Tema di italiano sul romanticismo

Materie:Tema
Categoria:Italiano
Download:2445
Data:22.03.2005
Numero di pagine:4
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
tema-italiano-romanticismo_1.zip (Dimensione: 5.18 Kb)
readme.txt     59 Bytes
trucheck.it_tema-di-italiano-sul-romanticismo.doc     26.5 Kb


Testo

Il romanticismo è un movimento letterario affermatosi in Europa tra la fine del XVII e l’inizio del XIX secolo. In contrapposizione al razionalismo illuminista rivalutò l’immaginazione e la libertà creativa dell’individuo. Entrato in uso alla metà del Seicento, il termine inglese “romantic” indicava narrazioni di contenuto particolarmente fantasioso. Questo movimento nasce in Germania. Il maggiore esponente fu Gothe. Dalla Germana alla Francia i grandi temi romantici circolarono in tutta l’Europa, costituendo un punto di riferimento essenziale per gran parte della produzione letteraria del XIX secolo. In Italia, i primi segni di sensibilità romantica emersero già in Vittorio Alfieri e Ugo Foscolo. Prevalgono le tematiche negative nel romanticismo come: il dolore, l’angoscia, l’infelicità, i sogni, la follia, il soggettivismo, il titanismo e il pessimismo, l’esotismo, il rifiuto della ragione e il rifiuto del sistema borghese. Le tematiche positive sono il popolo, la nazione, il primitivo e l’infanzia che riescono a produrre un immenso piacere.

Nel 1816 il romanticismo si sviluppa con Alessandro Manzoni. Nacque a Milano il 7 marzo1785. Nel 1792 la madre si separò del marito e si trasferì a Parigi. Il bimbo fu affidato a vari collegi religiosi. A 20 anni raggiunge la madre a Parigi e rimane lì per 2 anni. A Milano conosce la sua sposa Enrichetta. Nel 1810 si verificò l’avvenimento fondamentale della biografia manzoniana, la sua conversione alla fede cattolica. Nel 1827 pubblicò il romanzo Promessi Sposi. Dal 1811 inizia a vivere “gli anni del silenzio”, anni dolorissimi con tante tragedie. Mori il 22 maggio 1873. Con lui troviamo un’altra tematica: la religiosità. Lui non condivideva le tematiche negative. Secondo Manzoni i romantici italiani devono essere dei poeti risorgimentali. Nel 1823 Alessandro scrive una lettera a Cesare d’Azelio in cui sostiene che la letteratura deve avere l’utile come scopo, il vero come oggetto e l’interessante come mezzo.

Un altro letterario è Giacomo Leopardi, un gran classicista. Nacque a Recanati, nelle Marche, il 29 giugno 1798 dai conti Monaldo e Adelaide da cui ricevette un’educazione cattolica, illuminista. Il padre aveva creato una biblioteca vastissima secondo i suoi interessi. Il poeta si dedicò precocemente agli studi intensi. Nel 1815, gravemente ammalato agli occhi, visse una crisi profonda che lo portò “dall’erudizione alla poesia”. Tra il 1818-1821 scrisse i primi idilli, tra cui “L’infinito”. Per la sua amata dedicò una serie di poesie chiamate “il ciclo d’Aspasia”. Prima di morire scrive la Ginestra. Muore il 14 giugno 1837 a Napoli. Nello Zibaldone, Leopardi mise a confronto l’innocente e felice stato di natura con la condizione attuale dell’uomo, corrotta dalla ragione che, rifiutando l’illusione e svelando il vero, genera l’infelicità. Il concetto si amplia e si radicalizza nelle Operette morali(1824-1835), dove la Natura stessa, prima dipinta come madre benefica, si trasforma in una matrigna che spinge l’uomo al conseguimento di una felicità irraggiungibile e insieme gli procura una sofferenza insanabile proprio perché connaturata nella condizione umana. In questo periodo trova sfogo una delle vene liriche più autentiche della poesia leopardiana, quella meditativa e malinconica: nascono i piccoli idilli “L’Infinito” ed altri. Alla base della filosofia leopardiana abbiamo la tematica dell’infelicità umana, il pessimismo storico (riguarda l’infelicità dell’uomo e la teoria del piacere) e il pessimismo cosmico(la negazione dell’esistenza di un’entità spirituale e il rovescio della sua concezione della natura che passa da madre amorosa a matrigna crudele).

L’idillio “L’Infinito” offre nella sua perfetta brevità la meditazione più alta e compiuta sul tema dell’infinito: L’Infinito di cui parla Giacomo Leopardi è una dimensione spazio-temporale non esistente in se, ma frutto dell’immaginazione(“nel pensiero mi fingo”).
L’osservazione del paesaggio si svolge in meditazione: il paesaggio, la natura, la fisicità vengono interiorizzati ed entrano a far parte dello “spirito” del poeta. Leopardi parte da una visione familiare, la vista del colle, il Monte Tabor, ermo ma caro, solitario ma già appartenete all’esperienza personale del poeta, spettatore ma anche compartecipe della sua vita. Familiare e anche la siepe, che diventa un limite, evoca il desiderio, l’immaginazione di ciò che lo sguardo esclude, di ciò che non si può raggiungere con il solo ausilio dei sensi. Sia il colle che la siepe prima indicati con gli aggettivi questo/questa ad indicarne la vicinanza sia fisica che spirituale, diventano la porta per l’infinito. La siepe diventa quella, e già posta in un’altra dimensione, certamente diversa da quella fisica. Il poeta siede e guarda, in uno spazio senza tempo, e la sua immaginazione coglie e crea “interinati spazzi”, “sovrumani silenzi” e “profondissima quiete”. L’idea è quella di una dimensione impossibile da paragonare con quella “solita”, “abituale”. Questa riflessione, questo relazionarsi con l’infinito, rivela il confine tra la limitatezza della vita umana e l’immensità della Natura. L’intuizione rivelata determina un senso di paura (“ove per poco il cor non si spaura”). Ma il vento, espressione della limitatezza fisica, lo riporta dall’esistenza cosmica a quella terrena: la voce della realtà (“odo stornir tra queste piante”) viene paragonata al silenzio dell’infinito. Il senso della vita terrena si rianima nel vento e con lui il limite temporale dell’uomo, la morte. Ma il pensiero riprende il suo corso e fluisce. Tutto si riduce ad un suono morto nel passato e invece vivo nel presente. Il pensiero e l’uomo vengono sommersi da quest’immensità, da quest’incommensurabilità e il mare, simbolo della vastità, fa annegare il suo pensiero, la sua mente, la sua razionalità, lo fa perdere, obliare in una dimensione universale in comunione con l0infinito, tanto più dolce perché insperata, inaspettata.

”E il naufragar m’è dolce in questo mare”…E’ dolce naufragar tra i magici versi di Giacomo Leopardi, ci si perde nell’infinito dei suoi versi, ci si annulla di fronte all’immensità del suo io. Grazie a Leopardi ci si guarda dentro in profondità perdendoci nelle sue infinite parole. L’infinito dove l’anima raggiunge il cuore perso nell’immensità. E’ quello che ho risentito leggendo questo meraviglioso testo. Io credo che questa poesia porti un senso di libertà e tranquillità, di pace. Con delle bellissime similitudini il poeta riesce ad esprimere la quiete che si ha immaginando l’infinito.

Esempio