista come creatore isolato di opere uniche, nell’era della riproducibilità dell’arte le nuove tecnologie e i mezzi di comunicazione di massa potevano permettere a équipe di professionisti di prevedere i gusti del pubblico. A fine secolo la produzione culturale era divenuta un fatto collettivo, frutto di lavorazioni complesse a cui partecipavano tanto i “creatori” individuali quanto i coordinatori e gli organizzatori, come in qualsiasi altro ramo industriale.
I prodotti cinematografici, i telefilm a puntate, ogni interminabile telenovela, gli albi di fumetti a scadenza mensile e gli stessi prodotti multimediali sono infatti il risultato di politiche imprenditoriali basate su programmazioni e indagini di mercato volti alla commercializzazione di prodotti fruibili ed economicamente redditizi. I decenni tra le due guerre costituirono un periodo di grandissima vitalità artistica e culturale ed in questo contesto anche il cinema si affermò definitivamente sia trovando una propria collocazione come “settima arte” sia proponendosi come una vera e propria attività industriale assai redditizia. Negli anni Venti le tecniche cinematografiche vennero raffinandosi e specializzandosi, tanto che questo periodo viene detto di “apogeo del cinema muto” (il primo film sonoro fu Il cantante di Jazz del 1927); gli Stati Uniti furono i principali protagonisti di questa fase, investendo copiosamente nell’industria cinematografica e creando una struttura assai rigida dentro la quale fare emergere il mito hollywoodiano, attraverso un abile utilizzo dello star system, dello studio system e della codificazione dei generi cinematografici, rivolta ad un pubblico sempre più vasto. Nello stesso periodo, però, venivano acquisendo sempre più salde radici anche le singole cinematografie nazionali che, soprattutto in Germania e Russia, legate alla vitalità politica, sociale e artistica degli anni dell’immediato dopoguerra, raggiunsero alti livelli estetici. In particolare la Germania fu la patria dell’espressionismo che, già presente in letteratura e nelle arti figurative, si espresse anche nel cinema trasmettendo un senso di irrealtà e di incubo, caratterizzato da dissolvenze, sovraimpressioni, un uso straniante di luci ed ombre, attraverso registi quali Fritz Lang (Il Dottor Mabuse, 1922; I Nibelunghi, 1923-24; Metropolis, 1926; M., 1931), Robert Wiene (Il gabinetto del dottor Caligari, 1924), F.W. Murnau (Nosferatu il vampiro, 1922). Anche nei primi anni della Russia bolscevica alcuni grandi registi produssero opere assai significative e spesso rivoluzionarie per l’uso delle tecniche cinematografiche e del montaggio come strumento di comunicazione efficace, come Dziga Vertov, (L’uomo con la macchina da presa, 1929) e Sergej Ejzenstein (Sciopero, 1925; La corazzata Potëmkin, 1926; Ottobre, 1927; Aleksandr Nevskij, 1938).
LA RADIO E LA TELEVISIONE
Tra gli anni del New Deal e la seconda guerra mondiale, negli Stati Uniti comparvero su larga scala nuovi mezzi di comunicazione di massa, come il cinema sonoro, i rotocalchi e soprattutto la radio. Inventata dall’italiano Guglielmo Marconi (1895) la radio divenne il nuovissimo mass media attraverso il quale, chi lo gestiva, poteva comunicare con un pubblico quantitativamente enorme e imprecisato, anonimo e indifferenziato. Se negli Stati Uniti si affermò un libero mercato di emittenti commerciali, sostenute dagli introiti pubblicitari, in Europa prevalse il monopolio statale di emittenti date in concessione a compagnie, come l’italiana Eiar. Alla fine degli anni Trenta in Italia erano diffusi più di un milione di apparecchi radio e fanno parte della memoria collettiva le immagini di capannelli di persone intente ad ascoltare la voce del duce o le radiocronache sportive.
Negli anni a cavallo tra le due guerre la radio diventerà un formidabile strumento per la propaganda nei regimi totalitari andando incontro a una serie di specificazioni tecniche che ne miglioreranno qualità e potenza: in Italia la prima trasmissione radiofonica è costituita da un discorso di Mussolini nel 1924, mentre in Germania la radio diventerà una vera e propria arma nelle mani del genio della propaganda nazista.
Negli stessi anni in Gran Bretagna (1936) comparvero le prime trasmissioni televisive regolari, destinate a una ristrettissima cerchia di utenti (in Italia le prime trasmissioni sperimentali risalgono al 1938). Fu infatti solo dopo la seconda guerra mondiale che si diffuse con una rapidità impressionante la televisione in bianco e nero, prima negli Stati Uniti (che nel 1950 iniziarono la sperimentazione del colore) e negli anni Cinquanta anche in Italia, dove il colore fu introdotto nel 1977.
Insieme all’automobile, la televisione è uno dei beni di consumo più caratteristici delle società di massa contemporanee. Uno strumento dotato di grandissime potenzialità, sempre oggetto di competizioni politiche per il suo controllo, la cui diffusione capillare in ogni angolo del mondo ha svolto un ruolo decisivo per l’omologazione dei gusti e dei bisogni, come per la conoscenza degli stili di vita del mondo occidentale.
LA VIE CULTURELLE: LA NAISSANCE DU CINEMA
Dans la fin du XIX siecle, la France connait beaucoup de changements qui concernent la vie culturelle, sociale et economique, en effet il y avait le developpement de nouvelles inventions que causent la naissance de nouveaux intratenements, par example le cinéma.Pendant les anées succésifs le progrés grandit de plus en plus et les desirs et les attentes des gens changent. La jeunesse affirme son desire de vivre par son gout de la musique (le jazz, le rock’n roll) et du cinéma de la nouvelle Vague. Avec l’invention des recepteurs à transistor les emissions de radio connaissent une véritable révolution et avec la chanson francaise qui se popularise. A partir des années 60 la télévision commence à pénétrer dans les ménages, en effet elle devient un canal essentiel de diffusion de la culture, des modes et des idées.
Le développement des communications de masse crée des languages nouveaux et de nouveaux modes d’expression qui élargissent le domaine littéraire traditionnel vers une paralittérature qui conquiert un public de plus en plus vaste.
Le dèveloppement de la radio, de la tèlévision, de la publicité, de l’edition (quotidiens, magazines, pèriodiques) et du cinéma, offrent aux gens de lettres des mètiers qui les intègrent davantage à la société.
Chaque ècrivain a son public et son prestige dipend en grande mesure de l’image que les magazines et la télévision donnent de lui et aussi les prix littéraires jouent un role important dans son succès.
Le cinèma nait en France en 1895 grace aux fréres Louise et Auguste Lumieres,en effet ils inventent le cinèmatographe. Ce procède consiste à cranter la pellicule, syncroniser un optateur pour 16 images par seconde et le projetersur un écran; la première projection a lieu dans un café du Boulevard des Italiens à Paris en 1895. Ils ne pensent ni à l’art, ni au commerce, mais ils faisent de petits films d’application où ils s’amusent sans prétention. Devant le succès de leur invention ils inventent le reportage. Ils s’intéressent à la vie de tous les jours: ils sont les premiers cinéastes réalistes qui transcrivent la vérité sans artifice et conférent à la banalité du quotidien une beauté inconnée.
Ils projettent dans le salon Indien du Grand Café du boulevard des Capucines, à Paris beaucoup de films. Ces films definit de vacances montrent tous un mouvement vers le spectateur et le mouvement de l’image. A cotè du cinèma des Frères Lumieres il y avait la fantasie visionaire de l’illuministe Georges Mèliès; il tourne les premiers films fantastiques, avec des effets spèciaux, des superpositions et des couleurs peintes sur la pellicule et ses met en scène. Il va faire du cinéma l’instrument de l’illusion. Il s’enferme dans un studio, il invente des décors, des trucages, et donne l’impression que l’illusion est réalité. Son thème favori est le voyage à travers l’impossible où fantaisie et poésie trouvent leur expression en images. Il non seulement est un createur mais il invente la commercialisation du film, la publicité, la figuration, les trucages, enfin tout ce qui deviendra la fabuleuse entreprise du cinéma. Beaucoup de ses films ont connu le success, par exemple “Le melomane, Voyage dans la Lune, La conquete du pole”. En 1910, Gaumont et Pathè crèent une production de films qui peuvent rèvaliser avec les Etats Unis, ils ruinent Méliès et il meurt dans l’oubli.
La pèride muette du cinèma francais peut se dècomposer en 3 ètapes. Le Rèalisme, influencè par le cinéma environnants, puis l’Avant Garde, avec les dadaistes, et le Surrealisme, la phase la plus connue, fortement liée à la peinture et à la poésie, avec les surréalistes de l’époque.
Les premiers cinéastes du Réalisme sont fasciné par les premiers films allemands et suédois..Ils decouvrent la beauté des gestes du quotidien, des gestes “purement de chez nous”. Louis Deluc invente la critique cinématographique, il ècrit beaucoup des scénario de films diffèrents, puis il fonde l’IDHEC, qui est aujourd’hui l’Ensmis, dans les anciens studios de Pathé à Paris.
L’Avant Garde du cinéma francais commence avec Abel Gance tourne ”J’accuse” en 1919, il est un véritable cri de révolte contre la guerre; une histoire de guerre, avec beaucoup de procédés de surimpressions. Il dépose des brevets de trucages. Apres il tourne”La Rue” son premier grand chef-d’oeuvre; ce film sur la vie des cheminots autour d’un train présente une alternance de montages saccadés, une brisure des rythmes et un découpage moderne. L’homme à travers la machine, on y voit ce qu’il appelle la musique optique, qu’il compare à Beethoven.
Cette période se caractérise par l’absence d’inertrites, un art abstrait, mais un réel découpage et montage.
Le Surréalisme fait suite à l’Avant Garde du cinéma francais comme il le fait au Dadaisme dans la litterature, la peinture et la poésie. Les précurseurs du surréalisme sont Rimbaud et Lautréamont; ils cherchent les fondements d’un art nouveau et proposent une nouvelle approche de la poésie et de la peinture. Ils rejettent le carcan de la raison en rivendiquent la toute-puissance du reve et de l’imagination. L’imagination ouvre un espace infini, sans limites. Les surréalistes inventent de nouvelles formes de création artistique et utilisent l’écriture automatique, dictée de l’inconscient. Ce courant met en exergue, en le distordant, l’aspect surréel des sentiments et des situations. Le premier film surréaliste est “Un chien andalou”, de Luis Bunuel, il y a un rapport très subtil entre la métaphore et la signification, et ce rende le film irrationalisable.
Dans les films surréalistes il y a beaucoup de gros plans, décors vides, images épurées, dans certaines scènes l’image ressemble à un cri.
GLI INTELLETTUALI E LA SOCIETÀ DI MASSA
Di fronte alla massificazione della società, fenomeno che s’impose in modo irreversibile tra le due guerre, la reazione degli intellettuali fu improntata in prevalenza alla preoccupazione. Fu minoritaria, nell’ambito della sinistra soprattutto, la posizione di chi vide nella società di massa un elemento di progresso democratico, che dava spazio a ceti tradizionalmente emarginati dalla vita sociale e politica. Prevalse invece l’idea che la massificazione della politica, dei consumi e della cultura, fossero causa di una crescente standardizzazione dei valori che metteva a rischio l’identità della persona.
Questo pessimismo, assieme ad una concezione aristocratica della società, caratterizza l’opera del filosofo spagnolo Ortega y Gasset (1883-1955), autore di un testo dal titolo significativo: la Ribellione delle masse (1930). Lo sviluppo dell’industria, la democrazia politica, la diffusione dell’istruzione e della comunicazione sociale hanno consentito a larghe masse di accedere a consumi e stili di vita riservati in precedenza ai ceti benestanti: in questi fenomeni, Ortega non vede però fattori di progresso, ma segni di profonda decadenza, d’imbarbarimento. Nella società di massa si verifica, a suo giudizio, un profondo e radicale mutamento: all’individuo ragionevole, sicuro di sé, il tipico borghese, subentra l’”uomo-massa”, incapace di regolarsi e giudicare in modo maturo, facile preda di condizionamenti e sensibile al richiamo demagogico dei totalitarismi. Spiegando l’affermarsi sociale delle masse con il fenomeno della “massificazione”, anche se Ortega non lo chiama in questo modo, l’autore spagnolo applica una connotazione negativa all’intero movimento sociale che ha portato le masse a una presenza storica consapevole. Per massa intende un “insieme di persone non particolarmente qualificate”, perché rappresenta l’uomo medio, che possiede qualità comuni e non si differenzia dagli altri uomini. Ortega lamenta soprattutto l’annullamento della discriminante che separa minoranze e masse, una discriminazione culturale e sociale. Nella storia precedente attività “speciali” come quella della politica, erano esercitate da minoranze qualificate, perché necessitavano di qualità speciali e la massa non pretendeva di intervenire in esse perché non le possedeva ancora. Ora invece Ortega parla di una “iperdemocrazia”: la massa ha assunto il potere in ogni campo della società e fa diventare legge qualsiasi impulso e necessità materiale che sente comune.
Al sorgere della società di massa è legata anche la nascita di un nuovo settore di ricerca, quello della “psicologia della folla”, che studia i meccanismi che guidano i comportamenti collettivi. Dalla fine dell’Ottocento infatti si assiste alla diffusione delle masse negli scioperi, nelle assemblee e nelle manifestazioni, ossia ad agglomerati d’individui prima sconosciuti uniti nello stesso luogo per gli stessi motivi. Già nel 1895, il medico e saggista francese di formazione positivista Gustave Le Bon (1841-1931) pubblicò uno scritto intitolato La psicologia delle folle, dove dimostrò la percezione della nuova realtà rappresentata dalla folla, con le sue potenzialità di trasformare la vita sociale e politica, e cercò di analizzare le motivazioni del suo agire. Rilevava che in certe situazioni la folla si distingue molto nettamente dalla somma degli individui isolati; la personalità di ciascun individuo svanisce e si forma una “anima collettiva”, dove certe idee, certi sentimenti nascono e si trasformano in atti solo in essa. Le folle vengono definite “poco inclini al ragionamento ma adattissime all’azione”, perché spinte essenzialmente dall’istinto, da “moti casuali dell’eccitazione”, da fenomeni inconsci difficili da scoprire. Anche l’individuo isolato può essere soggetto alle stesse eccitazioni ma la ragione ha la possibilità di controllarle, indicandone gli svantaggi possibili. Le folle possono obbedire a diversi impulsi, generosi o crudeli, vili o eroici, e mai ammettono ostacoli tra un desiderio e la sua realizzazione, avendo la sensazione di costituire una irresistibile potenza. L’individuo nella folla prende coscienza della forza che gli viene dal numero e nulla appare impossibile. Ogni folla ricerca poi d’istinto l’autorità di un capo, di un trascinatore; la sua volontà infatti costituisce il nucleo attorno al quale si formano e si identificano le opinioni. Spesso i capi non sono uomini di pensiero ma d’azione, volti a perseguire il loro scopo in tutti i modi, perfino abbattendo l’istinto di conservazione.
Sigmund Freud, in un saggio intitolato Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921), affrontò, con gli strumenti della psicoanalisi, il rapporto tra l’individuo e la “massa” e ricercò le motivazioni che spingono il singolo aggregato in un gruppo a comportarsi diversamente da quanto farebbe isolato. Contro la tesi di Le Bon, Freud nega che la psicologia delle folle sia qualitativamente diversa da quella individuale. Il comportamento collettivo della folla è determinato dal rapporto di identificazione che si stabilisce tra i suoi componenti, che vengono ad assumere un’identità unica; tutti i componenti della folla si identificano in un capo in cui vedono un proprio “Io ideale”, cioè quella personalità che ciascuno vorrebbe essere. La massa è tenuta insieme da qualche potenza che Freud individua nell’amore, che “tiene unite tutte le cose del mondo”. Se nella massa il singolo rinuncia al proprio modo d’essere personale e si lascia suggestionare dagli altri, avviene perché vuole stare in armonia con gli altri. L’essenza della psiche collettiva dunque sono le relazioni d’amore.
I SISTEMI TOTALITARI E I MASS MEDIA
Nelle società di massa l’opinione pubblica allarga le proprie dimensioni, controllando e condizionando più in profondità l’attività politica, ma anche essendone condizionata con le moderne tecniche della propaganda, cioè con la diffusione sistematica di messaggi e informazioni diretti a fornire un’immagine positiva o negativa di avvenimenti, persone, istituzioni, ma anche di prodotti commerciali.
Nel campo politico la propaganda diviene così una componente essenziale delle società di massa. Per questo aspetto lo spartiacque è rappresentato dal primo conflitto mondiale (1914-18), quando per la prima volta la propaganda politica viene usata capillarmente e su scala nazionale dai vari governi, per rendere popolare la causa della guerra. Anche al termine della guerra vengono utilizzati sempre più i nuovi mezzi di comunicazione come la radio e il cinema, dotati di una capacità di penetrazione e della possibilità di rivoluzionare la vita umana non immaginabili fino a pochi anni prima. È ovvio che tutti i sistemi politici, alle prese con il problema del consenso delle masse, si avvalgano, dagli anni Venti in poi, di tali mezzi.
Due esempi sono i regimi totalitari del Fascismo in Italia e del Nazismo in Germania, basati sulla formazione del consenso e del conformismo passivo tramite la propaganda.
Strumento fondamentale dei regimi fascista e nazista, la propaganda coinvolse tutti i settori economici, sociali, politici e culturali per costruire e diffondere un’immagine “positiva” del regime e organizzare, sotto varie forme, il consenso di massa. Sia in Germania che in Italia sorsero appositi istituti per la propaganda. Nel 1933 Goebbels fu nominato responsabile del nuovo Ministero per la cultura popolare e la propaganda, e l’anno successivo Ciano trasformò l’ufficio stampa di Mussolini in Sottosegretariato per la stampa e la propaganda, divenuto nel 1935 Ministero. Un sistema rigidamente centralizzato controllò e piegò ai propri fini gli strumenti della comunicazione di massa; in particolare la radio (introdotta in Italia dal 1924), ma anche i giornali e successivamente il cinematografo, che divenne un sempre più formidabile veicolo di glorificazione dei regimi.
- NAZI - PROPAGANDA
Die Propaganda war sehr wichtig für Nazismus. Die Macht der NSDAP (Nazionalsozialistiche Deutsche Arbeitspartei) lag darin, daß sie bestimmte Zeichen und Kunstobjekte hervorragend zu demagogischen Zwecken nutzen konnte und um sie herum eine komplette Propaganda aufbaute. Die Kunst und die Technologie wurden damals zum klaren Identifikationsmerkmal der Leute mit der Partei und ihrem Führer Adolf Hitler. Die NSDAP verwendete all die Mittel einschließlich der Kunst, Architektur, Musik, Skulptur, aber auch der neuesten Technologie, um ihren Einfluß auszubauen und Feinde zu beseitigen.
Obgleich die Rhetorik, die Gesten und die Mimikregeln, die von Adolf Hitler und Joseph Goebbels verwendet wurden, bereits bekannt waren, ermöglichten sie es den beiden Männern, die Wählerschaft zu mobilisieren. Das war in der deutschen Geschichte bis dahin unbekannt. Das ist eine so starke Waffe, daß auch die gegenwärtige Politiker ähnliche Mittel verwenden, um die Wähler zu beeinflussen. Sie erscheinen häufig im Fernsehen, in den Zeitungen, geben Interviews und stellen ihre Familien vor . Es ist nicht mehr so wichtig, was die Politiker sagen, sondern wie sie sich der Öffentlichkeit präsentieren. Sie errichten quasi einen Mythos um ihre Person herum.
Die damaligen NSDAP-Politiker wurden jedoch auch stark von den Produktionsstrategien Hollywoods beeinflußt. Von Hollywood lernten sie, wie man Technik richtig und wirkungsvoll einsetzt. Sie benutzten die Erlöse der Schwerindustrie dazu, moderne Technologien wie Radios oder Lautsprecher zu kaufen, und Dokumentarfilme, um ihre Ideen und Ideologien einem größeren Massenpublikum zugänglich zu machen. Folglich ist es keine Überraschung, daß die NSDAP während der späten zwanziger Jahre und in den dreißiger Jahren zur stärksten politischen Partei in Deutschland wurde.
Während seiner Propagandakampagne durch Deutschland hat Hitler ein Flugzeug als Transportmittel verwendet. Er war einer der ersten Politiker überhaupt, die sich die Technologie dienstbar machten. Jede NSDAP-Sitzung und Versammlung wurde per Lautsprecher übertragen.
Einer der Absichten der Nazis war es, Hitler als übermächtig und unschlagbar darzustellen. Er sollte als Führer Deutschlands und bald der ganzen Welt angesehen werden. Plakate und Fotografien von ihm mußten in jedem Büro, jeder Wohnung und jeden Haus gehangen werden. Skulpturen und Büsten wurden angefertigt und über Deutschland verteilt. Hitlers Buch "Mein Kampf" wurde in großer Auflage gedruckt, und jeder deutsche Bürger sollte ein Exemplar zu Hause haben. Weiterhin verfolgte die NSDAP das Ziel, den Mythus des deutschen Ariers zu erstellen. Die Gesellschaft mußte ohne Homosexuelle, Behinderte, geistig Gestörte, Juden und Bolscheviken sein. Der Arier-Mythos beruhte auf Kriterien der Rasse und Menschen mit blauen Augen, blonden Haare und starken Körper als typisch deutschen Merkmale.
Während des Dritten Reiches verwendete die NSDAP alle mögliche Mittel der Kunst. Bilder, Skulpturen, Architektur, Musik und auch die neueste Technologie waren genutzt, um die deutschen Bürger nachhaltig zu beeinflussen. Der Nazismus war insbesondere bekannt für seine Selbstdarstellung und Demagogie. Die Nazis machten sich die Kunst dienstbar, um ihre Ideen und Ziele durchzusetzen. Die Kunst und Kultur fungierten demnach als wirksames Mittel und auch als "Dekoration" für ein Regime, das versuchte, die Diskrepanz zwischen Realität und Propaganda zu überbrücken. Es wurde behauptet, daß die Kunst für die Massen und nicht etwa nur für eine intellektuelle Elite war.
- IL CONSENSO E IL FASCISMO
L’ideologia fascista non presenta particolare originalità nei contenuti, deriva le sue basi teoriche da interpretazioni delle dottrine filosofiche del recente passato o dei movimenti culturali allora in voga: lo stato etico hegeliano, la nazione proletaria e l’imperialismo dal nazionalismo, il dinamismo dal futurismo, l’esaltazione del superuomo da Nietzsche, la centralità della famiglia e il ruolo di madre e moglie dal conservatorismo cattolico.
Centrale è la figura del capo carismatico, il duce del fascismo Mussolini.. Infatti il duce non fonda il suo potere sul carattere sacro o legale della sua autorità, ma sulle sue presunte doti eccezionali che ne fanno una figura infallibile.
Il mito dello stato etico fu quello che permise al regime fascista di presentarsi come interprete dell’interesse generale; verso la metà degli anni ’30 il regime tentò di inserirsi nell’ambito delle grandi potenze, ergendosi a difesa dei valori spirituali ed eroici della civiltà europea contro il materialismo bolscevico rappresentato dalla Russia.
Di fronte all’ostilità generale degli altri paesi nei confronti delle mire espansionistiche italiane, l’Italia fascista si trovò isolata e finì per inventare il nuovo mito dell’autarchia.
L’ideologia fascista si identificava infine nella fede cieca nella nazione, sintetizzandosi nel motto: Credere, Obbedire, Combattere, che accompagnava la visione eroica della guerra, proposta in modo sempre più ossessivo come naturale vocazione di un popolo dinamico. L’azione prendeva forma nell’arte e nel rito, infatti dal futurismo e dall’estetismo in genere, l’ideologia fascista derivava tutta la sua passione per la teatralità, la gestualità, le molteplici manifestazioni per celebrare la propria esaltazione.
Più che le idee, innovative furono le tecniche di condizionamento con le quali i grandi interessi che stavano dietro l’ideologia e il regime totalitario fascista riuscirono a condizionare non solo i ceti medi ma anche il proletariato: la pubblicità, la radio, i giornalini a fumetti e il cinema, le celebrazioni e le manifestazioni di massa, i dialoghi dal balcone del duce al popolo radunato in piazza, la valorizzazione del lavoro manuale attraverso le molteplici interpretazioni del duce.
I nuovi mezzi di comunicazione, in primo luogo la radio, consentivano di raggiungere direttamente tutti gli italiani nelle proprie case, dalla grande città allo sperduto e remoto casolare di campagna.
I discorsi del due erano trasmessi simultaneamente nelle scuole, nelle officine, nelle piazze di tutto il paese, attraverso altoparlanti e nella misura in cui venivano ascoltati collettivamente dalle famiglie o da intere comunità erano percepiti come veri e propri eventi. Un ruolo più rilevante ebbero gli strumenti di comunicazione visiva: il cinema, la fotografia, i fumetti per la gioventù, le vignette satiriche, le cartoline postali e la pubblicità.
Nel 1933 l’istituto Luce venne posto alle dipendenze del ministero della cultura popolare con il compito di documentare le opere del regime e di diffonderne le immagini ufficiali attraverso servizi fotografici, film, documentari propagandistici e cinegiornali distribuiti nelle sale cinematografiche.
In ogni cinegiornale la parte politica non occupava più della metà del tempo ma anche gli altri argomenti svolgevano una funzione politica.
Fin dal 1931 il regime impartì alla stampa direttive molto precise imponendo ad ogni giornale di improntare ottimismo, fiducia, sicurezza nell’avvenire, eliminando invece le notizie allarmistiche e pessimistiche. Si segnalava dettagliatamente quali notizie dovevano essere censurate, ma soprattutto come si dovesse dare l’informazione; le fotografie degli avvenimenti dovevano essere sempre esaminate dal punto di vista politico.
Le immagini di Mussolini e dei gerarchi fascisti comparivano quasi tutti i giorni con quelle delle opere e delle realizzazioni del regime; altrettanto frequenti erano le illustrazioni che esaltavano il combattivo ardore dell’Italia fascista: la sua forza militare, la sua prosperità economica, la sua dinamica energia, infine il suo senso di disciplina interna. Occultata la realtà con le misure restrittive dell’apparato propagandistico, le opere del regime esprimevano la loro enfatica monumentalità: le schiere armate e i moderni mezzi bellici si moltiplicavano con i fotomontaggi, i campi erano colmi di messi lussureggianti, le mamme prolifiche sfornavano i soldati del domani. Il regime si impegnò a tradurre in immagini quella realtà inesistente che veniva spacciata per magnificenza imperiale. Le immagini fotografiche del regime possono essere considerate come pezzi di un mosaico che ricalca la struttura della fiaba, per raccontare la storia radiosa dell’Italia fascista in cui gli Italiani dovevano riconoscersi quali parti di un tutto.
L’immagine fotografica doveva apparire come un documento di inconfutabile realtà. A partire dagli anni ’30 anche i fumetti si fascistizzarono nei personaggi e nei soggetti fino a raggiungere la completa autarchia delle storie: Il Corriere dei Piccoli, Il Balilla, L’Audace, L’Avventuroso, tutti questi albi a fumetti seguirono le direttive del regime, comparvero storielle per i bambini che avevano come protagonisti giovani con la tipica divisa nera da Balilla che nelle loro avventure beffavano gli avversari dell’Italia fascista. Si moltiplicarono inoltre i racconti storici con venature fasciste.
Apparvero storie di attualità politica volte a esaltare le imprese fasciste in Africa o nella guerra di Spagna.
• L’IMMAGINE DEL DUCE
L’immagine inizialmente diffusa di Mussolini, era quella dell’uomo di governo brillante, sportivo, elegante, super-attivo, immagine tipica della propaganda elettorale di stampo Americano. Dagli anni ’30 iniziò ad affermarsi un’iconografia imperiale, dove la testa del duce è ingigantita o moltiplicata ossessivamente all’infinito dai fotomontaggi. L’immagine del duce era ormai onnipresente e onnipotente: veniva fotografato mentre trebbiava a torso nudo, fondava città con l’aratro, cavalcava focosi destrieri o pilotava veloci automobili da corsa.
Il documento fotografico doveva anche comprovare il rapporto d’amore e di identificazione tra il duce e il popolo. Le fotografie dei suoi discorsi avevano l’onore della prima pagina sui giornali. Minimizzare gli aspetti della vita privata del duce era indispensabile per elevarlo dal suo ruolo di padre o marito a quello di capo famiglia dell’intera collettività nazionale. Il mezzo fotografico consentiva di esaltare le caratteristiche fisiche del duce mediante effetti di luce particolari e il ritocco (sguardo duro, pose atteggiate, mani sui fianchi).
Un aspetto fondamentale della sua immagine pubblica era quello costruito per assegnargli attributi di fiducia, vigore fisico, virilità e giovinezza. Il duce era un modello vivente delle virtù fasciste e italiche tramite la messa in scena delle sue attività. Nell’attività lavorativa la sua figura diveniva simbolo di straordinaria operosità; non solo era il trebbiatore, era anche il minatore tra i minatori, spesso il costruttore e sempre il condottiero.
• MUSSOLINI INCITA LE FOLLE
I discorsi di Mussolini alle folle radunate davanti a palazzo Venezia a Roma, venivano diffusi dalla radio in tutto il paese e costituivano un momento importante di propaganda politica e di creazione di consenso al regime che intorno alla metà degli anni ’30, raggiunse il suo livello più alto.
Il brano riporta un passo del breve discorso tenuto dal Duce il 2 ottobre del 1935 per annunciare la mobilitazione militare contro l’Etiopia e costituisce un esempio tipico del suo stile oratorio. Mussolini non leggeva e usava un linguaggio enfatico e retorico, molto efficace però dal punto di vista della comunicazione e capace di trasmettere alle folle che lo ascoltavano direttamente o per radio, militaresca sicurezza e patriottico entusiasmo.
Camicie nere della rivoluzione! Uomini e donne di tutta Italia! Italiani sparsi nel mondo, oltre i monti e oltre i mari! Ascoltate!
Un’ora solenne sta per scoccare nella storia della Patria. Venti milioni di uomini occupano in questo momento le piazze di tutta Italia. Mai si vide nella storia del genere umano spettacolo più gigantesco. Venti milioni di uomini: un cuore solo, una volontà sola, una decisione sola.
La loro manifestazione deve dimostrare e dimostra al mondo che Italia e fascismo costituiscono un’identità perfetta, assoluta, inalterabile.
Possono credere il contrario soltanto i cervelli avvolti nella più crassa ignoranza su uomini e cose d’Italia, di questa Italia 1935, anno XIII dell’era fascista.
Da molti mesi la ruota del destino, sotto l’impulso della nostra calma determinazione, si muove verso la meta: in queste ore il suo ritmo è più veloce e inarrestabile ormai!
Non è soltanto un esercito che tende verso i suoi obiettivi, ma è un popolo intero di quarantaquattro milioni di anime, contro il quale si tenta di consumare la più nera delle ingiustizie: quella di toglierci un po’ di posto al sole. Quando nel 1915 l’Italia si gettò allo sbaraglio e confuse le sue sorti con quelle degli Alleati, quante esaltazioni del nostro coraggio e quante promesse! Ma, dopo la vittoria comune, alla quale l’Italia aveva dato il contributo supremo di seicentosettantamila morti, quattrocentomila mutilati e un milione di feriti, attorno al tavolo della esosa pace non toccarono all’Italia che scarse briciole del ricco bottino coloniale altrui.
Abbiamo pazientato tredici anni, durante il quale si è ancora più stretto il cerchio degli egoismi che soffocano la nostra vitalità. Con l’Etiopia abbiamo pazientato quaranta anni.
Ora basta!
• ILCONSENSO E I SUOI STRUMENTI
Sul consenso che, all’incirca a metà degli anni Trenta, il regime fascista è riuscito ad ottenere, in questi ultimi tempi si è discusso parecchio, specie su sollecitazione della progressiva pubblicazione (tra il 1965 e il 1981) dei vari poderosi volumi di Renzo De Felice dedicati ad una scrupolosa ricostruzione dell’iter politico di Mussolini. Il testo che riportiamo è tratto invece da un’Intervista sul fascismo nella quale De Felice ha esposto le conclusioni dei suoi studi.
D. […] Secondo te, che importanza aveva questa tecnica? Era importante nella creazione del consenso attorno al regime, o era semplicemente una forma di opera buffa, di spettacolo all’italiana?
R. No, non credo che si possa parlare di opera buffa. Indubbiamente c’è in tutto questo aspetto della tecnica del potere fascista, specie per la parte che riguarda Mussolini, una concezione ben specifica delle masse, delle folle, che il «duce» ha ereditato da Sorel e, principalmente da Le Bon, e che cerca di attuare. Mussolini era convinto che la funzione carismatica del suo potere si dovesse esprimere attraverso questa forma di contratto con il popolo, di dialogo con il popolo: insomma il capo dà la parola d’ordine, entusiasma, mobilita le energie attorno ad essa. È il concetto classico di funzione carismatica. Direi comunque che questo non era il punto massimo della tecnica del potere fascista.
A mio avviso il punto massimo era rappresentato dal controllo sugli strumenti di informazione di massa. Il «discorso di Mussolini» era il momento culminante, il momento dell’entusiasmo, il momento della immedesimazione delle masse con il capo – almeno così lui avrebbe voluto che fosse, e lo fu, indubbiamente, in qualche circostanza. Però questo non era che uno degli aspetti del sistema. Il discorso di fondo deve svilupparsi sul controllo esercitato dal fascismo su tutte le forme di informazione, quindi sull’enorme importanza che assunsero non solo i tradizionali strumenti di informazione – la stampa, ecc. - , ma ancor di più, direi, il cinema, la radio, che sono i veri veicoli dell’informazione di massa.
[…] La politica fascista di massa diventava il fulcro del sistema fascista – nel cui quadro un posto decisivo avevano anche i sindacati, il dopolavoro, e tutta una serie di iniziative di tipo sociale, sportive, ricreative ecc. – perché per il fascismo il consenso e la partecipazione al regime dovevano essere attivi, non passivi. Per il fascismo, in altre parole, occorreva che le masse si sentissero integrate nel regime, che si sentissero mobilitate, sia perché stavano in rapporto diretto con il capo carismatico, sia perché partecipi di un processo rivoluzionario.
THE CHANGING FACE OF BRITAIN AND AMERICA IN 1960
The most important cultural and intellectual phenomenon after 1945 was the upheaval values of Victorian morality.
The catastrophe of the Second World War had created a sense of anguish and a feeling of rootlessness and frustration had spread as a consequence of the loss of the Empire. The accession of Queen Elisabeth in 1952 had created an atmosphere of great expectations of social justice. Jung people in particular expressed a negative mood, and they looked For a new cultural and moral indipendence.
Young people were not indifferent to the deepest spiritual problems of the age, for example the mushroom cloud at Hiroshima and Nagasaki in 1945. The image of the Sixties in Britain was marked by a mood of irreverence, rebellion And the general effort was “do your own thing”.
Pop music with the music of the Beatles and the Rolling Stones and also the Pop Poetry, drugs, discotheques, permissiveness films, plays, magaziness, and in sexual attitudes and behavior were the attitudes of this time.
It is possible now for men and women to live together respectably without marryng and to have children outside marriage without the label of illegitimacy. Women can legally have an abortion and homosexual couples openly set up house. Young people with their idealistic attitude thought that they could change the world and make it better. The youth culture distinguished itself in behaviour, musical tastes and body symbolism, which took the tribal significance of group belonging. The street became a focus of life, the metaphor for all that was presumed to be real and happening in the world. “The Teddy Boys” of the earliest rock’n’roll period of the fifties, the motor-bike boys, the skinheads and “The Hippies”, were the most important groups. The Teddy Boys adopted the Ted’s uniform that consisted of draper jackets, long pointed shoes with laces, and they wore their hair very short at the back and raised in the front. They had a reputation for violence, they acted the part of hooligans, slashing cinema seats and taking part in race riots. They became synonymous with juvenile deliquency and racism.
“The Bikers” were an other very similar group; their mode of transport was only the symbolic focus for a lifestyle that set out to challenge the boring normality of society. They wore rugged working-class garments, notably the black leather jacket, battered clothes which demonstrated their harsh experiences on the road.
Both stylistically and ideologically, they were outsiders, they looted bars, and made crude advances to local women. They tended to regard women and coloured immigrants as inferior categories. Only aggressive masculinity, the ability to handle oneself on and off the bike, to eccept the very high risk of killing oneself when riding, gave the right to belong to the group.
The Hippies were the youthful version of middle-class individualism simply devoted to the achievement of new levels of consciousness rather than to material success. One of the significant symbols of their detachment was the rejection of time: they threw away their watches and refused to be subjected to normal time.
Life should be experienced not as logically and rationally unfolding over time but as occurring in the immediately aprehended “now”. Also their dress style manifested fluidity in the choice of garments which were hand-made from natural materials.
In this period the Beatles, the Rolling Stones, and Bob Dilan’s songs were played by acoustic guitar and the message was “love not war” and “end to greed and pollution, to politics and bureaucracy”. Taking drugs was an aid to consciousness; canabis was the most important, but also allucinogenic drugs like LSD became widespread and circulated also harder drugs such as heroin.
In the aftermath of the Second World War, a new aesthetic emerged in America among a generation of young poets and visual artists. Calling themselves the Beats, these artists formed a potent underground that offered an alternative to the complacent conformity of the Eisenhower years. The word “Beat” indicates a state of tiredness, a march to a different drummer, and an infatuation with Afro-American music, particulary Jazz. The Bomb, the Cold War, the Korean War, communism, McCarthyism, the Hollywood blacklist, the Rosenbergs, the military industrial complex, television, James Dean, Jazz, Rock’n roll, civil rights, Rosa Parks, Malcolm X, Bob Dylan, and Vietnam: these people and phenomena associated with the post-World War II era, termed the Beat Generation.
The Beats’ world view was shaped by the horrors of World War Second, the Holocaust and the Atomic Bomb.
The Beat Generation produced an extraordinary range of art,much of it inspired by words and texts, that created a new language of cultural involvement. Contrary to distorted media stereotypes of the Beats as deadbeats who turned their backs on American society, the Beat Generation was perhaps the most politically engaged cultural movement in American history.
For them everything was black and white, they used marijuana, but they did not get psychedelic drugs until the very end of the 50’s. One of the new things the Beats did, was hi-fi sound. The country had just graduated from that horrid, extremely low-fi Hit Parade era of the forties and the Beats were into jazz, especially the kind of jazz known as bebop. The Beats used this music as a backdrop to their poetry, creating the first multimedia.
The Beats centred in the Bohemian artist communities of San Francisco, Los Angeles and New York ; their style, that was called Beatniks expressed their alienation from conventional, or square, society by adopting an almost uniform style of seedy dress, manners, and “ hip” vocabulary borrowed from jazz musicians.
Generally apolitical and indifferent to social problems, they advocated personal release, purification and illumination through heightened sensory awareness that might be induced by drugs, jazz, sex or the disciplines of Zen Buddhism. Beat poets wanted to liberate poetry from academic preciosity and bring it “ back to the streets “. They red their poetry, sometimes to the accompaniment of jazz; the verse was frequently chaotic and liberally sprikled with obscenities .
One of the major figures of the mouvement was the novelist Jack Kerouac that advocated new kind of freedom, celebrated the code of poverty and freedom in a series of novels of which the first and best known is “On the Road “, it deals with a number of frenetic trips back and forth across the country by a number of pennilless young people who are in love with life, beauty, jazz, sex, drugs, and mysticism but have absolute contempt for alarm clocks, timetables, road maps and all traditional American rewards for industry.
IL VILLAGGIO GLOBALE
L’espressione “villaggio globale” comparve negli anni Sessanta per indicare il progressivo avvicinamento e quindi la contaminazione reciproca delle culture presenti in varie zone del pianeta attraverso i nuovi mezzi di comunicazione (telefono, radio, televisione) e di trasporto. Ma fu tra gli anni Ottanta e Novanta che il termine divenne di uso comune, quando strumenti come il telefax e il telefono cellulare, le trasmissioni televisive via cavo e satellitari, il videoregistratore e il lettore di compact disc, il modem e il computer, la posta elettronica e Internet si diffusero enormemente e divennero oggetti familiari per milioni di individui. La percezione del mondo e delle sue distanze si modificò, mentre gli stessi attori, cantanti, personaggi di serial televisivi penetrarono nelle case di tutti i ceti sociali, nel Nord come nel Sud del mondo.
Col tempo, dunque, l’uso dei mezzi elettronici si modificò. All’ascolto collettivo della radio o della televisione – con le famiglie riunite in casa, o con i capannelli di spettatori nei locali pubblici, sempre pronti a commentare e magari criticare –, si sostituì il collegamento individuale col “villaggio globale”, attraverso radiomobili, walkman, lettori di cd portatili, personal computer, ecc. Ma fu soprattutto la possibilità del fruitore di divenire un soggetto direttamente attivo col media che modificò il sistema delle comunicazioni, segmentandolo e dando un senso tangibile a termini come “interattività” e “globalizzazione”.
WORLD WIDE WEB
WWW è l’acronimo di World Wide Web, un termine di lingua inglese che indica la “ragnatela mondiale” formata dal collegamento attraverso le reti telematiche di un numero altissimo di computer diffusi in tutto il mondo. L’origine della rete risale alla fine degli anni Sessanta, quando i militari americani progettarono un sistema di comunicazioni ritenuto inattaccabile in caso di conflitto, grazie alla sua diffusione capillare in un numero imprecisato di supercalcolatori piuttosto che in unico centro facilmente individuabile e quindi vulnerabile. In pochi anni la rete si diffuse negli uffici statali e nelle università americane. Nuovi strumenti tecnici (come il modem), nuovi sistemi e programmi di elaborazione dati, nuovi e più agili computer permisero la progressiva e sempre più semplice diffusione dei collegamenti tra banche, aziende, privati cittadini. Nei primi anni Novanta le informazioni disponibili sulla rete Internet (di tipo multimediale e con una concezione ipertestuale, cioè senza una sequenza rigida tra le diverse informazioni) divennero accessibili a un numero sempre maggiore di utenti, a loro volta in grado di arricchire la quantità di informazioni presenti sulla rete.
A fine Novecento, Internet sembra poter diventare il luogo ideale per la creazione di “piazze virtuali” per comunicare, lavorare, divertirsi. Parte integrante del mondo “globalizzato”, il World Wide Web è la realizzazione tecnica che più di ogni altra sembra dare corpo all’utopia del “villaggio globale”.
INTERNET E LA TELEVISIONE A CONFRONTO
Per quanto un monitor di computer e un televisore si somiglino, Internet - che non a caso, per le sue caratteristiche, è stata definita una sorta di "intelligenza collettiva" - non ha quasi nulla da spartire con la televisione generalista, il più potente strumento di livellamento di massa che sia mai esistito. La televisione è un mezzo effimero per definizione; le sue immagini sono volatili, i suoi discorsi fluttuanti. E' un fiume in piena che scorre ad una velocità sempre crescente. Il discorso della televisione, a differenza del libro, del giornale, della videocassetta, del CD ROM, è irripetibile; se qualcosa è sfuggito alla nostra comprensione, non ci è dato il tempo di tornarci su, di rifletterci. Al contrario Internet è un medium intensivo, possiede cioè una straordinaria capacità di approfondimento. Qualsiasi argomento può essere analizzato e studiato nei dettagli con infiniti rinvii ad argomenti analoghi. La televisione viaggia in superficie, Internet va in profondità. Vi sono quindi dei buoni motivi per non lasciarsi irretire nella falsa disputa se Internet soppianterà la televisione o viceversa; anzi è certo che questi due mezzi, proprio grazie alla loro incompatibilità, conviveranno a lungo, piuttosto alleandosi che combattendosi.
Ciò che distingue un medium dall'altro non sono solo il linguaggio, il pubblico a cui si rivolge, il "messaggio", le tecnologie o la forma d'apparato, bensì il tempo. Ogni medium ha un suo tempo, un suo ritmo del tempo. Per esempio: leggete il testo scritto di un telegiornale e paragonatelo con quello che appare sul vostro quotidiano il giorno dopo. Rimarrete stupiti per la sua approssimazione poiché il valore di quella notizia del Tg consisteva nella "tempestività", una qualità del tempo "ontologicamente" diversa da quella del giornale il cui tempo, quello della lettura, è soggettivo e non imposto dal mezzo. Per non parlare dei tempi del cinema in cui, ad esempio, il romanzo di una vita descritto in un libro di seicento pagine, viene "compresso" nell'arco di cento minuti.
La pluralità dei media non corrisponde soltanto alla pluralità degli utenti ma anche al fatto che ciascun utente è "plurale" in sé. Infatti a seconda delle ore del giorno e del luogo in cui ci si trova, ciascuno di noi sente il bisogno di qualcosa di effimero o di più profondo, di qualcosa che ci distragga o ci aiuti a capire, di qualcosa che si possa agevolmente consultare sulla spiaggia o sull'autobus (libro, radio, giornale) o a casa propria (Internet, TV, CD ROM etc.).
La sfera dell'opinione pubblica borghese, nata nella seconda metà del XVII secolo, è decisamente ristretta: capitani d'industria, ricchi commercianti, liberi professionisti, intellettuali. Non a molti è concesso il privilegio di pubblicare articoli, e solo alcuni fra i sudditi, gli alfabetizzati, sono in grado di leggerli. E pure, intorno a questo piccolo focolaio di irrequietezza culturale, si radunerà l'intero Terzo Stato che conquisterà il potere nel 1789. Una caratteristica dominante nella sfera dell’opinione pubblica è l'argomentazione razionale. Le critiche più acerrime e le invettive più sanguinose sono, sempre e comunque, il frutto di un ragionamento. Ma facciamo ora un salto di oltre due secoli. L'invenzione della radio provoca una rivoluzione nella sfera della pubblica opinione. Tutti i cittadini possono virtualmente esprimere e rendere pubbliche le loro idee qualunque sia la loro classe di appartenenza, che sappiano o meno leggere e scrivere. Per converso i proclami dei governanti possono ormai scavalcare la sfera circoscritta, e sovente critica, dell'opinione pubblica tradizionale che legge i giornali e si raccoglie a discutere nei salotti, per giungere direttamente ad un coacervo indistinto, definito, a seconda delle circostanze e delle convenienze, popolo, pubblico, utenti. L'avvento della televisione consacrerà e consoliderà questa metamorfosi della figura del cittadino nella categoria di "gente". Nasce così, nei primi decenni del XX secolo, grazie alla radio e alla televisione, l'opinione di massa.
E' errata la diffusa convinzione secondo la quale la radio e la televisione abbiano semplicemente prodotto, per effetto di propagazione, un allargamento della cerchia dell'opinione pubblica. L'opinione pubblica poggia infatti sull'argomentazione razionale, sul convincimento, sulla forza del ragionamento, mentre l'opinione di massa si alimenta della suggestione, della demagogia, della esteriorità; in una parola, della irrazionalità. Questa contrapposizione tra suggestione e ragione, populismo e democrazia, conformismo e ricchezza spirituale, cultura e incultura è, al giorno d'oggi, più antagonista di quella fra destra e sinistra, categorie comunque interne alla sfera razionale della politica e delle "scelte libere e consapevoli".
E' facile comprendere su quale versante si collochi Internet, un medium che richiede una buona scolarizzazione (bisogna saper scrivere oltre che leggere), una certa dimestichezza con le altre lingue, la conoscenza del computer e della Rete, e, prima ancora, che si possegga un computer. Questo spazio "colto" di comunicazione sociale è stato precluso dalla Tv commerciale, "censurato", umiliato dalle forche caudine della divulgazione a buon mercato. Per questo motivo, di fronte a una Tv "che non ammette repliche", e a una stampa che ha in parte dimenticato la sua nobile origine, Internet rappresenta quanto meno una speranza, un'occasione per ripristinare, su scala planetaria, uno spazio pubblico di comunicazione per la cultura, le scienze, l'arte e la politica.
LA GLOBALIZZAZIONE
Una “parola chiave” di fine Novecento e del nuovo Millennio è “globalizzazione”, un termine che – nella sua accezione attuale – era quasi sconosciuto fino agli anni Ottanta.
Se un tratto tipico dell’economia capitalista è dato dalla costante ricerca di nuovi mercati e dalla forza di attrazione nel sistema economico dominante di tutte le economie locali – un processo accelerato a inizio secolo sotto gli effetti della “seconda rivoluzione industriale” –, alla fine del Ventesimo secolo il mondo appare “interconnesso” come mai in precedenza. In quasi ogni angolo del pianeta è oggi possibile bere Coca-Cola o connettersi alla grande rete di Internet, comprare prodotti giapponesi o assistere a programmi televisivi via satellite. Gli esempi potrebbero essere moltissimi e il fenomeno non è completamente inedito. Le migrazioni, ad esempio, erano massicce anche a fine Ottocento. Ma lo sviluppo tecnologico più recente, che ha caratterizzato il “villaggio globale”, ha reso possibile creare flussi di commercio che riguardano i prodotti più disparati, merci e servizi, beni di consumo e beni “immateriali”. Lo stesso processo di produzione delle merci, sotto gli effetti della “terza rivoluzione industriale”, è sempre più parcellizzato in aree diverse del pianeta, tra loro anche assai lontane. Regioni e Stati importanti, per lungo tempo rimasti sostanzialmente ai margini dell’economia mondiale come la Cina, l’India o il Brasile, sono oggi inseriti nel processo di globalizzazione; ma i costi sociali pagati da questi paesi sono assai alti. Questo processo, infatti, se ha favorito la modernizzazione di alcuni paesi e lo sviluppo economico di altri, ha anche accentuato pesantemente il divario tra Nord e Sud del mondo, tra gruppi e classi sociali. Come reazione a questi processi macroscopici, in non pochi paesi si sono rafforzati i movimenti “antioccidentali”, il fondamentalismo religioso e i nazionalismi: fenomeni che, in modi assai diversi, tendono contraddittoriamente ad esprimere una disperata resistenza contro la temuta perdita di “identità” locale.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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